Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 30 gennaio 2016

1157 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - FEBBRAIO 2016

Intenzione generale:
Perché abbiamo cura del Creato, ricevuto come dono gratuito, da coltivare e proteggere per le generazioni future".
Intenzione missionaria:
"Perché crescano le opportunità di dialogo e di incontro tra la Fede Cristiana e i Popoli dell’Asia".
Intenzione dei vescovi:
"Perché il Signore ci doni un cuore misericordioso e umile, che riconosca la propria povertà e si spenda per gli altri".

1156 - LA VITA E' TROPPO BELLA

Ho perdonato errori quasi imperdonabili, ho provato a sostituire persone insostituibili e dimenticato persone indimenticabili.
Ho agito per impulso, sono stato deluso dalle persone che non pensavo lo potessero fare, ma anch'io ho deluso.
Ho tenuto qualcuno tra le mie braccia per proteggerlo; mi sono fatto amici per l'eternità.
Ho riso quando non era necessario, ho amato e sono stato riamato, ma sono stato anche respinto. Sono stato amato e non ho saputo ricambiare.
Ho gridato e saltato per tante gioie, tante.
Ho vissuto d'amore e fatto promesse di eternità, ma mi sono bruciato il cuore tante volte!
Ho pianto ascoltando la musica o guardando le foto.
Ho telefonato solo per ascoltare una voce. Io sono di nuovo innamorato di un sorriso.
Ho di nuovo creduto di morire di nostalgia e… ho avuto paura di perdere qualcuno molto speciale (che ho finito per perdere)… ma sono sopravvissuto! E vivo ancora! E la vita, non mi stanca…
E anche tu non dovrai stancartene. Vivi!
È veramente buono battersi con persuasione, abbracciare la vita e vivere con passione, perdere con classe e vincere osando, perché il mondo appartiene a chi osa!
La Vita è troppo bella per essere insignificante!
(Charlie Chaplin)

1155 - NON AVRO' PAURA

Io, Signore Iddio, non ho nessuna idea di dove sto andando.
Non vedo la strada che mi sta davanti.
Non posso sapere con certezza dove andrò a finire.
Secondo verità, non conosco neppure me stesso
e il fatto che penso di seguire la tua volontà

non significa che lo stia davvero facendo.
Ma sono sinceramente convinto che in realtà

ti piaccia il mio desiderio di piacerti
e spero di averlo in tutte le cose,

spero di non fare mai nulla senza tale desiderio.
So che, se agirò così, la tua volontà mi condurrà per la giusta via,
quantunque io possa non capirne nulla.
Avrò sempre fiducia in te,
anche quando potrà sembrarmi di essere perduto

e avvolto nell'ombra della morte.
Non avrò paura,
perché tu sei con me e so che non mi lasci solo di fronte ai pericoli.
Thomas Merton

sabato 23 gennaio 2016

1154 - APPELLO DI PAPA FRANCESCO ALLA PREGHIERA

 
Il Video del Papa è un’inziativa globale sostenuta dalla Rete Mondiale di Preghiera del Papa (Apostolato della Preghiera) per collaborare alla diffusione delle intenzioni mensili del Santo Padre sulle sfide dell’umanità.

