Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 30 dicembre 2016

1223 - UN ANNO INSIEME

La Voce della Comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani accompagna l'anno 2017 con un calendario con immagini di ieri e di oggi e con brevi spunti di riflessione.
 
Per chi è interessato, il calendario è disponibile presso la parrocchia e con una offerta si contribuisce ai progetti parrocchiali.


1222 - LA LUCE DEL MONDO

IO SONO LA LUCE DEL MONDO ...
... VOI SIETE LA LUCE DEL MONDO
 

sabato 24 dicembre 2016

1221 - BUON NATALE!


Ivan Rupnik - Natività
Santuario nazionale Mátraverebély-Szentkút - Ungheria
«Dio si fa uomo per amore degli uomini. Non cerca il più perfetto degli uomini per unirsi a lui, ma assume la natura umana così com’è.
Gesù Cristo non è un’umanità eccelsa trasfigurata, ma il “sì” di Dio all’uomo reale; non il “sì” spassionato del giudice ma il “sì” misericordioso del compagno di sofferenze. In questo “sì” è racchiusa la vita intera e l’intera speranza del mondo».
(Dietrich Bonhoeffer, Etica, pag. 62 s).

1220 - LA NOTTE SANTA


«Non possiamo dormire la Notte Santa
Non possiamo dormire».
E’ così che prega il cantico di natale.
La liturgia prega così:
Ci è nato un Figlio
ci fu dato un bambino
per aiutarlo a crescere
fino alla pienezza della maturità.
Un piccolo che viene dalle profondità del mistero
Perché sappiamo accogliere tutte le creature
Perché sappiamo che tutti apparteniamo
alla grande famiglia amata da Dio.
E’ Natale. E’ un nuovo tempo.
Arriva bambino, in una impotenza!
come gli «Aylan [1]» del Regno.
Perché la nostra scelta continui a favore dei poveri della terra.
La Chiesa dovrebbe rinnovare a Natale senza compromessi
l’impegno di vivere l’incarnazione del Verbo giorno per giorno.
E’ Natale. E’ un tempo nuovo.
Non possiamo dormire la Notte Santa.
Dobbiamo svegliarci per accogliere i poveri della terra,
i piccoli del Regno.
Dobbiamo vivere, ogni giorno, la Notte Santa del Regno.
Pedro Casaldaliga

[1] Aveva tre anni. Ed era nato a Kobane, nel nord della Siria. Scappava da una guerra che ha ridotto in polvere la sua città e ucciso migliaia di suoi compagni di giochi. Aylan Kurdi. Secondo i media turchi, è questo il nome del bambino morto annegato nel tentativo di raggiungere l’Europa, la cui immagine ha fatto il giro del mondo.

venerdì 16 dicembre 2016

1219 - CONCERTO DI NATALE 2016


venerdì 9 dicembre 2016

1218 - MARIA SEGNO DI BENEDIZIONE

Dalle "maledizioni" umane, alla partecipazione della "benedizione" di Maria In questa festa liturgica della Madonna ascoltiamo una pagina della Scrittura che è davvero impressionante.
Mi ha colpito perché in essa c’è, per la prima volta nella Bibbia, la parola della maledizione: Maledetto il serpente più di tutte le bestie selvatiche (Gn 3, 14).
La maledizione del serpente è simbolo della maledizione di tutte quelle cose che rovinano gli uomini. Mi ha colpito perché penso a quante altre volte la parola «maledizione» è stata, da allora, ripetuta, a quante volte sono state lanciate nel mondo delle maledizioni gli uni contro gli altri, a quante volte siamo giunti a maledire noi stessi e addirittura a maledire Dio.
A partire dal racconto che la Scrittura ci riporta, il segno doloroso del peccato e della tristezza è entrato nel mondo e, per così dire, ci perseguita. Forse non arriviamo sempre a pronunciare quella parola ma ci sono tante cose in noi, intorno a noi, nella società che non vanno, che noi non vogliamo e che suscitano in noi un moto di ribellione.
Ci ribelliamo contro noi stessi perché non siamo sempre ciò che vorremmo essere; ci ribelliamo contro gli altri che riteniamo la causa di ciò che in noi non va; ci ribelliamo anche contro Dio perché non sappiamo capire quanto Dio ci ama. È, dunque, una parola terribile che si riproduce nella storia umana, così come si riproduce il peccato. È il peccato la vera causa di tutte le scontentezze, di tutte le tristezze, di tutte le guerre, di tutte quelle cose che sono in realtà la maledizione dell’uomo.
Ed ecco che il Vangelo ci porta il ricordo delle parola contraria alla maledizione: «Benedetta tu, benedetta tu tra le donne!» (Lc 1, 42).
Questa parola rivolta alla Madonna è simbolo del meglio di noi stessi. Noi siamo chiamati non a maledire noi stessi e gli altri: noi siamo chiamati in realtà a benedire Dio, a benedire la vita, a benedire il futuro. La Madonna è il simbolo di tutto questo, è il simbolo di tutte quelle cose che noi vorremmo essere, è il simbolo di quello che vorremmo che il mondo fosse, che vorremmo che gli altri fossero, che vorremmo che fosse la società.
Pregando oggi la Madonna noi preghiamo, quindi, col meglio di noi stessi, con tutto ciò che di bene c’è in noi.
Preghiamo perché questo bene si allarghi, preghiamo perché ciò che in noi è magari soltanto uno spazio di luce diventi più largo, preghiamo perché ciò che in noi è uno spiraglio di serenità cresca. Possiamo augurarci che la Madonna entri nella nostra vita con la sua benedizione in modo da poter dire, in tutta verità: Benedetta sei, o Maria, tra tutte le donne!
Fammi partecipe della tua benedizione, fa’ che anch’io senta quanto c’è in me che può diventare parte della tua benedizione!
Carlo Maria Martini

1217 - MARIA DONNA SENZA RETORICA

8 dicembre 2016: è la Festa dell’Immacolata Concezione. Oggi proponiamo ai lettori il titolo Maria, donna senza retorica. Uno tra i primissimi scritti mariani, datato 21 febbraio 1988. È l’elogio all’antiretorica di Maria, definita da don Tonino nel testo una donna vera perché di poche parole, perché acqua e sapone, perché non posa per nessuno e "proprio perché in lei non c’è nulla di declamatorio".
Lo so bene: non è un’invocazione da mettere nelle litanie lauretane. Ma se dovessimo riformulare le nostre preghiere a Maria in termini più laici, il primo appellativo da darle dovrebbe essere questo: donna senza retorica. (…)
Donna vera, perché acqua e sapone. Perché senza trucchi spirituali. Perché, pur benedetta tra tutte le donne, passerebbe irriconoscibile in mezzo a loro se non fosse per quell’abbigliamento che Dio ha voluto confezionarle su misura: "vestita di sole e coronata di stelle". (…)
Donna di poche parole, perché, afferrata dalla Parola, ne ha così vissuta la lancinante essenzialità, da saper distinguere senza molta fatica il genuino tra mille surrogati, il panno forte nella sporta degli straccivendoli, la voce autentica in una libreria di apocrifi, il quadro d’autore nel cumulo delle contraffazioni. (…)
Icona dell’antiretorica, non posa per nessuno. Neppure per il suo Dio. Tanto meno per i predicatori, che l’hanno spesso usata per gli sfoghi della loro prolissità. (…)
Santa Maria, donna senza retorica, prega per noi inguaribilmente malati di magniloquenza. Abili nell’usare la parola per nascondere i pensieri più che per rivelarli, abbiamo perso il gusto della semplicità. (…)
Santa Maria, donna senza retorica, la cui sovrumana grandezza è sospesa al rapidissimo fremito di un "fiat", prega per noi peccatori, perennemente esposti, tra convalescenze e ricadute, all’intossicazione di parole. Proteggi le nostre labbra da gonfiori inutili. Fa’ che le nostre voci, ridotte all’essenziale, partano sempre dai recinti del mistero e rechino il profumo del silenzio. Rendici, come te, sacramento della trasparenza».*
* Fonte: Antonio Bello, Scritti Mariani, Lettere ai Catechisti, Visite pastorali, Preghiere, Mezzina, Molfetta 1995.
http://www.papaboys.org/festa-dell-immacolata-maria-donna-senza-retorica-don-tonino-bello/

mercoledì 23 novembre 2016

1216 - INNO

O Signore, fa’ che possiamo sentirti
come il maestro unico,
la madre che abita nel cuore.
Accordaci la tua visione e la consapevolezza
della nostra unione con te.
Noi siamo il nulla,
tu il tutto; a te ci offriamo per sempre
senza riserve.
Liberaci, o Signore
dalle nostre chiusure egoistiche,
permetti che diventiamo un pane vivo come te.
In una gioiosa consacrazione
di tutto il nostro essere a te
ci doniamo.
Giovanni Vannucci

giovedì 17 novembre 2016

1215 - AVVENTO: TEMPO PER ACCOGLIERE E GENERARE AMORE

Entriamo nell’Avvento. La successione dei tempi liturgici si rivela provvidenziale in questo momento storico: di fronte alle tante paure che generano emozioni e violenza in ognuno di noi – l’elenco delle fonti di questa paura e violenza si fa ormai lungo: dai profughi al terremoto; dalla guerra in Siria e in Iraq alla crudezza della campagna elettorale americana; dalla fragilità della nostra identità europea alle conseguenze di una crisi economica che sta rimodellando in perdita i nostri ritmi di vita – l’Avvento cristiano si rivela come un dono inaspettato da custodire gelosamente, per la sua capacità di indicarci lo stile corretto per abitare questo cambiamento d’epoca, come ci ricorda Papa Francesco.
Accogliere e generare amore. L’Avvento ci racconta e ci ricorda proprio queste due azioni, questi due atteggiamenti. Sono gli atteggiamenti di Dio, innamorato perso di noi, dell’umanità; sono gli atteggiamenti di Maria, colei che con la sua fede ha consentito che il Figlio di Dio abitasse la nostra storia e ci rivelasse il volto di Dio come suo e nostro Padre.

Accogliere e generare amore. Sono questi gli atteggiamenti migliori grazie ai quali affrontare il futuro che ci attende. Abbiamo bisogno che l’Avvento diventi lo stile dei cristiani, e poi di tutti gli uomini, per esorcizzare quella violenza che tutti temiamo ma che contribuiamo a gonfiare proprio con le nostre paure.

L’Avvento come pratica di vita chiede luoghi e azioni esemplari, che rendano evidenti e tangibili i frutti generati. Proprio una simile cornice consente di comprendere il significato profondo del sostegno che la Diocesi intende dare durante tutto il prossimo periodo di Avvento alla campagna in favore dell’affido familiare promossa da Caritas Ambrosiana. Non è più utopistico garantire attraverso questo strumento il diritto a una famiglia ad ogni bambino che viene allontanato da quella di origine.

