Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 29 novembre 2014

1000 - VIVERE L'AVVENTO

Vivere l' Avvento significa saper aspettare. Attendere è un'arte che il nostro tempo ha dimenticato. Dobbiamo attendere le cose più grandi e profonde del mondo, e questo non si può fare nel tumulto, ma secondo le leggi divine del germogliare, crescere e divenire.
(Dietrich Bonhoeffer)

999 - 3 DOMENICA DI AVVENTO

Da un’angolatura diversa rispetto a domenica scorsa, ritorna questa domenica la testimonianza di Giovanni Battista. Gesù, infatti, ci dice che la sua testimonianza è superiore a quella di Giovanni. Dobbiamo farci due domande: perché la testimonianza di Gesù è superiore a quella di Giovanni? Di cosa è testimone (martire) Gesù? La testimonianza di Gesù è superiore perché lui ha dalla sua la testimonianza del Padre. In questa pagina del Vangelo si nota un crescendo: Giovanni è testimone di Gesù, Gesù è testimone del Padre e il Padre garantisce la testimonianza di Gesù. Come si vede la parola-chiave è “testimonianza”.
Cosa significa? Uno è testimone di qualcosa se dice la verità e la dice in modo che ci si possa fidare di lui. Il Vangelo di oggi ci parla della testimonianza di Gesù: è lui l’inviato del Padre e la sua testimonianza è vera. Gesù è affidabile perché è un “martire di Dio”: annunciando la Parola, egli compie l’opera che il Padre gli ha dato da fare; il suo non è un martirio astratto, ma le sue parole diventano opere e le sue opere sono parole che dicono la verità. Ora siamo in grado di rispondere alla seconda domanda: Giovanni introduce Gesù e Gesù rivela il cuore del Padre; questo avviene nell’incarnazione. La cosa è straordinaria: il Natale, che è la nascita di Dio che diventa uomo tra gli uomini, fa sì che la rivelazione di chi è Dio non sia legata a idee o a parole astratte, ma alla persona viva che è Gesù.
La persona di Gesù è la Verità e il Padre certifica (testimonia) la Verità di quanto Gesù dice e fa. Questa rivelazione divina svela il cuore di Dio. Gesù può dire: «Chi vede me, vede Dio; chi ascolta me, ascolta Dio; chi tocca me, tocca Dio… chi ama me, ama Dio».Questo è il “miracolo” dell’incarnazione. Il cristiano non vive nell’astrattezza, ma la sua fede si consuma nella carne, cioè nella realtà terrena di ogni giorno, dove sta il cuore di Dio. Guardando a Gesù, “garantito” dalla testimonianza del Padre, comprendiamo nella fede chi è il nostro Dio. Bisogna superare un equivoco diffuso, secondo cui per essere cristiani basta credere in Dio: falso! Il cristiano ha una fede che gli fa conoscere Dio; l’amico di Gesù sa chi è il Padre: cosa fa, cosa vuole, come mi guarda, cosa pensa di me e come sta preparando il mio futuro.
Un generico “credere all’esistenza di Dio” non è neppure il primo passo verso il cristianesimo; io non credo in Dio: credo che Dio è il Padre di Gesù. E cosa fa il Padre di Gesù? Vive la relazione con il Figlio e con lo Spirito Santo, cioè è Amore in se stesso e verso gli uomini è infinita misericordia. E noi, cosa dobbiamo fare? La sollecitazione è chiara: fai anche tu il martire, cioè diventa affidabile come Gesù.
Scrivi con le tue parole e le tue opere il “quinto Vangelo”: questo è il tuo martirio. In questa domenica che ci avvicina al Natale il Signore ci dice: «Preparati: non sarà una passeggiata; ma non temere perché la strada che ti ho rivelato è quella giusta».
Commento di don Luigi Galli