1153 - III DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

Siamo ancora nel tempo dell’Epifania. Il breviario ambrosiano inserisce nell’elenco dei segni epifanici anche la moltiplicazione dei pani. È dunque alla luce dell’Epifania dell’amore misericordioso del Padre di Gesù che noi dobbiamo leggere il Vangelo di oggi, Matteo 15,32-38.
1. «Sento compassione per la folla». Gesù si manifesta come un Salvatore che compatisce, cioè sente, vive e capisce il dolore degli altri. In questo anno giubilare dobbiamo essere pronti a cogliere i tratti fondamentali dell’amore di Dio e nella compassione di Gesù verso la folla vediamo che Dio prova compassione per gli uomini. Questa compassione non è sempre evidente; quante volte infatti abbiamo detto: «Ma Dio dove sei?». La risposta della fede la conosciamo: il Padre diventa tuo compagno nel dolore e nella gioia. Il vero miracolo è la sua presenza misteriosa che, nella fede, rinnova quotidianamente la speranza. Il silenzio di Dio non è il segno della sua assenza, ma il momento in cui la fede si purifica e persevera nell’affidarsi a Dio, sperando contro ogni speranza.
2. «Come possiamo dare da mangiare a tutta questa gente?». Qui si svela il segreto della vita secondo il Vangelo: tutto quello che noi offriamo a Dio ci viene restituito moltiplicato per cento. Se i discepoli, invece di dare a Gesù tutti i sette pesciolini in loro possesso, ne avessero dati solamente sei, Gesù non avrebbe fatto il miracolo. Quando noi lasciamo tutto per Gesù il Vangelo si compie, subito, ci viene restituito il centuplo di ciò che abbiamo donato. Lasciare tutto per seguirlo è la richiesta che Gesù fa ad ogni cristiano. Nel cristianesimo il massimo della sequela è il minimo richiesto per diventare discepoli del Signore. 
Ogni giorno diventa sempre più chiaro il compito dei cristiani nel mondo: far brillare il Vangelo vivendolo nella sua totalità. Dare tutto a Gesù e non tenere nulla per sé: solo in questo modo il Vangelo restituirà il centuplo e sarà ancora capace di attrarre a sé donne e uomini. Un Vangelo a cui manca anche solo un “piccolo pezzo” è un Vangelo morto; il mondo di oggi offre agli uomini molte più gioie e certezze di un Vangelo dimezzato. Questo spiega l’affievolirsi della fede di molti e, al contempo, indica l’unico modo per rendere vero il Giubileo: convertirsi e credere al Vangelo.
3. I pezzi avanzati. Dio non “butta” nulla, perché il suo amore raccoglie ogni cosa; nessun uomo è perduto e nessuna vita è inutile o persa per sempre. Per noi questo è difficile da credere; perciò bisogna dedicare tempo a questo pensiero fino a che non entri nella nostra mente e nel nostro cuore determinando atteggiamenti e prospettive concrete di vita. Noi viviamo e scartiamo; buttiamo via di tutto: uomini e cose. Siamo “consumatori” e, dunque, produttori di rifiuti. Questa mentalità è totalmente antievangelica. Cosa fare? Guardare con tenerezza gli “scarti”: Dio raccoglie tutti nelle sue mani. Dobbiamo anche noi “raccogliere” il più possibile: è la rivoluzione di cui il mondo ha bisogno.
commento di don Luigi Galli