L’affido è un modo concreto di fare delle nostre vite un Avvento incarnato. Anche a Milano sempre più famiglie scelgono di aprire le porte di casa per un periodo di tempo ai figli degli altri. Queste famiglie ci dimostrano che l’Avvento non soltanto è uno stile di vita possibile, ma è anche uno stile di vita capace di cambiare la storia, salvando gli uomini dai tanti inferni artificiali che loro stessi hanno saputo creare.

Abbiamo bisogno dell’Avvento. Il mio augurio è che il tempo di Avvento che sta per cominciare ci aiuti a moltiplicare i luoghi e le pratiche di Avvento dentro le nostre vite, dentro le vite delle nostre famiglie.
di mons. Luca Bressan
Vicario episcopale per la Cultura, la Carità, la Missione e l’Azione Sociale

sabato 29 ottobre 2016

1214 - INTENZIONE DI PREGHIERA DEL PAPA


1213 - IL PIACERE DI CREDERE

Gesù ci dona anche oggi il suo Spirito – come l’effusione di una nuova Pentecoste – perché abbiamo bisogno di ritrovare la consapevolezza di essere parte attiva nella vita della città.
Abitare significa “stare con Gesù nella città” e riscoprire nell’incontro con lui la sorgente e il compimento del nostro impegno di trasformare, secondo le leggi dell’amore, le strutture sociali, economiche e politiche del nostro tempo.
Il cattolicesimo come “religione di popolo” non ha mai faticato a vivere l’immersione nel territorio attraverso una presenza solidale, gomito a gomito con tutte le persone, specie quelle più fragili. Istituzioni, strutture, enti, opere assistenziali ed educative sono segni incarnati della risposta al Vangelo.
Per il Papa chi incontra il Vangelo “entra in un fiume di gioia” [Evangelii Gaudium, 5], nel fiume di un Dio che seduce ancora proprio perché parla il linguaggio della gioia, un Dio autorizzato a proporsi all’uomo perché promette pienezza di vita, incremento di umano, accrescimento di gioia.
È tempo, ormai, per tutti i cristiani di imparare a parlare non del dovere, ma del piacere di credere.
Eppure, nelle attuali veloci trasformazioni, e in qualche caso anche a seguito degli scandali, corriamo il rischio di perdere l’entusiasmo della fede, la presenza capillare, la vicinanza a tutte le situazioni di bisogno, la forza di inscrivere nel mondo il segno dell’amore che salva.
Occorre, allora, radicarsi nella convinzione ed assumerci responsabilmente l’impegno di continuare ad essere una “Chiesa di popolo” dentro le trasformazioni demografiche, sociali e culturali che il Paese sta ancora attraversando (ad esempio con la fatica a generare e ad educare i figli; con una immigrazione massiva che produce importanti metamorfosi nel tessuto sociale; con una trasformazione degli stili di vita che ci allontana dalla condivisione con i poveri e indebolisce i legami sociali), non moltiplicando azioni o programmi di promozione ed assistenza, ma tenendo viva un’attenzione al fratello e ripensando insieme – se occorre – i nostri stessi modelli dell’abitare, del trascorrere il tempo libero, del festeggiare, del condividere…
Sono solo sogni? Come ci ricorda il beato Papa Paolo VI, quando parliamo di costruire la “civiltà dell’amore” non sogniamo, perché gli ideali, se autentici, se umani, non sono sogni: sono doveri. Specialmente per noi cristiani.
Don Erminio Villa

venerdì 21 ottobre 2016

1212 - VEGLIA MISSIONARIA IN DUOMO

Meno di due mesi dopo la canonizzazione di Madre Teresa di Calcutta, la Veglia missionaria diocesana «Inviati nel nome della misericordia» prenderà spunto dalla vita esemplare e dagli scritti della grande Santa.
L’appuntamento è per sabato 22 ottobre, alle 20, quando in Duomo il cardinale Angelo Scola presiederà la Veglia (diretta su Chiesa Tv - canale 195 e www.chiesadimilano.it; differita dalle 21 su Radio Mater), mentre nel pomeriggio, dalle 14.30, ci sarà il tradizionale Workshop missionario in via Mercanti a Milano. A fare da filo conduttore sarà lo stesso Giubileo della Misericordia, che «ci invita a guardare alla missione ad gentes come a una grande, immensa opera di misericordia sia spirituale sia materiale», spiegano gli organizzatori.
La Veglia, che avrà come compagna di preghiera Santa Teresa di Calcutta, prevede cinque tappe sui temi della carità e della misericordia. La prima («Chiamati alla vita») rimanda alla rinascita battesimale (gesto dell’aspersione); quindi verrà letto un inno scritto dalla Santa in cui si parla della vita come sogno, sfida, ricchezza, amore, mistero, avventura... Ognuno è invitato a rinnovare la fedeltà alla vocazione ricevuta.
La seconda tappa («Chiamati alla conversione») si apre con un invito di Madre Teresa: «Non abbiamo che il giorno d’oggi. Cominciamo!». La voce-guida ricorda le tante situazioni di degrado e di violazione della dignità (basti pensare alle guerre, al terrorismo e all’indigenza di tante popolazioni nel mondo): si tratta allora di «convertirci all’altro» e di «confrontarci seriamente con il tema della dignità nostra e altrui».
«Non possiamo parlare finché non ascoltiamo», diceva la Santa di Calcutta. La terza tappa è quindi «Chiamati all’ascolto»: la parola passa allora a cinque ospiti che racconteranno la loro esperienza di misericordia, vissuta in missione in prima persona o di cui sono stati testimoni.
La Veglia continua con la «Chiamata alla missione», che dà il titolo alla quarta tappa. Dopo la lettura di un brano del Vangelo di Matteo, parlerà il cardinale Scola, con una riflessione che precede il momento toccante e coinvolgente del mandato: i partenti per la terra di missione (preti, religiosi e laici) vengono chiamati per nome e ognuno di loro riceve il crocifisso dall’Arcivescovo; poi l’assemblea intona canti e preghiere.
Tra i “partenti” che riceveranno dall’Arcivescovo il crocifisso c’è don Mario Magnaghi, ex prevosto di Magenta, che a 75 anni, ha chiesto di essere mandato in missione. Svolgerà il suo servizio nella regione del Maranhão in Brasile. Sono laici tutti gli altri. Silvia Caglio e Giacomo Crespi, coppia di neo sposi di Seveso, hanno lasciato entrambi il lavoro per vivere la loro vocazione missionaria nella foresta amazzonica del Perù. Francesca Bellotta,43 anni di Milano, lavorerà in una missione gestita dal Pime in Camerun. Arianna Fioretto, 23 anni, milanese, partirà per la Moldova dove seguirà i progetti promossi da Caritas Ambrosiana e Diaconia, organizzazione della Chiesa ortodossa rumena. Cristina Ricci e Anna Sala faranno un’esperienza in Asia.
L’ultima tappa («Chiamati alla santità») è la bussola che dà il senso dei passaggi precedenti. Forte il messaggio che viene ancora una volta dalla suora in saio bianco bordato d’azzurro: «Assicuratevi di lasciare lavorare la grazia di Dio nelle vostre anime, accettando qualunque cosa egli vi mandi e dando a Lui tutto ciò che Egli voglia prendersi da voi. La vera santità consiste nel fare la sua volontà con un sorriso». Seguono altri brani, l’inno della Gmg 2016 sulla misericordia e il Padre nostro recitato in italiano, con il sottofondo in lingua Swahili.
La Diocesi non solo invia i propri fidei donum (doni della fede), ma ne riceve da Chiese sorelle. Per questo durante la Veglia saranno anche accolti 12 sacerdoti provenienti da 9 Paesi (Congo, Burundi, Ecuador, India, Camerun, Nigeria, Etiopia, Tanzania, Brasile). I presbiteri saranno inseriti nelle parrocchie ambrosiane e approfitteranno di questo periodo per completare il loro percorso di studi negli istituti presenti in Diocesi.
Al termine della Veglia, spiegano gli organizzatori, «a tutti i partecipanti viene proposta la scelta del digiuno come segno di attenzione e condivisione con le innumerevoli situazioni di disagio presenti nel mondo». Quanto raccolto dal corrispettivo della cena sarà inviato alle Pontificie opere missionarie. La Veglia Sarà anche l’occasione per rinnovare il sostegno della Diocesi ai quattro missionari (don Levi Spadotto, don Claudio Mainini, don Giuseppe Grassini, e la missionaria laica Maddalena Boschetti) impegnati in queste settimane ad Haiti nel difficile compito di censire i danni e portare i soccorsi alla popolazione colpita dall’uragano Matthew.
Info: tel. 02.8556271-232;
missionario@diocesi.milano.it; www.chiesadimilano.it/missionario



1211 - L'OTTAVO GIORNO

Il giorno dopo, il Signore tornò a guardare la sua Creazione. C'era qualche ritocco da fare.

C'erano dei bei sassi sui greti dei fiumi, grigi, verdi e picchiettati. Ma sotto terra i sassi erano schiacciati e mortificati. Dio sfiorò quei sassi profondi ed ecco si formarono diamanti e smeraldi e milioni di gemme scintillanti laggiù nelle profondità.
Il Signore vide i fiori, uno più bello dell'altro. Mancava qualcosa, pensò, e posò su di essi un soffio leggero: ed ecco, i fiori si vestirono di profumo.
Un uccellino grigio e triste gli volò sulla mano. Dio gli fischiettò qualcosa. E l'usignolo incominciò a gorgheggiare.
E disse qualcosa al cielo e il cielo arrossì di piacere. Nacque così il tramonto.
Ma che cosa mai avrà bisbigliato il Signore all'orecchio dell'uomo perché egli sia un uomo?
Gli bisbigliò, in quel giorno lontano, in quell'alba remota, tre piccole parole: "Ti voglio bene".