998 - AVVENTO: ATTESA E PAZIENZA

" La venuta del Signore impone al cristiano attesa di ciò che sta per venire e pazienza verso ciò che non sa quando verrà. E la pazienza è l'arte di vivere l'incompiuto, di vivere la parzialità e la frammentazione del presente senza disperare. Essa non è soltanto la capacità di sostenere il tempo, di rimanere nel tempo, di perseverare, ma anche di sostenere gli altri, di sopportarli, cioè di assumerli con i loro limiti e portarli. Ma è l'attesa del Signore, l'ardente desiderio della sua venuta, che può creare uomini e donne capaci di pazienza nei confronti del tempo e degli altri."
(Enzo Bianchi, Le parole della spiritualità, BUR, 2014, pag. 54)

997 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - DICEMBRE 2014

INTENZIONE GENERALE
"Perché la nascita del Redentore porti pace, e speranza, a tutti gli uomini".

INTENZIONE MISSIONARIA
"Perché i genitori siano autentici evangelizzatori, trasmettendo ai figli il prezioso dono della fede".

INTENZIONE DEI VESCOVI
"Perché, nei credenti, cresca il desiderio di annunciare con gioia il Cristo, luce delle genti".

sabato 22 novembre 2014

996 - 2 DOMENICA DI AVVENTO 2014

Nelle prossime due domeniche saremo accompagnati dalla figura di Giovanni Battista. Nel Vangelo di oggi la parola chiave è «conversione». Il tempo del Vangelo inizia con la predicazione di Giovanni Battista. Per incontrare Gesù è necessario un percorso di “avvicinamento”: a questo serve il battesimo di penitenza praticato da Giovanni. L’appello è chiaro: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino». Questa formula è molto densa e vuole significare l’attesa e l’attenzione necessarie per poter riconoscere Gesù quando si presenterà nel suo Natale.
Anche il nostro Avvento, allora, ha bisogno di un “battesimo di penitenza”, cioè di una verifica per capire come e cosa fare per essere pronti quando il Signore verrà. Il Vangelo di oggi ci prende per mano e ci guida in quattro passaggi. Il primo: quale conversione? L’appello di Giovanni è rivolto alla nostra libertà, al luogo dove prendiamo le decisioni; letteralmente la parola greca che noi traduciamo con “conversione” andrebbe tradotta con “cercate di cambiare modo di pensare”.
Dunque devo chiedermi qual è il mio orientamento di fondo e da che parte sta andando la mia vita; ci si riferisce alla vita di fede, cioè alla decisione bella, libera, totale e semplice a favore di Gesù e dello stare con lui. Chi sta con Gesù sul serio e non per abitudine, inevitabilmente cambia modo di pensare; per questo le persone troppo legate alle loro idee, al loro passato, a forme determinate di religiosità fanno fatica a incontrare il Signore; in questo caso non c’è la fede dei poveri, ma c’è una povera fede. Il secondo: riconoscere il limite. Aspetto il mio Salvatore solo se ho coscienza che da solo non ce la farò mai a salvarmi. Io sono povero e incapace di fare un passo verso la salvezza; posso fare molto, ma non posso allungare neppure di un istante la mia vita e non ho idea (nessuno ha idea) di come fare per “uscire vivo dalla vita”. Questo è il Vangelo: Gesù solo è il “Salvatore della vita”.Non basta dire: «Sono battezzato» (nel Vangelo di oggi si dice «abbiamo Abramo per Padre»).
La scoperta del limite non mi umilia ma mi esalta; la mia libertà si carica di responsabilità per costruire il mondo secondo Dio e Dio, in Gesù, si prende cura di me e mette in salvo per l’eternità tutto l’amore che ho avuto nel cuore. Terzo: confessare la misericordia per scoprire il peccato. Il linguaggio del Battista è duro ma spinge a riconoscere l’amore di Dio e a prenderlo sul serio. Così, incamminandoci verso il Natale, dobbiamo confessare la misericordia di Dio perché il suo perdono gratuito e il nostro pentimento ci facciano scoprire – da cristiani liberi e non da sudditi spaventati – il nostro peccato.
Il perdono di Dio precede la scoperta del nostro peccato perché Dio è amore e solo il suo amore mi fa dire «ma che stupido sono stato! Come ho fatto a non vedere un amore così grande e a perdermi inseguendo cose così piccole e brutte?».Quarto: avere il fuoco nelle ossa. Come faccio ad ascoltare un appello così esigente? Nella vita sono così distratto e spesso angosciato da tanti eventi che la misericordia di Dio, la mia conversione verso il Natale di Gesù, la necessità di una “mente elastica”… mi sembrano cose astratte. Eppure questo è il Vangelo: ogni momento dato a lui non tradisce ma – meraviglia! – rende il centuplo. Questo è il fuoco del Battesimo!
Don Luigi Galli