1152 - LA MISERICORDIA

È iniziato il giubileo, l’anno della misericordia del Signore. Che cosa ci richiede prima di tutto la misericordia di Dio, che noi conosciamo e sperimentiamo nelle nostre vite?
Semplicemente di fare misericordia all’altro, chiunque sia, chiunque si trovi sulla nostra strada, chiunque incontriamo e avviciniamo. Non dimentichiamo mai la sequenza testimoniata dal vangelo riguardo alla misericordia di Gesù: “Gesù vide una grande folla, fu mosso da misericordia e curò i loro malati” (Mt 14,14). Ovvero, Gesù constatò una situazione, provò un sentimento nei confronti di quei sofferenti e dunque agì, fece qualcosa per curarli.
Questa è la traiettoria della misericordia: deve diventare azione, comportamento, mentre se resta solo un sentimento, un’emozione, non è la misericordia che Dio vuole. Per questo nel giudizio finale ci sarà beatitudine, benedizione per chi ha praticato concretamente l’amore, per chi “ha fatto misericordia” (Lc 10,37) verso il povero, il sofferente, l’ultimo degli umani nostri fratelli (cf. Mt 25,31-46). Se stiamo attenti, ci rendiamo conto che la nostra salvezza non si gioca su azioni religiose, liturgiche, ascetiche, ma su azioni non religiose, umanissime. Sono queste azioni che determinano il nostro rapporto con Dio, eppure non è assolutamente chiesto a chi le compie di farlo in nome di Dio, di pensare a Dio o di indirizzarle a lui. Non è necessario, perché c’è già un legame profondo tra Dio e il povero, talmente profondo che non è Dio un pretesto per amare il povero, ma è piuttosto il povero una possibilità per amare Dio. L’amore del povero è dunque amore per un essere umano uguale a noi in dignità, un essere umano, nient’altro che un essere umano, ma che nella povertà ha una particolare somiglianza con Dio, perché somiglia a suo Figlio, che ha voluto spogliarsi, farsi povero (cf. 2Cor 8,9), umiliato e vittima degli altri. In questo senso il povero è “sacramento di Cristo”, è un segno che rinvia a Cristo stesso tra di noi; come amavano dire i profeti medioevali, “pauper Christi vicarius est”, “il povero è un vicario di Cristo”.
Ma accanto a questa sacramentalità del povero, occorre sapere riconoscere anche il suo magistero. Sì, dico magistero, anche perché so bene che è più facile pensare a una cattedra dei non credenti che a una cattedra dei poveri. I poveri non sono certo migliori degli altri, ma hanno comunque dei tratti esemplari, se vogliamo leggerli: hanno attenzione per gli altri, sanno dare facilmente il loro tempo e la loro presenza agli altri, sanno prendersi cura degli altri anche nella penuria dei loro mezzi, sanno attendere qualcosa e soprattutto non confidano in se stessi. Questi atteggiamenti possono essere di grande insegnamento per tutti. Se i poveri erano i primi clienti di diritto del regno di Dio, se erano le persone scelte di preferenza da Gesù, è perché erano e sono vittime dei fratelli e delle sorelle, dunque Dio sta dalla loro parte; ma anche perché sono più umanizzati di molti altri, certamente più dei ricchi philautici ed egoisti. Paolo VI si rivolse così a loro nel suo pellegrinaggio a Bogotà: “Voi siete un segno, voi un’immagine, voi un mistero della presenza di Cristo. Il sacramento dell’eucaristia ci offre la sua presenza nascosta, viva e reale; mai voi pure siete un sacramento, cioè un’immagine santa del Signore in questo mondo, come un riflesso che rappresenta il suo volto umano e divino” (Omelia del 23 agosto 1968).
Se tali sono i poveri, in questo anno della misericordia non pensiamo di vivere la grazia del giubileo solo passando attraverso la porta santa o vivendo i sacramenti. Questi sono mezzi, che possono addirittura diventare menzogna se non giungiamo concretamente a “fare misericordia” a delle persone concrete, a esseri umani come noi. E cerchiamo di diventare chiesa dei poveri, perché i ricchi possono trovare posto in una chiesa povera e di poveri, mentre i poveri non possono trovare posto in una chiesa ricca e di ricchi. Ha scritto p. Pedro Arrupe, quest’uomo di Dio, vero profeta: “Se esistono poveri sulla terra, la vostra celebrazione eucaristica è incompleta in qualche maniera” e noi non celebriamo in verità la misericordia di Dio!
di ENZO BIANCHI dal sito del Monastero di Bose
in Jesus - Rubrica La bisaccia del mendicante - Gennaio 2016