(don Bruno Ferrero, "A volte basta un raggio di sole")

sabato 8 ottobre 2016

1210 - VI DOMENICA DOPO IL MARTIRIO DEL PRECURSORE

Matteo pone i versetti del Vangelo di oggi (Mt 10,40-42) a conclusione del discorso missionario. Pertanto queste parole di Gesù non vanno prese come un invito rivolto alla fede del singolo, ma come la definizione della Chiesa.
1. «Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato». L’unità tra Gesù e il Padre è la stessa che esiste tra Gesù e la Chiesa e… l’uomo non può separare quello che Dio ha unito. L’unità sponsale tra Gesù e la sua Chiesa fa sì che essa sia l’umanità di Gesù che continua nella storia degli uomini. Nell’Eucaristia, corpo di Gesù, è presente anche la Chiesa che la celebra; questa unità è totale nell’Eucaristia e negli altri sacramenti che da essa nascono. Perciò la Chiesa, quando celebra, è sempre santa e tutta bella. Questa unità con Gesù può affievolirsi fino a scomparire quando la Chiesa diventa peccatrice. L’immagine che esprime meglio questa unità tra Gesù e la sua sposa è quella del corpo: la Chiesa è il corpo di Cristo.
L’unità vitale con Gesù fa sì che ogni battezzato partecipi della sponsalità e della santità della Chiesa; da questa unità prende forma la diversità funzionale necessaria per i servizi di cui la comunità ha bisogno. Tra questi Gesù mette al primo posto quello dell’autorità. Ma i servizi nella Chiesa sono tanti e tutti indispensabili per la parte che compete loro. Dall’unità può nascere così la diversità che non sarà mai confusione, ribellione o separatezza. Nella Chiesa non esistono gruppi “speciali”, centri di potere, territori esclusivi… I vari servizi differiscono non per la qualità ecclesiale, ma per la funzione che svolgono; in particolare l’autorità è il fondamento e la regola dell’unità. È così? Purtroppo non sempre, ma il cristiano sa che la sposa di Gesù è sempre bella ed egli è così impegnato a renderla ancora più bella… che non ha tempo per fermarsi e lamentarsi delle sue inevitabili umane bruttezze.
2. «Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli non perderà la sua ricompensa». Sembra una frase semplice, ma va compresa nella sua sorprendente pienezza a partire dalle singole parole. Acqua fresca. La freschezza giovanile della Chiesa è lo Spirito Santo. L’acqua non indica solo la carità che disseta, ma rappresenta il dono singolare che la Chiesa ha ricevuto perché lo distribuisca a tutti coloro che ne fanno richiesta; questo dono è lo Spirito Santo, cioè l’amore di Dio che prende stabile dimora nel cuore degli uomini. Piccoli. Non sono i bambini ma i discepoli. Siamo tutti “piccoli” discepoli perché tutti amati e custoditi dall’unica croce di Gesù. Ricompensa. Questa non riguarda la vita futura; i cristiani hanno già la loro ricompensa. La prima “ricompensa” della fede è il dono di essere Chiesa. Questa affermazione può stupire solo chi ha una visione superficiale della Chiesa. In realtà la fede fa nascere la Chiesa nel cuore del credente, che scopre la bellezza di avere sorelle e fratelli uniti nella carità dello Spirito Santo.
di don Luigi Galli

giovedì 29 settembre 2016

1209 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - OTTOBRE 2016

Universale
Perché i giornalisti, nello svolgimento della loro professione, siano sempre animati dal rispetto per la verità e da un forte senso etico.

Per l’evangelizzazione
Perché la Giornata Missionaria Mondiale rinnovi in tutte le comunità cristiane la gioia e la responsabilità di annunciare il Vangelo.

E dei Vescovi
Perché il Signore liberi le nostre comunità dalla malattia della rivalità e della vanagloria, dalle mormorazioni e dai pettegolezzi.

1208 - IL DIO VIVENTE

Se c'è la fede, tutto nasce da lì: ecco, Dio non è più un Dio di carta, è il Dio vivente! Lo conosci, ma lo conosci in quanto è una Persona, non lo conosci perché sai il catechismo, non lo conosci perché conosci la teologia, lo conosci perché l'hai veduto, perché Egli è entrato nella tua vita, perché Egli si è manifestato a te, e perché la manifestazione di Dio alla tua anima ha voluto dire per la tua anima un desiderio incoercibile di essere unita a Lui e, nello stesso tempo, una grande paura per il senso della tua debolezza, per il senso della tua impotenza, della tua povertà spirituale. Conoscenza di fede che è molto maggiore, molto più importante di una conoscenza teologica.
Quello che conta nella vita religiosa, dunque, è la fede perché la fede è l'organo che ci mette in comunione con Dio.
Vorrei sapere: è lo stesso guardare una fotografia della montagna o scalare la montagna?
Vi sembra la stessa cosa? Vediamo, vi sembra davvero la stessa cosa?
Non credo davvero! Ebbene, quelli che vivono, che parlano anche di Dio possono essere come quelli che guardano una fotografia. Altro è guardare la fotografia, altro è scalare la montagna, altro è vivere un contatto vero con Dio.
Guardate bene che la fede vi deve mantenere in un contatto reale con una persona vivente. Dio è, Dio esiste, Dio è qui!
Dio, con tutta la sua esigenza di amore, con tutta la pienezza della Sua santità: Egli è qui, e l'anima ha un trasalimento grande. Non riesce a vivere insieme a questo Dio così grande, ne ha quasi paura, eppure dicevo prima, questa paura di Dio si unisce nell'anima a una impossibilità di fuggire perché si sente, nello stesso tempo, attirata da Lui e tu senti che la tua vita è soltanto nella risposta a questa attrazione
che provi e che il Signore esercita su di te.
(don Divo Barsotti)

sabato 24 settembre 2016

1207 - LA CHIESA NELLA CITTA'

«La Chiesa nella città» è il programma settimanale di attualità religiosa prodotto dalla Diocesi di Milano e condotto da Annamaria Braccini.
Va in onda su Telenova (canale 14 del digitale terrestre) ogni giovedì alle ore18,30 e in replica il sabato alle 7,45.
Altre repliche: - su «Chiesa tv» (canale 195) il giovedì alle ore 21,10, venerdì alle 11,30 il sabato alle 10,45 -18,45 e 20,30 e la domenica alle 6, alle 13-17,15 e 21 - su TelePadrePio (canale 145) lunedì alle 21,40 - su Telepace (canale 187) sabato alle 10,45 e alle 22,20

«La Chiesa nella città oggi » è il quotidiano di informazione televisiva sulla vita della Chiesa ambrosiana che va in onda sul canale 195 il lunedì, martedì, mercoledì e venerdì alle ore 20,20

Tutte le trasmissioni sono (ri)vedibili su
www.chiesadimilano.it

Altre trasmissioni su «Chiesa tv» (canale 195):
- lunedì, martedì, e giovedì ore 8 Santa Messa dal Duomo
- mercoledì ore 21 Udienza generale di Papa Francesco
- domenica ore 20,30 "Fattore Giovani" a cura dell’ Istituto Toniolo

1206 - DAVANTI A GESU' EUCARESTIA

Anima mia, come puoi amare Gesù, se non hai più amore da dare? Hai venduto il tuo amore per niente, mentre non ne hai per il Tutto. Ricorda, anima mia, dove hai lasciato l'amore, perché Gesù aspetta un po' di consolazione da te. Vuole essere amato da te, vederti trasformata in Lui.
Quante volte Gesù ti ha dato consolazioni e tu non comprendevi cosa fossero! Quante volte ti ha ispirata di pensare a Colui che pensa sempre a te, ma tu non hai ceduto, non hai abbandonato ciò che ti tiene lontana da Lui.
Anima mia, sei qui un'estranea davanti al tuo Creatore, che ti vede ed ascolta sempre.
O Dio mio, che tutto sai e tutto vedi, come posso non pensare a Te che non distogli mai gli occhi da me?
O dimenticato Signore del mondo, io credo in Te, so che aspetti me, mentre io non penso a Te.
Tu, Dio paziente, dal Tabernacolo mi guardi e vedi la mia miseria; mi ascolti ed io penso ad altro; mi ami ma nel mio cuore non c'è posto per Te, perché è pieno di cose inutili.
(Tratto da “www.preghiereagesuemaria.it”)

1205 - LA SEQUELA

Solamente se in un uomo riconosciamo Dio e la volontà divina, possiamo seguirlo, possiamo lasciarci guidare dalle sue indicazioni.
Se qualcuno ci promette troppo e mette in mostra il proprio Ego con parole troppo altisonanti, è meglio non seguirlo.
Anselm Grün

martedì 30 agosto 2016

1204 - PREGHIERA PER LA CREAZIONE


domenica 28 agosto 2016

1203 - 31 AGOSTO: 4° ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL CARD.MARTINI

Mercoledì 31 agosto, in occasione del quarto anniversario della morte di Carlo Maria Martini, l’Arcivescovo di Milano Cardinale Angelo Scola presiederà una celebrazione eucaristica in Duomo alle ore 17.30, alla presenza dei familiari, dei sacerdoti e dei fedeli ambrosiani.
Dopo la celebrazione, alle ore 19.30 presso l'Auditorium San Fedele (Via Hoepli 3/b) verrà proiettato in anteprima il documentario Carlo Maria Martini, profeta del Novecento, prodotto dalla RAI in collaborazione con la stessa Fondazione Martini.
Il documentario, a cura di Antonia Pillosio e Giuseppe Sangiorgi, andrà poi in onda su Rai Storia il 6 settembre alle 21.30 nell'ambito della serie “Italiani”. Attraverso la voce di numerosi testimoni - tra cui Ferruccio De Bortoli, Bartolomeo Sorge, Giovanni Giudici, Carlo Casalone e Maria Cristina Bartolomei - , e grazie ai materiali di Teche Rai, il video ricostruisce la vita, il messaggio e l'eredità spirituale di Martini, dagli anni degli studi biblici e del Concilio Vaticano II ai suoi 22 anni come arcivescovo di Milano fino a Gerusalemme, dove si ritirò alla fine del ministero pastorale per dedicarsi allo studio della Bibbia.
In occasione della proiezione sarà anche reso disponibile il secondo volume dell'Opera Omnia di Martini, I Vangeli, che raccoglie le meditazioni del Cardinale sui quattro Vangeli tenute in occasione degli Esercizi Spirituali. Il volume, edito da Bompiani, sarà in libreria dal 1° settembre.
Per i giornalisti è prevista una proiezione ad hoc del documentario Carlo Maria Martini, profeta del Novecento, il 30 agosto alle ore 11, sempre all'Auditorium San Fedele di Milano, con la presenza del vice-presidente della Fondazione Martini, Giacomo Costa SJ, e gli autori del programma.
Per informazioni contattare Stefano Femminis (stefano.femminis@sanfedele.net, 0286352406, 3479784614).

domenica 21 agosto 2016

1202 - BEATA SEI TU MARIA

Beata sei tu, Maria,
perché Dio ti ha rivolto il suo sguardo d’amore:
egli ha guardato a te, l’umile sua serva,
per chiederti di diventare la madre del suo Figlio.
Così si potevano realizzare le promesse antiche fatte ad Abramo.
Così Dio si mostrava fedele all’alleanza,
così egli veniva incontro alle attese dei poveri,
alle invocazioni degli affamati,
alle suppliche dei miseri.

Beata sei tu, Maria, perché hai creduto.
Ti sei messa totalmente nelle mani di Dio,
gli hai affidato la tua esistenza,
il tuo corpo e la tua anima
perché egli preparasse una degna dimora al suo Verbo.