995 - LA CORONA DELL'AVVENTO

“La luce splende nelle tenebre, ma le tenebre non l’hanno accolto” – “A quanti però l’hanno accolta ha dato il potere di diventare figli di Dio”: queste due espressioni del Vangelo di Giovanni, che si richiamano vicendevolmente, possono introdurci al tempo di Avvento, che è iniziato domenica scorsa.
In molte chiese è stata accesa la prima delle candele che indicano altrettante date del cammino verso il Natale.
Alcuni zelanti liturgisti non dimostrano eccessiva letizia per la “corona d’Avvento”: dicono che non è un segno liturgico, ma solo una tradizione che proviene dal mondo della riforma protestante. Hanno in parte ragione: quel simbolo non è un segno che esprime il Mistero, ma la liturgia è fedele anche all’umanità, agli uomini e alle donne del nostro tempo che comprendono i messaggi più attraverso i “segni” che non attraverso le “parole”. Gesù, infatti, parlava con parabole e annunciava la buona novella con “segni” umani (pane, vino, acqua, fango, imposizione delle mani…) senza ostentare posture ieratiche e sacrali, senza indossare paramenti sontuosi e barocchi (solo durante l’ultima cena si cinse il grembo con un grembiule!).
La “corona d’Avvento”, anche se originaria dalla riforma, è un segno, oltretutto, ecumenico che riunisce nel mistero del Natale cattolici, protestanti, anglicani. Penso che questo segno, così umano e semplice possa diffondere un anelito di mistero: l’inverno oscuro, i ceri ardenti, il cui numero cresce di domenica in domenica, simboleggiano l’oscurità che si allontana, finché, nel nostro rito ambrosiano, tutte e sei saranno accese: la pienezza del tempo apparirà allora nella luce.
Mentre la fiamma si fa progressivamente più splendente, nell’ombra che avvolge le giornate più corte dell’anno, la cera si scioglie. Nell’attesa, anche gli animi si consumano. Nella luce che aumenta, cresce la speranza e quando, nella notte santa, tutti i ceri saranno accesi, risorgerà la luce splendente del Natale. Si attenderà quella notte vegliando. Si abbandonerà la dolcezza della casa e ci si avvierà verso la chiesa in mezzo all’oscurità e alla nebbia che avvolgono le strade. Ricorderemo che Dio si è fatto uomo nella notte perché noi potessimo credere che Egli può illuminare qualsiasi tempo. Quella notte è un nuovo principio. Dai fondali dell’anima saliranno e si ingigantiranno le ombre, ma nella luce tutto riacquisterà la sua dimensione.
Cadranno le maschere e ogni uomo, davanti al Bambino nato e al pane spezzato condiviso da tutti nel vincolo della carità, apparirà quello che è: povero di relazioni autentiche e di veri sentimenti, nudo d’amore, assetato di concordia.
Le tenebre che sembravano avere il sopravvento nel mondo – l’odio, la guerra, la fragilità, la fame, l’ingiustizia, la persecuzione – saranno squarciate dalla luce.
Durante il nuovo anno, che presto giungerà, si accenderanno altre candeline: quelle sulla torta dei compleanni, quella della “Candelora”, quella, tremula e solenne, della veglia pasquale, quelle del Battesimo. Esse segneranno il tempo che trascorre e la nostra incapacità di viverlo in pienezza. Sforzandoci di accettarlo nella sua realtà, il “passato” da rievocare senza rimpianti e nostalgia, trasmettendolo ai figli e ai nipoti, diventerà “presente” da vivere per preparare il “futuro” che sta oltre la frontiera della morte, “nell’attesa della Sua venuta”.
Edoardo Zin - 21/11/2014, in
http://www.rmfonline.it/