venerdì 8 gennaio 2016

1151 - IL BATTESIMO DEL SIGNORE


La festa di oggi del Battesimo del Signore è in stretto legame con l’Epifania che abbiamo appena celebrato. Il nostro modo di sentire non è del tutto in linea con la liturgia che – se così si può dire – vede l’Epifania come una festa più importante del Natale. L’Epifania infatti celebra la manifestazione di ciò che a Natale era ancora nascosto. È come quando si inaugura una statua e si toglie il velo che la copre; sotto il telo si intravvedono le forme, ma è solo togliendolo che si fa l’“epifania” della statua. Gesù a Natale nasce per noi; ma ci chiediamo: chi è veramente? Cosa ci porta? Perché è nato? L’Epifania e le domeniche che la seguono rispondono con chiarezza a queste domande.
Dopo questa breve ma necessaria introduzione, vediamo ora cosa ci dice “l’epifania” di questa domenica, dal vangelo secondo Luca (3,15-16.21-22)
1. Spirito Santo e fuoco. «Giovanni rispose a tutti dicendo: “Io vi battezzo con acqua; ma viene colui che è più forte di me, a cui non sono degno di slegare i lacci dei sandali. Egli vi battezzerà in Spirito Santo e fuoco”». Il racconto di Luca risente dell’esperienza della Pentecoste, quanto la Chiesa è nata con il nuovo battesimo: quello in Spirito Santo. Qui scopriamo che l’autore del battesimo cristiano è lo Spirito Santo inviato da Gesù, Verbo incarnato, dopo la sua Pasqua.
Lo Spirito Santo battezza con il fuoco; il fuoco brucia e illumina. Questa azione dello Spirito manifesta la natura della missione di Gesù: egli porta agli uomini l’amore di Dio e la sua misericordia. Il fuoco scalda e dona la vita e, insieme, illumina la strada. Gesù nasce per portare il «fuoco sulla terra», cioè per dirci che Dio è amore. Questa rivelazione illumina il volto del Padre; noi ora sappiamo che il nostro Dio ci ama non se lo amiamo noi, ma ci ama per il puro desiderio di amarci. Nell’anno giubilare dobbiamo togliere il velo dal volto del nostro Dio e scoprire che egli è amore: fedele, appassionato e incondizionato. Gesù ci illumina, ogni giorno, con questa “epifania” dell’amore di Dio.
2. Un segno e una voce. «Mentre Gesù… stava in preghiera, il cielo si aprì e discese sopra di lui lo Spirito Santo in forma corporea, come una colomba, e venne una voce dal cielo: “Tu sei il Figlio mio, l’amato”». Ancora oggi è frequente vedere colombi e tortore che volteggiano nel cielo sopra la zona del Giordano dove Gesù è stato battezzato. La colomba è il segno dell’amore e della pace. È la colomba che ha annunciato la fine del diluvio e l’inizio di una creazione nuova; per questo la colomba può essere il simbolo dello Spirito Santo che, con Gesù, inizia la nuova e ultima creazione, cioè la redenzione dell’umanità. Gesù porta amore e pace; e per far questo riceve una speciale investitura dalla voce che viene dall’alto.
Gesù “fa bene” tutte le cose e in lui il Padre trova il suo compiacimento.

Con l’epifania di oggi il Padre mi dice: «Segui Gesù e sarai salvo». Potrà succedere di tutto ma non che il Padre si dimentichi di noi perché, in Gesù, l’amore del Padre è riversato sull’intera umanità.
Commento di don Luigi Galli

martedì 5 gennaio 2016

1150 - IL PRESEPE DELLA MISERICORDIA

Alcune immagini del presepe realizzato nella parrocchia di San Gerolamo Emiliani.
 

 
 
 
 