Beata sei tu, Maria,
perché hai accompagnato il tuo Figlio
lungo tutta la sua vita,
da quel giorno in cui venne alla luce
in un alloggio di fortuna
e fu deposto in una mangiatoia,
fino ai piedi della croce, nell’ora più straziante,
l’ora della prova, del dolore.

Beata sei tu, Maria, 
perché sei stata trasfigurata,
corpo e anima, dalla sua risurrezione
e la morte, già vinta dal suo amore,
non ha potuto trattenerti nelle sue mani.

Maria, Vergine della notte,
illumina la notte della sofferenza,
del dolore e della solitudine.
Nel buio del nostro calvario
rimani accanto alle nostre croci.
Nella dolcezza e nella forza
della tua maternità,
illumina l'ora delle tenebre.

In pace mi corico e mi addormento
perché tu, sicuro, mi fai riposare.
Passa la notte in trepida veglia
accanto a noi, tuoi figli;
donaci di attendere sereni, in pace,
l'aurora del giorno senza tramonto.
Amen.

(dall’archivio di Qumran)

mercoledì 17 agosto 2016

1201 - SANTA ELENA

È impossibile parlare dei primi secoli del Cristianesimo senza ricordare con particolare affetto il nome di S. Elena, della quale si rinvengono notizie contrastanti presso gli storici. Nata in Roma da genitori pagani verso il 250, dimostrò subito eccellentissime doti di ingegno e di bontà d'animo. Divenuta grandicella, per la sua delicatezza e per la sua modestia, piacque al giovane ufficiale Costanzo Cloro, che la volle in sposa, e la condusse con sè in Dardania, dove egli era nato e possedeva delle terre. Altri studiosi vogliono sia nata a Drepanum in Bitinia nel golfo di Nicomedia (attuale Turchia); città rinominata in seguito Helenopolis ("città di Elena") in suo onore, dal futuro figlio Costantino, il che ha causato anche l’incerta e successiva interpretazione dell’ indicazione di Drepanum come luogo di nascita di Elena stessa.

Nella città di Naisso, nacque da Elena nell'anno 272, Costantino, il grande imperatore che avrebbe data la libertà al Cristianesimo. Quando Cloro venne dal Senato creato Cesare assieme a Galerio per ordine degli imperatori Diocleziano 'e Massimiano, dovette legalmente ripudiare la sua sposa Elena nel 293 per volere di Diocleziano e sposare Teodora, la figliastra dell'imperatore Massimiano, allo scopo di cementare con un matrimonio dinastico l'elevazione di Costanzo a Cesare di Massimiano all'interno della Tetrarchia. Di fatto Elena fu lasciata libera di vivere tranquillamente col figlio Costantino nella quiete della loro villa nell'Illiria.

Quantunque ammirabili e singolari fossero le virtù di Elena durante il governo dell'imperatore suo marito, tuttavia non erano che virtù umane, non essendo ancor cristiana. La grazia però del battesimo non era più lontana. Infatti Costantino suo figlio, proclamato imperatore nel 306, dopo la morte di Costanzo, la chiamò subito presso di sé, conferendole il titolo prestigioso di Augusta, e… facendole conoscere il vero Dio. È impossibile dire con quanto fervore Elena si mise a far opere di pietà, quantunque fosse in età di circa sessant'anni; cercò in ogni modo di ricuperare il tempo perduto, edificando coi suoi esempi la chiesa di Dio, che suo figlio cercava di dilatare colla sua autorità.

Avendo Elena largamente a sua disposizione i tesori dell'impero, se ne servì per fare abbondanti elemosine, e per arricchire di vasi e arredi sacri le chiese della cristianità. Dopo il Concilio di Nicea, l'imperatore Costantino si diede con grandissimo slancio a far costruire templi e basiliche al vero Dio, specialmente in Terra Santa. La piissima Elena si assunse l'incarico di curare le costruzioni di Palestina a nome del figlio, recandosi essa stessa sul luogo. Partì per Gerusalemme l'anno 326: e quel viaggio non fu che una continua effusione di elemosine ch'essa andava spargendo a larghe mani ovunque passava e a chiunque ricorreva a lei. Giunta a Gerusalemme, fece tosto gettare a terra il tempio di Venere che era stato edificato sul Calvario dai pagani, che avevano così voluto profanare il luogo della morte e della risurrezione di Gesù. Ivi essa scoprì e ritrovò il S. Sepolcro ed il legno della S. Croce. In processione, col Vescovo di Gerusalemme, la Croce su cui Gesù era morto fu portata nella cattedrale della città.

Dopo questo, Elena si trattenne ancor un po' a Gerusalemme per vedere iniziata la sontuosa basilica fatta da lei erigere sul S. Sepolcro; indi, ordinate le costruzioni di altre chiese sul luogo della nascita e della Crocifissione di Gesù, si preparò per il ritorno. Prima di partire da Gerusalemme volle servire a tavola ella stessa le Vergini che erano ricoverate nel monastero da lei fatto costruire. Ritornata a Roma, il Signore la chiamò a godere il premio delle sue fatiche e delle sue elette virtù. Spirò tra le braccia del figlio Costantino l'anno 328.
Gli storici non sono sempre concordi nel riferire la vita di Elena e i particolari della sua conversione alla religione ortodossa. Alcuni ne additano la causa ai motivi politici che avrebbero indotto lo stesso Costantino a spingerla a ciò, per riconquistare il favore da lui perso presso i popoli orientali dell’Impero.

PRATICA. Facciamo elemosine per soccorrere poveri e promuovere il culto di Dio.

PREGHIERA. Concedi, o Signore, che ad imitazione della tua serva Elena disprezziamo i beni della terra, e ci dedichiamo tutti al tuo santo servizio e a procurare la tua gloria.
 

venerdì 12 agosto 2016

1200 - IL MAGNIFICAT

Dal Vangelo secondo Luca Lc 1,39-56 
In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta. Appena Elisabetta ebbe udito il saluto di Maria, il bambino sussultò nel suo grembo. Elisabetta fu colmata di Spirito Santo ed esclamò a gran voce: «Benedetta tu fra le donne e benedetto il frutto del tuo grembo! A che cosa devo che la madre del mio Signore venga da me? Ecco, appena il tuo saluto è giunto ai miei orecchi, il bambino ha sussultato di gioia nel mio grembo. E beata colei che ha creduto nell’adempimento di ciò che il Signore le ha detto». Allora Maria disse: «L’anima mia magnifica il Signore e il mio spirito esulta in Dio, mio salvatore, perché ha guardato l’umiltà della sua serva. D’ora in poi tutte le generazioni mi chiameranno beata. Grandi cose ha fatto per me l’Onnipotente e Santo è il suo nome; di generazione in generazione la sua misericordia per quelli che lo temono. Ha spiegato la potenza del suo braccio, ha disperso i superbi nei pensieri del loro cuore; ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote. Ha soccorso Israele, suo servo, ricordandosi della sua misericordia, come aveva detto ai nostri padri, per Abramo e la sua discendenza, per sempre». Maria rimase con lei circa tre mesi, poi tornò a casa sua.
Parola del Signore.
 
 
Il Magnificat di Maria è certamente il suo testamento spirituale, perché in esso ella raccoglie la migliore tradizione biblica di cui si nutre fino a identificarsi con Abramo e con tutte le sue generazioni future «per sempre» (v. 55). Il suo inno sgorga da un duplice incontro: due madri, Maria ed Elisabetta, e due figli, Gesù e Giovanni, di cui uno alla presenza dell’altro, non ancora conosciuto, «danza» di gioia nel ventre materno, come Davide davanti all’Arca del Signore (2 Sam 6,14). Maria si fa voce degli anawìm/i poveri di Yhwh di cui, per natura, diventa la madre, essendo la figlia primo-genita dell’unico e vero «povero in spirito» (Mt 5,2) da cui erediterà lo spirito di povertà come dimensione essenziale della ecclesialità ai piedi della croce nuda, vestita solo del dono del Figlio (cf Gv 19,25-27). 

1199 - UNA DONNA VESTITA DI SOLE

Dal libro dell’Apocalisse di san Giovanni apostolo Ap 11,19A;12,1-6A.10AB
Si aprì il tempio di Dio che è nel cielo e apparve nel tempio l’arca della sua alleanza. Un segno grandioso apparve nel cielo: una donna vestita di sole, con la luna sotto i suoi piedi e, sul capo, una corona di dodici stelle. Era incinta, e gridava per le doglie e il travaglio del parto. Allora apparve un altro segno nel cielo: un enorme drago rosso, con sette teste e dieci corna e sulle teste sette diademi; la sua coda trascinava un terzo delle stelle del cielo e le precipitava sulla terra. Il drago si pose davanti alla donna, che stava per partorire, in modo da divorare il bambino appena lo avesse partorito. Essa partorì un figlio maschio, destinato a governare tutte le nazioni con scettro di ferro, e suo figlio fu rapito verso Dio e verso il suo trono. La donna invece fuggì nel deserto, dove Dio le aveva preparato un rifugio. Allora udii una voce potente nel cielo che diceva: «Ora si è compiuta la salvezza, la forza e il regno del nostro Dio e la potenza del suo Cristo».

Il brano liturgico appartiene all’ultimo libro della Bibbia scritta, l’Apocalisse, databile fine del sec. I. Il brano comprende elementi disparati, non bene armonizzati, per descrivere la visione di una donna in lotta con un drago che combatte contro di lei e contro la sua discendenza.
La donna splendente (descritta con le immagini tradizionali di sole, luna e stelle) è simbolo del popolo di Dio, Israele, da cui proviene Gesù secondo la carne, ma anche della Chiesa che di Gesù è il corpo.
Il bimbo maschio, partorito dalla donna e salvato da Dio, è il Messia nella sua duplice consistenza: come Gesù di Nàzaret, figlio della donna, e come Cristo, principio della sua discendenza, cioè della Chiesa che forma il suo corpo mistico.
La tradizione cristiana ha sempre applicato questo testo a Maria, a cominciare da Sant’Agostino, passando per San Bernardo, i quali hanno visto nella donna dell’Apocalisse la figura di Maria.
Secondo l’artista che ne dipinse il bozzetto, approvato il 25 ottobre 1955, il francese Arsène Heitz, Ap 12,1 del testo di oggi è alla base della bandiera europea che su fondo blu, ha una corona di 12 stelle gialle, altamente simbolica e potentemente evocativa, come simbolo di unità, solidarietà e armonia nella diversità.
Paolo Farinella, prete