994 - LA VOCAZIONE ALLA SANTITA'

Cari fratelli e sorelle,

un grande dono del Concilio Vaticano II è stato quello di aver recuperato una visione di Chiesa fondata sulla comunione, e di aver ricompreso anche il principio dell’autorità e della gerarchia in tale prospettiva. Questo ci ha aiutato a capire meglio che tutti i cristiani, in quanto battezzati, hanno uguale dignità davanti al Signore e sono accomunati dalla stessa vocazione, che è quella alla santità (cfr Cost. Lumen gentium, 39-42). Ora ci domandiamo: in che cosa consiste questa vocazione universale ad essere santi? E come possiamo realizzarla?

Innanzitutto dobbiamo avere ben presente che la santità non è qualcosa che ci procuriamo noi, che otteniamo noi con le nostre qualità e le nostre capacità. La santità è un dono, è il dono che ci fa il Signore Gesù, quando ci prende con sé e ci riveste di se stesso, ci rende come Lui. Nella Lettera agli Efesini, l’apostolo Paolo afferma che «Cristo ha amato la Chiesa e ha dato se stesso per lei, per renderla santa» (Ef 5,25-26). Ecco, davvero la santità è il volto più bello della Chiesa: è riscoprirsi in comunione con Dio, nella pienezza della sua vita e del suo amore. Si capisce, allora, che la santità non è una prerogativa soltanto di alcuni: la santità è un dono che viene offerto a tutti, nessuno escluso, per cui costituisce il carattere distintivo di ogni cristiano.

Tutto questo ci fa comprendere che, per essere santi, non bisogna per forza essere vescovi, preti o religiosi... Tutti siamo chiamati a diventare santi! Tante volte, poi, siamo tentati di pensare che la santità sia riservata soltanto a coloro che hanno la possibilità di staccarsi dalle faccende ordinarie, per dedicarsi esclusivamente alla preghiera. Ma non è così! Qualcuno pensa che la santità è chiudere gli occhi e fare una faccia da immaginetta, no non è quella la santità; la santità è qualcosa di più grande, più profondo che ci dà Dio. Anzi, è proprio vivendo con amore e offrendo la propria testimonianza cristiana nelle occupazioni di ogni giorno che siamo chiamati a diventare santi. E ciascuno nelle condizioni e nello stato di vita in cui si trova. Tu sei consacrato o consacrata? Sii santo vivendo con gioia la tua donazione e il tuo ministero. Sei sposato? Sii santo amando e prendendoti cura di tuo marito o di tua moglie, come Cristo ha fatto con la Chiesa. Sei un battezzato non sposato? Sii santo compiendo con onestà e competenza il tuo lavoro e offrendo del tempo al servizio dei fratelli. Ma padre, io lavoro in una fabbrica, io lavoro da ragioniere sempre con i numeri, lì non si può essere santi; sì, si può! Lì dove lavori tu puoi diventare santo! Dio ti dà la grazia di diventare santo. Dio comunica con te sempre, in ogni posto si può diventare santo, cioè aprirsi a questa grazia che ci lavora dentro e ci porta alla santità. Sei genitore o nonno? Sii santo insegnando con passione ai figli o ai nipoti a conoscere e a seguire Gesù. E ci vuole tanta pazienza per questo, per essere un buon genitore un buon nonno, una buona madre, una buona nonna, ci vuole tanta pazienza e in questa pazienza viene la santità, esercitando la pazienza. Sei catechista, educatore o volontario? Sii santo diventando segno visibile dell’amore di Dio e della sua presenza accanto a noi. Ecco: ogni stato di vita porta alla santità, sempre! A casa tua, sulla strada, nel lavoro, in chiesa, in qualsiasi momento e stato di vita, è stata aperta la strada verso la santità; non scoraggiatevi di andare su questa strada! È Dio che ti dà la grazia! L’unica cosa che chiede il Signore è che noi siamo in comunione con Lui e al servizio dei fratelli.