lunedì 4 gennaio 2016

1149 - IL GIORNO DEI MAGI

Oggi è il giorno dei Magi. Quanti si affannano a cercare di dimostrare l’esistenza fisica dei Magi o il tragitto della stella4, identificata con questa o con quella cometa, sono ben lontani dall’incontrare Dio. I Magi, guidati dalla stella non è un racconto storico, ma un genere letterario teologico che afferma l’universalità della fede cristiana. Persistere nell’idea di identificare «la stella» significa restare chiusi nella dimensione «scientista» da favola, incapaci di apertura al mistero che l’ebreo Matteo vuole illustrare ai suoi lettori, cristiani provenienti dall’ebraismo, con i metodi dell’esegesi giudaica. I lettori di Mt sono abituati alla lettura sinagogale della Scrittu-ra attraverso il metodo esegetico del midrash, che illustra gli avvenimenti nuovi alla luce delle Scritture antiche, in base al principio che la «Scrittura spiega la Scrittura».
L’evangelista si preoccupa di vedere nella nascita una corrispondenza parallela con alcuni testi dell’AT allo scopo di individuare e descrivere in Gesù bambino i segni premonitori che indicano come in lui si siano realizzate tutte le vocazioni più importanti della storia d’Israele. Il Bambino Gesù non è forse il compimento della «speranza e la gloria d’Israele» (cf Ger 14,8; Lc 2,32)? San Leone Magno papa (440-461) ci dice che nell’Epifania «la grande massa delle genti» entra «nella famiglia dei Patriarchi» e ottiene la «dignità del popolo eletto» (Messale Romano, Veglia pasquale orazione dopo la 3a lettura). Nel giorno dell’Epifania, i Magi sono il volto di tutti i pagani e di tutte le genti che entrano nell’elezione d’Israele, con gli stessi diritti e doveri di Israele.
Celebrare l’Eucaristia è rivivere ogni domenica l’anelito dei Magi che, come Abramo, lasciano il loro paese, la loro patria, il loro padre (Gen 12,1-4) per venire ad adorare colui che si fa oggi e qui Parola e Pane per essere a disposizione di ciascuno di noi, a condizione che i doni portati siano il segno di un cuore universale, aperto all’avventura di Dio perché accogliente dell’esperienza umana, dovunque
essa sia vissuta o sofferta.
Paolo Farinella, prete – 06/01/2016 – Genova

1148 - CERCANDO LA STELLA

Sarà la classica stella cometa; oppure sarà una stella ottenuta con effetti speciali; o ancora sarà una stella piccola, che quasi si perde nello sfondo del cielo; e tuttavia in ogni presepio che si rispetti una stella, da qualche parte, c'è.
Perché sempre abbiamo bisogno di una stella.
Così è accaduto per i Magi: hanno avuto bisogno di una stella per mettersi in viaggio. E quando, usciti da Gerusalemme, rivedono la stella provano una grandissima gioia: guardano il cielo, a bocca aperta, pieni di stupore.
I Magi assomigliano a quei bambini che scrutano per la prima volta il cielo e osservano curiosi quelle luci che brillano nel cuore della notte. Perché anche i bambini hanno bisogno di una stella per esprimere tutta la loro meraviglia davanti alle sorprese della vita.
Ma pure noi adulti abbiamo bisogno di una stella. Abbiamo bisogno di una speranza: perché la speranza è il respiro della nostra vita che ci libera dalla fatica del giorno presente.
Abbiamo bisogno di una speranza per guardare avanti, per camminare ancora, perché la nostra vita sia buona.
(don Elio Dotto)