1198 - ASSUNZIONE DI MARIA

A Gerusalemme, nella valle del Cèdron, accanto al Getsèmani, fin dal II secolo si venera la tomba di Maria dove, il 15 agosto di ogni anno, si recano le Chiese orientali, presenti nella città santa, con una solenne processione, scendendo dalla porta dei Leoni, detta anche Porta di Santo Stefano o in arabo Sittim Miriam – Sorgente/Pozzo di Maria.
I vangeli sono molto discreti riguardo a Maria, di cui non parlano più dopo la Pentecoste; la sua presenza è significativa nei Vangeli dell’infanzia di Gesù (cf Mt 1-2 e Lc 1-2), pochissimi e sparuti cenni durante la vita pubblica (cf Mc 3,21.31; 6,3; Mt 13,55; Lc 8,19; Gv 2,5.12), e, infine, la sua presenza ai piedi della croce (cf Gv 19,25-27).
Il culto della Vergine è tardivo: il concilio di Efeso, il 3° ecumenico della cristianità antica, nel 431 dà impulso organizzato alla devozione mariana, definendo Maria Theotòkos – Madre di Dio.
Nel sec. V è ancora viva la festa della Dormitio Mariae celebrata presso la tomba della Vergine al Getsemani e che l’imperatore Maurizio (539-602) impone a tutto l’impero d’oriente.
A Roma, papa Sisto III (432-440) fece costruire la basilica di Santa Maria Maggiore e, dal sec.VI, si iniziò a celebrare una festa mariana di carattere generale fissata al 1° gennaio.
Intorno al 660 la data ufficiale divenne il 15 agosto. Con papa Sergio I (687-702), di origine siriana, la festa fu introdotta ufficialmente col nome di «Dormizione».
Una settantina d’anni dopo, verso il 770, comparve il termine assunzione.
Questa festa, fino a Pio V (1566), fu celebrata solennemente con una processione stazionale che, partendo da Sant’Adriano al Foro, attraversava le vie della città, termi-nando a Santa Maria Maggiore. Come le grandi solennità liturgiche, anche l’Assunzione includeva il digiuno, la vigilia e un’ottava di festa: per questo la liturgia riporta, ancora oggi, l’ufficio vigiliare.
Pio XII nel 1950 definì dogma di fede che «la beata Vergine Maria, terminato il corso della sua vita terrena, fu assunta alla gloria celeste in anima e corpo», mentre il concilio Vaticano II da parte sua, nella costituzione dogmatica Lumen Gentium, precisò ulteriormente «per essere così più pienamente conforme al Figlio suo, Signore dei signori e vincitore del peccato e della morte» (LG 59).
La Chiesa orientale, fin dal tempo del concilio di Efeso del 431, ha sempre considerato il Transito o Dormizione della Vergine come la «festa delle feste» della Madre di Dio, la «Pasqua della Madre di Dio». Tutte le Chiese orientali, da quella siriaca a quella alessandrina, etiopica, greca, armena e assira, hanno sempre celebrato la Dormizione di Maria come la più grande festa mariana.
I quattordici giorni che precedono la festa furono chiamati «piccola quaresima della Vergine» in rapporto alla grande quaresima che precede la Pasqua di risurrezione di Gesù: per questo motivo sono giorni di preghiere e di austeri digiuni.
Paolo Farinella, prete
 

lunedì 8 agosto 2016

1197 - CREDO IN DIO E NEGLI UOMINI

Credo in Dio e negli uomini e oso dirlo senza falso pudore. La vita è difficile ma non è grave: dobbiamo cominciare a prendere sul serio il nostro lato serio, il resto verrà da sé. Una pace futura potrà essere veramente tale solo se prima sarà stata trovata da ognuno in se stesso; se ogni uomo si sarà liberato dall'odio contro il prossimo, di qualunque razza o popolo; se avrà superato quest'odio e l'avrà trasformato in qualcosa di diverso, forse alla lunga in amore, se non è chiedere troppo. E' l'unica soluzione possibile.
È quel pezzettino d'eternità che ci portiamo dentro. Sono una persona felice e lodo questa vita, nell'anno del Signore 1942, l'ennesimo anno di guerra.
Le mie battaglie le combatto contro di me, contro i miei propri demoni: ma combattere in mezzo a migliaia di persone impaurite, contro fanatici furiosi e gelidi che vogliono la nostra fine, no, questo non è proprio il mio genere. Non ho paura, non so, mi sento così tranquilla. Mi sento in grado di sopportare il pezzo di storia che stiamo vivendo, senza soccombere. Mi sembra che si esageri nel temere per il nostro corpo. Lo spirito viene dimenticato, s'accartoccia e avvizzisce in qualche angolino. Viviamo in un modo sbagliato, senza dignità.
Io non odio nessuno, non sono amareggiata: una volta che l'amore per tutti gli uomini comincia a svilupparsi in noi, diventa infinito.
Bene, io accetto questa nuova certezza: vogliono il nostro totale annientamento. Ora lo so: Continuo a lavorare e a vivere con la stessa convinzione e trovo la vita ugualmente ricca di significato, anche se non ho quasi più il coraggio di dirlo quando mi trovo in compagnia.
La vita e la morte, il dolore e la gioia e persecuzioni, le vesciche ai piedi e il gelsomino dietro la casa, le innumerevoli atrocità, tutto, tutto è in me come un unico, potente insieme e come tale lo accetto e comincio a capirlo sempre meglio.
Un'altra cosa ancora dopo quella mattina: la mia consapevolezza di non essere capace di odiare gli uomini malgrado il dolore e l'ingiustizia che ci sono al mondo, la coscienza che tutti questi orrori non sono come un pericolo misterioso e lontano al di fuori di noi, ma che si trovano vicinissimi e nascono dentro di noi: e perciò sono meno più familiari e assai meno terrificanti. Quel che fa paura è il fatto che certi sistemi possono crescere al punto da superare gli uomini e da tenerli stretti in una morsa diabolica, gli autori come le vittime.
Etty Hillesum, Diario 1941-1943, a cura di J.G. Gaarlandt, Adelphi, Milano, 1985

1196 - LA DIMENSIONE DELL'ETERNITA'

In noi c'è la possibilità di accedere alla dimensione dell'eternità liberandoci da tutte le resistenze a Dio. Questo dato fondamentale della creazione che non si oppone alla Parola di Dio continua tutta la nostra spiritualità, essa si compie in quegli istanti in cui riusciamo a spogliarci completamente di noi stessi per accogliere le forze dello spirito, che scendendo in noi creano l'uomo nuovo. La preghiera è lo stato di offerta della terra all'opera santificatrice e ordinatrice di Dio. Quando ci spogliamo di tutte le nostre persuasioni, di tutte le convinzioni mentali, di tutta la nostra volontà, di tutti i nostri modi di vedere e facciamo un silenzio totale in noi stessi abbandonando anche ciò che ci è stato detto dagli uomini per giungere a Dio, e ci offriamo, con totale abbandono, alle forze dello Spirito, allora la grazia scende in noi e ci rende creature feconde e ordinate.
Giovanni Vannucci, Libertà dello spirito, Cens Liscate-Milano, 1985

giovedì 28 luglio 2016

1195 - ULTIMA LETTERA DI PADRE JACQUES HAMEL

Lettera inviata ai suoi fedeli da padre Jacques Hamel prima delle vacanze estive:

La primavera è stata piuttosto freddina. Se il nostro umore è stato un po' depresso, pazienza: l'estate arriverà. E così pure le vacanze. Le vacanze sono un periodo nel quale prendere le distanze dalle nostre occupazioni quotidiane.
Ma non sono una semplice parentesi: sono un periodo di riposo, ma anche di ricarica, di incontri, di condivisione, di convivialità.
Un tempo di ricarica: alcuni si prenderanno qualche giorno per un ritiro spirituale o un pellegrinaggio.
Altri rileggeranno il Vangelo, soli o in compagnia, la vera parola del nostro quotidiano.
Altri ancora potranno ricaricarsi con il grande libro della Creazione, ammirando paesaggi talmente diversi e magnifici da innalzarci e parlarci di Dio.
Che noi possiamo in quei momenti ascoltare l'invito di Dio a prenderci cura di questo pianeta e a farne, dove lo abitiamo, un mondo più ospitale, più umano, più fraterno.
Un tempo di incontri, con conoscenti e con amici: un momento per cogliere l'occasione di vivere qualcosa insieme.
Un momento per prestare attenzione al nostro prossimo, quale esso sia. Un tempo di condivisione: un momento per condividere la nostra amicizia, la nostra gioia.
Per condividere il nostro sostegno ai più piccoli, mostrando loro quanto contino per noi.
Un tempo di preghiera, anche: cerchiamo di presentare attenzione a ciò che accadrà nel nostro mondo in quel periodo.
Preghiamo per coloro che hanno maggiormente bisogno delle nostre preghiere, per la pace, per una vita migliore insieme. Sarà ancora l'anno della Misericordia.
Facciamo sì che il nostro cuore presti attenzione alle cose belle, al singolo individuo e a tutti coloro che rischiano di sentirsi un po' più soli.
Che le vacanze ci permettano di fare il pieno di gioia, di amicizia e di ricarica.
E allora, meglio equipaggiati, potremo riprendere insieme il cammino.
Buone vacanze a tutti!
 

1194 - LA PARABOLA DI LAZZARO

Nella lettura del Vangelo di Luca 16,19-31 di domenica 31 luglio continua la meditazione su povertà e ricchezza, con una parabola evangelica molto nota e ricca di spunti. Vi è una sorta di contrappasso: Lazzaro ha sofferto in terra e gode in paradiso; l’uomo ricco, che ha goduto in terra, ora soffre all’inferno.
Dobbiamo però tentare una lettura più profonda di questa ricca parabola.
1. Il ricco senza nome. La parabola chiama il povero per nome, mentre il ricco rimane anonimo: un particolare non trascurabile. Il povero Lazzaro, in realtà, è “ricco” della sua povertà e, presentandosi “vuoto” davanti al giudizio di Dio, può essere riempito della misericordia del Padre. Il ricco, invece, ha reso opaca la sua figura. Le ricchezze arricchiscono solo quando sono usate per gli altri; quando sono accumulate per se stesse, sbiadiscono il volto del ricco, che alla morte si presenta davanti a Dio carico non di piaghe da guarire (come il povero), ma di superbia che pretende un premio. Di fronte a un cuore che si è affidato solo alle ricchezze, la misericordia di Dio si ferma perché non sa dove posarsi. Il Vangelo continua così a metterci in guardia dalle ricchezze; esse sono ingannevoli non perché malvage in sé, ma perché possono dare l’illusione di pretendere la ricompensa anche di fronte a Dio.
2. «Ti prego di mandare Lazzaro a casa di mio Padre». Questo particolare ci dice una cosa molto importante: anche nel profondo dell’inferno il ricco non capisce dove ha sbagliato e si preoccupa dei propri familiari e non dei figli o della moglie di Lazzaro. Questo aspetto rende bene l’accecamento che possono provocare le ricchezze. I cristiani saranno interrogati sulla carità verso i fratelli; e questo non solo alla fine della vita, ma ogni giorno. Lo scandalo più grande è la mancanza di amore e di uguaglianza tra coloro che, in forza del Battesimo, sono costituiti in una profonda fraternità. Sant’Ambrogio diceva: «Il superfluo dei ricchi è il necessario dei poveri». La dottrina sociale della Chiesa insegna che chi possiede le ricchezze è solo l’amministratore di beni che hanno in sé come necessaria una destinazione sociale. Amministrare il denaro per “quelli della propria casa” senza preoccuparsi della giustizia e della carità verso i più poveri è contro il Vangelo.
3. «Hanno Mosè e i Profeti; ascoltino loro». In termini evangelici potremmo dire: «I cristiani hanno le beatitudini del Vangelo: ascoltino quelle!». È necessario dare un contenuto moderno e praticabile alla beatitudine della povertà, di fronte a un mondo che ruota attorno alla ricchezza. La virtù della povertà combatte la miseria e l’ingiustizia, che sono offese gravi alla dignità dell’immagine divina scritta sul volto di ogni uomo. Il cristiano sa che la virtù della povertà sgorga dalla fiducia in Dio: il povero è colui che considera Dio il suo vero tesoro e fa delle ricchezze uno strumento della carità. Il cristiano povero non disprezza nulla di ciò che Dio ha creato, ma sa che i beni sono di tutti e che tutti debbono poterne godere in pace. La povertà salva la carità, rinfresca la speranza e rende concreta la fede.
Commento di don Luigi Galli