A questo punto, ciascuno di noi può fare un po’ di esame di coscienza: adesso possiamo farlo, ognuno risponde dentro di sé, in silenzio. Come abbiamo risposto finora alla chiamata del Signore alla santità? Ho voglia di diventare un po’ migliore? Di essere più cristiano, più cristiana? Questa è la strada della santità. Quando il Signore ci invita a diventare santi, non ci chiama a qualcosa di pesante e di triste, tutt’altro! È l’invito a condividere la sua gioia, a vivere e a offrire con gioia ogni momento della nostra vita, facendolo diventare allo stesso tempo un dono d’amore per le persone che ci stanno accanto. Se comprendiamo questo, tutto cambia e acquista un significato nuovo, un significato bello, a cominciare dalle piccole cose di ogni giorno. Un esempio: una signora va al mercato a fare la spesa, trova una vicina e cominciano a parlare e poi vengono le chiacchiere, e questa signora dice: no, io non sparlerò di nessuno; ecco, quello è un passo verso la santità! Questo ti aiuta a diventare più santo. Poi, a casa tua il figlio ti chiede di parlare un po’ delle sue cose fantasiose e tu dici sono tanto stanco, ho lavorato tanto; ma tu accomodati e ascolta tuo figlio che ha bisogno e tu lo ascolti con pazienza: questo è un passo verso la santità! Poi finisce la giornata, siamo

stanchi tutti, ma facciamo la preghiera: quello è un altro passo verso la santità! Poi arriva la domenica e andiamo alla Messa a fare la comunione, alcune volte una bella confessione che ci pulisca un po’: questo è un passo verso la santità! Poi la Madonna, tanto buona, tanto bella, prendo il rosario e la prego: questo è un passo verso la santità! Tanti piccoli passi verso la santità! Poi vado per strada e vedo un povero, un bisognoso, mi fermo ci parlo, gli do qualcosa: questo è un passo alla santità! Piccole cose sono piccoli passi verso la santità! Ogni passo verso la santità ci renderà delle persone migliori, libere dall’egoismo e dalla chiusura in se stesse, e aperte ai fratelli e alle loro necessità.

Cari amici, nella Prima Lettera di san Pietro ci viene rivolta questa esortazione: «Ciascuno viva secondo la grazia ricevuta, mettendola a servizio degli altri, come buoni amministratori di una multiforme grazia di Dio. Chi parla, lo faccia come con parole di Dio; chi esercita un ufficio, lo compia con l’energia ricevuta da Dio, perché in tutto venga glorificato Dio per mezzo di Gesù Cristo» (4,10-11). Ecco l’invito alla santità! Accogliamolo con gioia, e sosteniamoci gli uni gli altri, perché il cammino verso la santità non si percorre da soli, ognuno per conto proprio non può farlo, ma si percorre insieme, in quell’unico corpo che è la Chiesa, amata e resa santa dal Signore Gesù Cristo. Andiamo avanti con coraggio in questa strada della santità!
Grazie.
Papa Francesco, Udienza generale del 19 novembre 2014