venerdì 1 gennaio 2016

1147 - LA BUONA NOTIZIA

Il primo giorno del nuovo anno si apre con la buona notizia (Lc. 2,16-21)
E qual è questa buona notizia?
Quelli che la religione considera i più lontani da Dio, in realtà per Gesù, per il vangelo, sono i più vicini a Dio. Questa è la buona notizia che Luca l’evangelista ci riporta nel brano della visita dei pastori a Betlemme.
Scrive Luca: "andarono senza indugio e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ci che del bambino era stato detto loro".
Che cosa era stato detto loro? Cos’era questa grande novità, la buona notizia?
L’angelo aveva annunziato loro una grande gioia per loro, che era nato per loro il salvatore. Quindi non un giustiziere.
I pastori, lo sappiamo, erano considerati una categoria di gente lontana da Dio perché viveva in uno stato continuo di impurità, di furti. Erano selvatici come le bestie che accudivano. Quindi i pastori erano nella lista degli individui che il messia, alla sua venuta, avrebbe dovuto eliminare in quanto peccatori.
Ebbene, quando Dio si incontra con i peccatori, smentisce quello che la religione ha insegnato. Non li rimprovera, non li punisce, non li incenerisce nel fuoco della sua ira, ma li avvolge del suo amore. Infatti i pastori vengono avvolti dalla luce del Signore. Quindi loro annunciano questo: per essi è nato un salvatore, colui che li viene a salvare.
Ebbene, nessuna gioia da parte di quelli che ascoltano. La gioia dei pastori non è condivisa, ma, scrive Luca "tutti quelli che udivano si stupirono". C’è qualcosa di nuovo, qualcosa di inaudito in quello che viene detto. E’ lo scandalo della misericordia che sarà il filo conduttore di tutto il vangelo di Luca.
Gesù con la sua misericordia scandalizzerà tutti quanti, specialmente le persone pie, quelle che pensano che l’amore di Dio vada meritato e non hanno sperimentato come i pastori l’amore come regalo anziché come premio.
Quindi "si stupirono delle cose delle loro dai pastori", perché crolla quello che la religione insegnava loro riguardo a Dio. Un Dio che premiava i giusti, ma che puniva i malvagi. Anche se tutti si stupiscono di questa novità, c’è Maria, la madre di Gesù, che "da parte sua custodiva tutte queste cose".
Quindi anche Maria è stupita, è sconcertata di fronte a questa novità, ma lei non la rifiuta. Cerca di capire il vero senso. E’ questo atteggiamento di Maria che non si chiude al nuovo, anzi si apre e cerca di capirlo, che la porterà da madre di Gesù a diventarne poi la discepola.
"I pastori se ne tornarono", e poi Luca scrive qualcosa di straordinario. Nella cultura dell’epoca i pastori erano ritenuti i più lontani da Dio per la loro condizione di impurità, di peccato. Dio, nell’alto dei cieli, era circondato da quelli che erano chiamati i sette angeli del servizio. Questi sette angeli avevano il compito di lodarlo e glorificarlo continuamente.
Ebbene, scrive Luca, "I pastori si se ne tornarono glorificando e lodando Dio". Una volta che hanno sperimentato l’amore di Dio - un amore che, come abbiamo visto, non viene dato come un premio per i propri meriti, ma come un regalo per i propri bisogni - anche le categorie ritenute le più lontane da Dio sono le più vicine.
L’amore rende intimi al Signore. E’ cambiata l’immagine di Dio, è cambiata la situazione dei pastori. Non c’è nessuna persona al mondo che, per la sua condizione, si possa sentire esclusa o emarginata dall’amore di Dio.
Quindi i pastori se ne tornano lodando e glorificando Dio esattamente come gli esseri più vicini a Dio. Ma la novità di Gesù fa fatica ad essere accolta. Il piano divino incontra la resistenza degli uomini e l’evangelista infatti scrive che "quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione gli fu messo nome Gesù".
I genitori vogliono rendere figlio di Abramo – era questo il significato della circoncisione – colui che era stato annunziato come il figlio dell’Altissimo, il figlio di Dio. L’evangelista vuol far comprendere la resistenza da parte del suo popolo verso l’accoglienza di questa novità portata da Gesù e ci anticipa il conflitto che subito si scatenerà perché Gesù non seguirà la via dei padri, ma seguirà la via del Padre.
Commento di p. Alberto Maggi OSM