domenica 10 luglio 2016

1193 - LE VIE PER ENTRARE NELLA VITA ETERNA

Volete che parli delle vie della riconciliazione con Dio? Sono molte e svariate, però tutte conducono al cielo. La prima è quella della condanna dei propri peccati. Confessa per primo il tuo peccato e sarai giustificato (Is 43,26). Perciò anche il profeta diceva: « Ho detto: Confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la malizia del mio peccato » (Sal 32,5). Condanna dunque anche tu le tue colpe. Questo è sufficiente al Signore per la tua liberazione. E poi se condanni le tue colpe sarai più cauto nel ricadervi…
Questa è dunque una via di remissione, e ottima; ma ve n’è un’altra per nulla inferiore: non ricordare le colpe dei nemici, dominare l’ira, perdonare i fratelli che ci hanno offeso. Anche così avremo il perdono delle offese da noi fatte al Signore. E questo è un secondo modo di espiare i peccati. « Se voi infatti perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche a voi » (Mt 6,14).
Vuoi imparare ancora una terza via di purificazione? È quella della preghiera fervorosa e ben fatta che proviene dall’intimo del cuore… Se poi ne vuoi conoscere anche una quarta, dirò che è l’elemosina. Questa ha un valore molto grande. Aggiungiamo poi che, se uno si comporta con temperanza e umiltà, distruggerà alla radice i suoi peccati con non minore efficacia dei mezzi ricordati sopra. Ne è testimone il pubblicano che non era in grado di ricordare opere buone, ma al loro posto offrì l’umile riconoscimento delle sue colpe e così si liberò dal grave fardello che aveva sulla coscienza (Lc 18,9).
Abbiamo indicato cinque vie di riconciliazione con Dio… Non star dunque senza far nulla, anzi ogni giorno cerca di avanzare per tutte queste vie, perché sono facili, e non puoi addurre la tua povertà per esimertene.
San Giovanni Crisostomo (ca 345-407), Omelia sulle vie della riconciliazione 2, 6

1192 - CHI E' IL MIO PROSSIMO?

Cari fratelli e sorelle, buongiorno!
Oggi la liturgia (del rito romano)ci propone la parabola detta del “buon samaritano”, tratta dal Vangelo di Luca (10,25-37). Essa, nel suo racconto semplice e stimolante, indica uno stile di vita, il cui baricentro non siamo noi stessi, ma gli altri, con le loro difficoltà, che incontriamo sul nostro cammino e che ci interpellano. Gli altri ci interpellano. E quando gli altri non ci interpellano, qualcosa lì non funziona; qualcosa in quel cuore non è cristiano. Gesù usa questa parabola nel dialogo con un dottore della legge, a proposito del duplice comandamento che permette di entrare nella vita eterna: amare Dio con tutto il cuore e il prossimo come sé stessi (vv. 25-28). “Sì – replica quel dottore della legge – ma, dimmi, chi è il mio prossimo?” (v. 29). Anche noi possiamo porci questa domanda: chi è il mio prossimo? Chi devo amare come me stesso? I miei parenti? I miei amici? I miei connazionali? Quelli della mia stessa religione?... Chi è il mio prossimo?
Gesù risponde con questa parabola. Un uomo, lungo la strada da Gerusalemme a Gerico, è stato assalito dai briganti, malmenato e abbandonato. Per quella strada passano prima un sacerdote e poi un levita, i quali, pur vedendo l’uomo ferito, non si fermano e tirano dritto (vv. 31-32). Passa poi un samaritano, cioè un abitante della Samaria, e come tale disprezzato dai giudei perché non osservante della vera religione; e invece lui, proprio lui, quando vide quel povero sventurato, «ne ebbe compassione. Gli si fece vicino, gli fasciò le ferite […], lo portò in un albergo e si prese cura di lui» (vv. 33-34); e il giorno dopo lo affidò alle cure dell’albergatore, pagò per lui e disse che avrebbe pagato anche tutto il resto (cfr v. 35).
A questo punto Gesù si rivolge al dottore della legge e gli chiede: «Chi di questi tre – il sacerdote, il levita, il samaritano – ti sembra sia stato il prossimo di colui che è caduto nelle mani dei briganti?». E quello naturalmente - perché era intelligente - risponde: «Chi ha avuto compassione di lui» (vv. 36-37). In questo modo Gesù ha ribaltato completamente la prospettiva iniziale del dottore della legge – e anche la nostra! –: non devo catalogare gli altri per decidere chi è il mio prossimo e chi non lo è. Dipende da me essere o non essere prossimo - la decisione è mia -, dipende da me essere o non essere prossimo della persona che incontro e che ha bisogno di aiuto, anche se estranea o magari ostile. E Gesù conclude: «Va’ e anche tu fa’ così» (v. 37). Bella lezione! E lo ripete a ciascuno di noi: «Va’ e anche tu fa’ così», fatti prossimo del fratello e della sorella che vedi in difficoltà. “Va’ e anche tu fa’ così”. Fare opere buone, non solo dire parole che vanno al vento. Mi viene in mente quella canzone: “Parole, parole, parole”. No. Fare, fare. E mediante le opere buone che compiamo con amore e con gioia verso il prossimo, la nostra fede germoglia e porta frutto. Domandiamoci – ognuno di noi risponda nel proprio cuore – domandiamoci: la nostra fede è feconda? La nostra fede produce opere buone? Oppure è piuttosto sterile, e quindi più morta che viva? Mi faccio prossimo o semplicemente passo accanto? Sono di quelli che selezionano la gente secondo il proprio piacere? Queste domande è bene farcele e farcele spesso, perché alla fine saremo giudicati sulle opere di misericordia. Il Signore potrà dirci: Ma tu, ti ricordi quella volta sulla strada da Gerusalemme a Gerico? Quell’uomo mezzo morto ero io. Ti ricordi? Quel bambino affamato ero io. Ti ricordi? Quel migrante che tanti vogliono cacciare via ero io. Quei nonni soli, abbandonati nelle case di riposo, ero io. Quell’ammalato solo in ospedale, che nessuno va a trovare, ero io.
Ci aiuti la Vergine Maria a camminare sulla via dell’amore, amore generoso verso gli altri, la via del buon samaritano. Ci aiuti a vivere il comandamento principale che Cristo ci ha lasciato. E’ questa la strada per entrare nella vita eterna.
Angelus di papa Francesco, 10 luglio 2016

venerdì 1 luglio 2016

1191 - SOLIDARIETA' NELLE CITTA'


1190 - LA SORGENTE DELLA SALVEZZA

Ciò che vi dirò è necessario al vostro bene.
Vi parlerò, infatti, dell’inesauribile sorgen-te divina.
Però, per quanto sembri paradossale, vi dirò, non estinguete mai la vostra sete.
Così potrete continuare a bere alla sorgente della vita senza smettere mai di desiderarla.
È la stessa sorgente, la fontana dell’acqua viva che vi chiama a sé e vi dice: “Chi ha sete venga a me e beva”. È dunque il Signore. Il nostro Dio Gesù Cristo questa sorgente di vita che c’invita a sé perché noi beviamo.
Beve di lui chi lo ama. Beve di lui chi si disseta alla parola di Dio. Chi lo ama ardentemente e con vivo desiderio.
Beve di lui chi arde d’amore per la sapienza. Con tutta la forza del nostro amore, beviamo di lui che è la nostra sorgente; attingiamo da lui con tutta l’intensità del nostro cuore e gustiamo la dolcezza del suo amore.
(San Colombano abate, Istruzioni)

1189 - LE DONNE NELLA SOCIETA'


1188 - LA CHIESA

La chiesa deve collaborare ai doveri profani della vita sociale, non dominando, ma aiutando e servendo. Deve dire agli uomini di tutte le professioni che cosa è una vita con Cristo, che cosa significa «esserci-per-gli-altri». In modo particolare la nostra chiesa dovrà opporsi ai vizi della hybris, dell’adorazione della forza, dell’invidia e dell’illusionismo in quanto radici di tutti i mali. Dovrà parlare di misura, autenticità, fiducia, fedeltà, costanza, pazienza, disciplina, umiltà, sobrietà, modestia. Non dovrà sottovalutare l’importanza e il significato del «modello» umano (che ha origine nell’umanità di Gesù ed è così importante in Paolo!): non per il tramite dei concetti, ma nel «modello» la sua parola troverà risonanza e forza”.
(Dietrich Bonhoeffer, Resistenza e resa, pp. 463-64
 

sabato 25 giugno 2016

1187 - RICORDANDO DON LORENZO MILANI

È tanto difficile che uno cerchi Dio se non ha sete di conoscere. Quando con la scuola avremo risvegliato nei nostri giovani operai e contadini quella sete sopra ogni altra sete e passione umana, per portarli poi a porsi il problema religioso sarà un giochetto. Saranno simili a noi, potranno vibrare di tutto ciò che fa noi vibrare. Tutto il problema si riduce qui, perché non si può dare che quel che si ha. Ma quando si ha, il dare viene da sé, senza neanche cercarlo, purché non si perda tempo. Purché si avvicini la gente su un livello d’uomo cioè a dir poco un livello di Parola e non di gioco».
Tratto da "Esperienze pastorali", Firenze 1958, pag.237
 
 

1186 - SEGUIRE GESU'

Seguire Cristo vuol dire legarsi a lui. Cristo esiste, ne deriva la necessità di seguirlo. Un'idea di Cristo, una dottrina, una generale conoscenza religiosa della grazia o del perdono dei peccati non richiede obbedienza, anzi, veramente la esclude, ne è nemica. Con un'idea si entra in un rapporto di conoscenza, di entusiasmo, forse anche di realizzazione, ma mai di un impegno personale di obbedienza. Un impegno senza Gesù vivente necessariamente rimane un cristianesimo senza impegno di obbedienza; e un cristianesimo senza impegno di obbedienza è sempre un cristianesimo senza Gesù Cristo; è un'idea, un mito. Un cristianesimo in cui c'è solo Dio Padre, ma non Cristo il Figlio vivente, annulla addirittura l'impegno a seguirlo. In esso, si trova fiducia in Dio, ma non obbedienza. Solo perché il Figlio di Dio si è fatto uomo, perché è mediatore, il giusto rapporto con lui è l'obbedienza. L'obbedienza è legata al mediatore, e dove si parla correttamente dell'impegno a seguirlo, lì si parla del mediatore Gesù Cristo. Solo il mediatore, il Dio-uomo può invitare a seguire.

Seguire significa compiere determinati passi. Già il primo passo fatto dopo la chiamata separa colui che segue Gesù dalla sua vita passata. Così la chiamata a seguire crea subito una nuova situazione. Restare nella situazione di prima e seguire sono due posizioni che si escludono a vicenda. Questo, in un primo periodo, era chiaramente visibile. Per poter seguire Gesù il pubblicano doveva abbandonare il suo impiego, Pietro le sue reti. Secondo il nostro modo di vedere anche allora le cose si sarebbero potute svolgere diversamente. Gesù avrebbe potuto trasmettere al pubblicano una nuova conoscenza di Dio e lasciarlo nella sua situazione precedente. Se Gesù non fosse il Figlio di Dio divenuto uomo, la cosa sarebbe possibile. Ma dato che Gesù è il Cristo, era necessario che si riconoscesse subito chiaramente che la sua parola non è una dottrina, ma una ri-creazione dell'esistenza. Si trattava di incamminarsi realmente con Gesù. Con il fatto stesso di chiamare uno al suo seguito Gesù gli diceva che per lui non c'era altra possibilità di credere tranne quella di abbandonare tutto e di mettersi in cammino con il Figlio di Dio divenuto uomo. […] Finché Levi resta seduto alla dogana o Pietro presso le sue reti, essi possono esercitare onestamente e fedelmente la loro professione, possono avere concezioni vecchie o nuove di Dio, ma se vogliono imparare a credere in Dio essi devono seguire il Figlio di Dio divenuto uomo, devono camminare con lui.
(Estratti da Sequela di Dietrich Bonhoeffer, ed. Queriniana)

venerdì 17 giugno 2016

1185 - PROMESSE

Prometti a te stesso di infondere bontà‚
bellezza‚ amore ad ogni persona che incontri;
di far sentire a tutti i tuoi amici che c’è
qualcosa di grande in loro;
di guardare al lato bello di ogni cosa e di lottare
perché il tuo ottimismo diventi realtà.
Prometti a te stesso di pensare solo al meglio‚
lavorare solo per il meglio; di aspettarti solo il meglio;
di essere entusiasta del successo degli altri
come lo sei del tuo.
Prometti a te stesso di dimenticare gli errori
del passato per guardare a quanto di grande puoi
fare in futuro‚
di essere sereno in ogni circostanza e di
regalare un sorriso ad ogni creatura che incontri;
di dedicare così tanto tempo a migliorare il tuo
carattere da non aver tempo per criticare gli altri.
Prometti a te stesso di essere troppo nobile per
l’ira‚ troppo forte per la paura‚
troppo felice per lasciarti vincere dal dolore.
(Christian Daa Larson, 1874 -1954)

sabato 14 maggio 2016

1184 - DOMENICA DI PENTECOSTE

Lettura del Vangelo secondo Giovanni 14,15-20
Si potrebbe dire che la festa di Pentecoste è la più importante dell’anno, perché solo il mistero dell’effusione dello Spirito rende possibile la sequela di Gesù e quindi la vita cristiana: senza lo Spirito Santo non esiste cristianesimo. Il lavorìo incessante e nascosto dello Spirito che santifica i cuori dei credenti è chiamato, nel linguaggio che ben conosciamo, grazia santificante. Nel cristianesimo tutto è grazia, perché la vita soprannaturale può essere solo un dono che viene dall’alto e non un processo di perfezionamento frutto dell’impegno umano. La libertà è chiamata in gioco come condizione per far fruttificare il dono, e non per meritarlo. Il nostro brano evangelico, per essere compreso in profondità, va inserito in questo straordinario progetto di salvezza che prevede, per i meriti di Gesù crocifisso, la partecipazione dell’uomo alla vita stessa di Dio.
1. «Il Padre vi darà un altro Paraclito». Il nome«Paraclito», nonostante a noi possa suonare strano, indica una realtà bellissima. «Paraclito» vuol dire colui che ti difende e che parla a tuo favore: è un grande avvocato. Avvocato di chi? Prima di tutto di Gesù: lo Spirito Santo “difende” Gesù nel cuore dei credenti;è lo Spirito che convince della bontà della fede e che spinge ad affidarsi a Gesù. Dal punto di vista emotivo e psicologico sembra che siamo noi a fare tutto ciò, ma nella realtà profonda è lo Spirito che agisce; nessuno può dire:«Abbà, Padre», se non per mezzo dello Spirito. Ma lo Spirito è anche il nostro Paraclito perché trasforma la nostra vita con la forza della grazia fino a renderci capaci di vivere la carità di Dio.
2. «Io sono nel Padre e voi in me». Questa straordinaria comunione d’amore è resa possibile dalla discesa della Spirito Santo. Stupisce che sia così poco considerato e conosciuto l’effetto straordinario della consacrazione della Cresima; questo sacramento dà compimento al Battesimo, perché dona la perfetta comunione con Dio.La Trinità prende stabile dimora nel cuore del cristiano; qui le parole balbettano e lasciano il posto all’esperienza dell’intimità divina che si sperimenta nella preghiera e nell’amore verso Dio e i fratelli. Si tocca il mistero della grazia. Lo Spirito in noi rende l’amore una virtù (cioè un’abitudine) soprannaturale: Dio ama attraverso di me; così alle mie sorelle e ai miei fratelli giunge un amore che è frutto della grazia.
3. «Io vivo e voi vivrete». La vita giunge attraverso l’amore e con verità potremmo dire che il dono dello Spirito rende la vita del credente un sacramento dell’amore di Dio; questo vale per gli amici, per gli sposi, per i compagni di lavoro, per i nemici, per i vicini e per i lontani. Lo Spirito abita stabilmente nel mio cuore e fa sì che la mia libertà trasformi il mio amore nel segno della presenza di Dio. Oltre a chiedere un ricordo vicendevole nella preghiera, dovremmo anche dire, almeno qualche volta, «amami». L’amore è più efficace della preghiera. Se fai qualcosa per la mia felicità, io scoprirò la presenza dell’amore di Dio nel tuo gesto.
don Luigi Galli

venerdì 29 aprile 2016

1183 - INTENZIONE DEL PAPA PER IL MESE DI APRILE

1182 - V DOMENICA DI PASQUA

Continua la rilettura credente della Pasqua di Gesù. La seconda parte del brano del Vangelo (Giovanni 16,12-22) di oggi è enigmatica: «Un poco e non mi vedrete; un poco ancora e mi vedrete»; i discepoli non capiscono che Gesù si riferisce alla sua morte e risurrezione. Il«poco» di cui parla Gesù è la sua visita agli inferi: scende nella morte e regala a tutti la vita. Nella Pasqua Gesù affronta il nemico dell’uomo e lo sconfigge: ormai gli inferi non hanno più le porte. Questa è «tutta la verità»che sarà pienamente compresa con la venuta dello Spirito Santo.
1. L’attesa dello Spirito. I discepoli non potevano capire, perché la verità della Pasqua può essere svelata solo dallo Spirito Santo. Solo lo Spirito infatti, e non la forza dell’intelligenza umana, conosce lo straordinario disegno di Dio. Quando i discepoli hanno visto Gesù in croce, e persino quando hanno fatto l’esperienza di lui risorto, hanno avuto paura; si saranno chiesti: «Ma cosa significa tutto questo? E ora che dobbiamo fare?». Con lo Spirito tutto diventa chiaro: egli svela la grandezza dell’amore di Dio che è disposto a “regalare” il Figlio per salvare gli uomini dalla morte. Il Padre chiede al Figlio di diventare lo“spettacolo” dell’amore. In questo modo nella Pasqua non solo conosciamo Dio, ma impariamo il senso pieno della vita umana: la croce ci dice che il dono di sé è la grandezza della vita umana. Solo con la discesa dello Spirito Santo, la Pasqua di Gesù può diventare quella del discepolo.
2. La donna che partorisce è l’immagine della Chiesa. L’annuncio della salvezza è come un parto doloroso dopo una faticosa gestazione. Nella Chiesa c’è peccato e santità, forza e debolezza, fedeltà e tradimento, che si affrontano nei nostri giorni come in tutte le epoche della storia. Il nostro rischio è la “distrazione” che non ci permette di capire i segni dei tempi. È in atto una riforma della Chiesa che deve partire dal cuore di ogni credente; questa riforma è dolorosa e molti si oppongono perché non accettano la “tristezza” che la conversione impone. Cambiare è difficile per tutti: accogliere la misericordia del Padre fa nascere la Chiesa nel cuore dei credenti e questa nascita per molti può essere dolorosa.
3. La gioia che nessuno può togliere. «Vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e nessuno potrà togliervi la vostra gioia». Qual è la gioia di cui parla Gesù? È la gioia che viene dal dono dello Spirito, che infonde nei cuori l’amore stesso di Dio; essa nasce dalla fede e si alimenta ogni giorno nella speranza. È importante sottolineare ancora una volta che la forma che la gioia deve prendere è quella che si esprime in un rinnovato senso della Chiesa: la priorità della fede, oggi, è l’amore per la Chiesa. Ma è anche la gioia del Vangelo: il Vangelo non è un peso ma è fonte di gioia perché annuncia che è possibile e bello vivere la fedeltà a Gesù. Lo Spirito Consolatore ci fa capire che la vita cristiana è praticabile con entusiasmo proprio nella sua radicalità evangelica.
Commento di don Luigi Galli

1181 - IL TEMPO E L'ATTESA DI DIO

«Dio attende con pazienza che io voglia infine acconsentire ad amarlo. Dio attende come un mendicante che se ne sta in piedi, immobile e silenzioso, davanti a qualcuno che forse gli darà un pezzo di pane. Il tempo è l’attesa di Dio che mendica il nostro amore» .
Simone Weil