1146 - L'UMILTA' DI GESU' BAMBINO

Fratelli e sorelle, buongiorno!
In questi giorni natalizi ci viene posto dinanzi il Bambino Gesù. Sono sicuro che nelle nostre case ancora tante famiglie hanno fatto il presepe, portando avanti questa bella tradizione che risale a san Francesco d’Assisi e che mantiene vivo nei nostri cuori il mistero di Dio che si fa uomo.
La devozione a Gesù Bambino è molto diffusa. Tanti santi e sante l’hanno coltivata nella loro preghiera quotidiana, e hanno desiderato modellare la loro vita su quella di Gesù Bambino. Penso, in particolare a santa Teresa di Lisieux, che come monaca carmelitana ha portato il nome di Teresa di Gesù Bambino e del Volto Santo. Lei – che è anche Dottore della Chiesa – ha saputo vivere e testimoniare quell’“infanzia spirituale” che si assimila proprio meditando, alla scuola della Vergine Maria, l’umiltà di Dio che per noi si è fatto piccolo. E questo è un Mistero grande: Dio è umile! Noi che siamo orgogliosi, pieni di vanità e ci crediamo chissà chi, siamo niente, Lui, il grande, è umile e si fa bambino. Questo è un vero mistero: Dio è umile! È bello, eh?
C’è stato un tempo in cui, nella Persona divino-umana di Cristo, Dio è stato un bambino, e questo deve avere un suo significato peculiare per la nostra fede. E’ vero che la sua morte in croce e la sua risurrezione sono la massima espressione del suo amore redentore, però non dimentichiamo che tutta la sua vita terrena è rivelazione e insegnamento. Nel periodo natalizio ricordiamo la sua infanzia. Per crescere nella fede avremmo bisogno di contemplare più spesso Gesù Bambino. Certo, non conosciamo nulla di questo suo periodo. Le rare indicazioni che possediamo fanno riferimento all’imposizione del nome dopo otto giorni dalla sua nascita e alla presentazione al Tempio (cfr Lc 2,21-28); e inoltre alla visita dei Magi con la conseguente fuga in Egitto (cfr Mt 2,1-23). Poi, c’è un grande salto fino ai dodici anni, quando con Maria e Giuseppe Gesù va in pellegrinaggio a Gerusalemme per la Pasqua, e invece di ritornare con i suoi genitori si ferma nel Tempio a parlare con i dottori della legge.
Come si vede, sappiamo poco di Gesù Bambino, ma possiamo imparare molto da Lui se guardiamo alla vita dei bambini. È una bella abitudine che i genitori, i nonni, hanno quella di guardare ai bambini, cosa fanno.
Scopriamo, anzitutto, che i bambini vogliono la nostra attenzione. Loro devono stare al centro - perché sono orgogliosi? No! – perché hanno bisogno di sentirsi protetti. E’ necessario anche per noi porre al centro della nostra vita Gesù e sapere, anche se può sembrare paradossale, che abbiamo la responsabilità di proteggerlo. Vuole stare tra le nostre braccia, desidera essere accudito e poter fissare il suo sguardo nel nostro. Inoltre, far sorridere Gesù Bambino per dimostrargli il nostro amore e la nostra gioia perché Lui è in mezzo a noi. Il suo sorriso è segno dell’amore che ci dà certezza di essere amati. I bambini, infine, amano giocare. Far giocare un bambino, però, significa abbandonare la nostra logica per entrare nella sua. Se vogliamo che si diverta è necessario capire cosa piace a lui. E non essere egoisti e fargli fare le cose che piacciono a noi. E’ un insegnamento per noi. Davanti a Gesù siamo chiamati ad abbandonare la nostra pretesa di autonomia – è questo il nocciolo del problema - per accogliere invece la vera forma di libertà, che consiste nel conoscere chi abbiamo dinanzi e servirlo. Lui, bambino, è il Figlio di Dio che viene a salvarci. E’ venuto tra di noi per mostrarci il volto del Padre ricco di amore e di misericordia. Stringiamo, dunque, tra le nostre braccia il Bambino Gesù, mettiamoci al suo servizio: Lui è fonte di amore e di serenità. Sarà una bella cosa oggi quando torniamo a casa, andare vicino al presepe e baciare il Bambino Gesù e dire: ‘Gesù io voglio essere umile come te, umile come Dio’ e chiedere questa grazia.
(papa Francesco, Udienza del 30 dicembre 215)