1180 -SANTA CATERINA DA SIENA: UNA VITA MISTICA E DI AZIONE

Le condizioni d'Italia e dell'Europa non erano felici, quando venne alla luce in Siena, nel 1347, la piccola Caterina. Già si profilava all'orizzonte la tristemente famosa «peste nera», che l'anno dopo infierì dovunque e seminò la desolazione e la morte in ogni paese e quasi in ogni famiglia. Altri mali funestavano il mondo civile, come le guerre, particolarmente quella dei cento anni tra Francia e Inghilterra, e le incursioni delle compagnie di ventura. Nel mondo religioso tutto quel secolo è riempito, per tre quarti, dal soggiorno dei Papi in Avignone, e poi dal grande scisma d'occidente, che si prolungò fino al 1417. Figlia di un tintore di panni, penultima di 25 nati, Caterina prese molto presto coscienza dei bisogni del mondo e, attratta dall'ideale apostolico domenicano, volle entrare nelle file del terz'ordine o, come allora si diceva in Siena, tra «le mantellate», le quali, pur non essendo suore né vivendo in comunità, portavano l'abito bianco e il mantello nero dell'ordine dei predicatori...
Le si raggruppava poi intorno una varia accolta di discepoli d'ogni ceto, attratti dalla sua pura fede e dalla schietta accoglienza della parola di Dio, senza mezzi termini e senza compromessi... Il progresso spirituale culminò con lo sposalizio nella fede, che poteva sembrare il sigillo di una vita votata all'isolamento e alla contemplazione. Invece il Signore, nel darle l'anello invisibile, intendeva unirla a sé nelle imprese del suo regno. La popolana ventenne vedeva ciò in termini di separazione dallo Sposo celeste, ma egli invece la rassicurava che intendeva stringerla di più a sé «mediante la carità del prossimo», cioè contemporaneamente sul piano della mistica interiore e su quello dell'azione esteriore o della «mistica sociale», com'è stato detto...
Passò dalla conversione di singoli peccatori alla riconciliazione tra persone o famiglie avversarie; alla rappacificazione fra città e repubbliche... L'impulso del maestro divino svelò in lei come un'umanità d'accrescimento. Per lei, figlia d'artigiani e donna senza lettere, cioè senza scuola né istruzione, la visione del mondo e dei suoi problemi superò enormemente i limiti del suo quartiere, fino a progettare la sua azione in termini mondiali.
San Giovanni Paolo II (1920-2005), papa
Lettera apostolica per il 6° centenario del transito di Santa Caterina da Siena, 29/04/1980 ( © Libreria Editrice Vaticana)

sabato 23 aprile 2016

1179 - V DOMENICA DI PASQUA

La parole del Vangelo di Giovanni 13,31b-35 furono scritte dopo la discesa dello Spirito Santo; così il Vangelo di oggi ci permette di leggere in profondità il mistero della Pasqua di Gesù.
1. Il Figlio dell’uomo è stato glorificato. Il termine «gloria» è molto importante nel Vangelo di Giovanni e ha un significato preciso: la gloria di Dio è la rivelazione, nella croce di Gesù, del suo disegno di amore per gli uomini. Essa si svela nel perdono del peccatore, perché rende evidente la misericordia di Dio. Dio è glorioso per ciò che ha fatto per ciascuno di noi; non dobbiamo pensare che tocchi a noi rendere gloria a Dio: egli non vuole nulla da noi se non lo stupore e il riconoscimento della bellezza sfolgorante del gesto di Gesù che, in croce, ha svelato quanto Dio ci ama. Il Padre, chiedendo a Gesù di salire sulla croce al nostro posto, non poteva farci un dono più bello; neppure la grandezza infinita della creazione è bella come l’amore che esce dal cuore di Gesù crocifisso.
2. Ancora per poco sono con voi. Con queste parole Gesù annuncia il suo ritorno al Padre, quello che noi chiamiamo «ascensione». I discepoli, dopo la Pentecoste, hanno fatto esperienze straordinarie, che hanno dato loro la certezza della risurrezione di Gesù. Insieme a lui hanno potuto rileggere la passione e capire perché il Figlio dell’uomo «doveva morire». Tra poco la liturgia ci inviterà ad accogliere la grazia che sarà donata da Gesù che ritorna al Padre. La liturgia del tempo pasquale è un continuo inno di gioia per la speranza gloriosa che il Risorto accende in noi. «Ora lo dico anche a voi: dove vado io, voi non potete venire». Ma allora cosa ci resta della risurrezione di Gesù se non ci porta con lui? Gesù non ci porta con lui, ma ci promette lo Spirito che avrà il compito di farci come lui. Questo sarà possibile attraverso l’obbedienza all’unico comandamento che, ormai, può rispecchiare la croce: «Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri». In questo modo il ritorno di Gesù al Padre coincide con l’inizio del cammino della Chiesa.
3. Un comandamento nuovo. Con questo comandamento nasce la Chiesa nel cuore dei discepoli di Gesù e nasce perché i discepoli debbono amare come ha amato Gesù. Impresa impossibile; ma nulla è impossibile a Dio che, con Gesù risorto, manderà lo Spirito d’amore per rendere possibile ciò che altrimenti sarebbe folle e impraticabile. Amare come Gesù infatti significa amare stando in croce. Per questo sappiamo che la Chiesa nasce dall’Eucaristia (cioè dalla croce). La Chiesa è il «corpo di Cristo» che vive nella storia ed è riconoscibile come Chiesa solo dall’amore che i cristiani vivono tra loro. Meno scorie non evangeliche (o addirittura anti-evangeliche) ci sono, più facile sarà per il mondo riconoscere la Chiesa. Noi cristiani abbiamo una carità urgente da fare al mondo: offrire l’opportunità di riconoscere la Chiesa. Se il mondo la riconoscesse (cioè se i cristiani si amassero tra loro), tutti gli uomini potrebbero, se lo volessero, incontrare l’amore di Dio.
Commento di don Luigi Galli

1178 - PREGHIERA ECUMENICA

Fa, Signore, che tutti gli uomini di buona volontà di tutte le Religioni,
a Nord e a Sud, in Oriente ed in Occidente, in responsabilità comune,
demoliscano le montagne dei malintesi,
riempiano i fossati dell'odio
e spianino strade verso un futuro in comune.
Fa che tacciano le armi nell'unico nostro mondo,
e fa invece risuonare più forte l'appello alla pace,
per tutti, senza differenze.
Signore, unico Dio: fa di tutti strumenti della tua pace!
Hermann Schaluck, ofm


1177 - BUSSO AL TUO CUORE

ll mio cuore, è davanti a te, o Signore,
si sforza ma da solo non può farcela:
ti prego fa' tu, ciò che egli non può.
Introducimi nella cella del tuo amore:
te lo chiedo, te ne supplico,
busso alla porta del tuo cuore.
E tu che mi fai chiedere, concedimi di ricevere.
Tu che mi fai cercare, fa' che ti trovi.
Tu che mi esorti a bussare, apri a chi bussa.
A chi darai se non dai a chi ti chiede?
Chi troverà se chi cerca, cerca inutilmente?
A chi darai se non ascolti chi ti prega?
O Signore, da te mi viene il desiderio,
da te mi venga anche l'appagamento.
Anima mia, sta unita a Dio, anche
importunatamente,
e tu Signore non la rigettare,
essa si consuma d'amore per te.
Ristorala, confortala,
saziala con il tuo amore e il tuo affetto.
Il tuo amore mi possieda totalmente,
perché con il Padre e con lo Spirito Santo,
tu sei il solo Dio benedetto nei secoli dei secoli.
(Sant' Anselmo d'Aosta)

sabato 16 aprile 2016

1176 - IV DOMENICA DI PASQUA

Il Vangelo di oggi (Gv.15,9-17) è una pagina densissima e ci invita a meditare in profondità la natura della nostra fede. Gesù descrive in modo nitido e chiaro il percorso della fede in lui. Lo riprendiamo in quattro tappe.
1. «Io ho amato voi». Tutto parte dall’amore che Gesù ha per noi: è il punto di partenza da cui non si può prescindere. A Pasqua abbiamo visto Gesù crocifisso e lo abbiamo rivisto risorto e fatto Signore dell’universo. In questo modo l’evento pasquale di Gesù è il fondamento e la ragione della fede. Infatti credere significa accogliere il Vangelo della Pasqua e riconoscere in esso la forma storica e spettacolare che ha manifestato, in modo completo e definitivo (sulla croce tutto «è compiuto»), l’amore del Padre per ogni essere umano e per tutta la creazione. Da Gesù ci giunge la notizia che l’amore del Padre è fedele e non permetterà che nulla, di quello che egli ha fatto e ama, potrà mai andare perduto. Da questo amore non ci si può staccare; staccarsi da Gesù vuol dire allontanarsi da Dio e dalla salvezza.
2. Rimanere nell’osservanza dell’amore. Questo amore di Dio non è un atto compiuto una tantum e solo per alcuni. È un amore che resta per sempre perché la nuova alleanza è stata sigillata con il sangue del Figlio di Dio. Di questo amore ci si può fidare e su questo amore si può ragionevolmente far poggiare tutta la vita, la mia e quella di ogni essere umano. La croce è l’àncora sicura di salvezza, è l’amore che mai abbandona. Da qui nasce l’invito di Gesù a «rimanere nel suo amore»: non è un restarvi volontaristicamente, con i propri sforzi, ma un abbandonarsi sereno nelle braccia del Padre che sono sempre pronte ad accogliere.
3. L’amore più grande. L’amore con cui siamo amati e che siamo chiamati a vivere con i fratelli è fedele in modo incondizionato. Lo scopo della mia vita è che il mio fratello viva, allo stesso modo Gesù ha vissuto la sua Pasqua come atto supremo di fedeltà al Padre; il corpo di Gesù, cioè la carne di Dio, è la garanzia dell’amore divino, dunque senza confini. In qualche modo il cristiano è chiamato a vivere in questa immensità e a testimoniare che, da questo oceano di vita e di speranza, prende la forza e la gioia di donare, a sua volta, un amore senza confini. L’amore più grande viene dal Padre e, attraverso Gesù, è partecipato a tutti gli uomini, che diventano amici; per questi amici sono disposto anche a dare la mia vita. È un amore generativo, che dona gioia a chi dà e a chi riceve; è gratuito, perché si preoccupa solo che l’altro viva.
4. La mia gioia in voi. La gioia è frutto di tre cose: sicurezza, pienezza, appagamento. L’amore costruito sulla roccia che è Gesù offre stabilità perché nasce nuovo ogni giorno dal suo amore: non devo meritarlo, devo solo trarne un alimento gratuito. «Chi è senza denaro venga: mangi e beva», è l’invito del profeta Isaia. Dona pienezza, cioè offre la possibilità di una vita santa, l’unica pienamente umana. L’amore di Gesù libera da ogni paura: dove c’è l’amore, non può esserci la paura.
don Luigi Galli