sabato 15 novembre 2014

993 - PRIMA DOMENICA DI AVVENTO AMBROSIANO

Inizia con questa domenica l’Avvento ambrosiano. Avvento significa «arrivo di qualcuno» e quindi anche «attesa» di chi lo sta aspettando. La vita quotidiana del cristiano è fatta – come quella di ogni essere umano – di tempo e il tempo porta con sé la memoria del passato, la fede del presente, la fiduciosa speranza del futuro. Ogni secondo del tempo che ci è dato contiene queste tre dimensioni.
Il Vangelo della prima domenica di Avvento (Marco 13,1-27) ce lo dice con chiarezza: «Badate a voi stessi», cioè guardate dentro il vostro cuore. Nel cuore trovo la memoria della vita di Gesù, la gioia della presenza dello Spirito Santo che me lo fa amare e l’attesa dell’incontro faccia a faccia quando il Signore tornerà nella gloria. Riprendiamo queste tre dimensioni del tempo a partire dal Vangelo di oggi. La memoria del passato: l’Avvento ci orienta al Natale di Gesù. Gesù è nato tanto tempo fa e io vivo, nell’oggi dell’Eucaristia, la memoria e, dunque, l’attesa di quella nascita.
La gioia del presente: il Vangelo mi annuncia che, nel tempo che vivo, è presente lo Spirito Santo che tiene viva la fede in Gesù. Il nostro presente si manifesta spesso abitato dalla paura. Il linguaggio apocalittico del Vangelo è usato per descrivere la catastrofe della distruzione del tempio di Gerusalemme; lo stesso linguaggio potremmo usarlo noi, oggi, per descrivere la paura suscitata da tanti eventi. C’è paura nel mondo e nella Chiesa. Ma c’è anche una luce che risplende agli occhi di chi la sa vedere: quella dei martiri. Da quando Gesù è risorto la Chiesa mai ha avuto tanti martiri, che ci dicono che la fede in Gesù è ancora possibile perché, anche oggi, si può amarlo con tutto il cuore fino all’ultima goccia.
La fiduciosa speranza del futuro: il Vangelo e la venuta di Gesù ci dicono che il futuro è nelle mani di Dio e, perciò, il futuro sarà un tempo di misericordia e di pace. Con l’Avvento di Cristo, il mondo è posto nelle mani del Padre. La fatica della nostra fede consiste nell’attesa di ciò che è anticipato nella speranza.
Don Luigi Galli, assistente pastorale pressol' Università Cattolica

992 - LA VENUTA DEL SIGNORE

Con il tempo di Avvento si apre il cammino di un nuovo anno liturgico e stiamo richiamati al dovere della vigilanza. La liturgia, attraverso un linguaggio simbolico che chiede di essere interpretato correttamente, è annuncio della venuta del Signore.
I segni che vengono evocati non devono suscitare timore o smarrimento: non dobbiamo cercare di fuggire dalle difficoltà e dalle situazioni di profonda precarietà dell'esistenza quotidiana, ma orientare la nostra vita al Signore.
Il discepolo non vive nell'ansiosa attesa della "fine", ma nella certezza del compimento della storia. Per questo risuonano più che mai attuali le parole di Gesù: "Badate che nessuno vi inganni! Non allarmatevi: chi avrà perseverato fino alla fine sarà salvato".
 

venerdì 7 novembre 2014

991 - CRISTO RE DELL'UNIVERSO

Guardando a questo ultimo tempo della storia, che è la manifestazione definitiva del regno di Dio, comprendiamo come esso si manifesti solo nel mistero, in piccoli gesti simbolici ma significativi. 

Oggi per la Chiesa ambrosiana è l'ultima domenica dell'anno liturgico e si celebra la festa di nostro Signore Gesù Cristo re dell'universo. Non è facile cogliere come la regalità di Cristo appaia nella storia dell'umanità, piena di crudeltà e di violenze.
Occorre partire dal principio che la festa di Cristo Re dell'universo si svolge secondo due tempi: il primo è quello attuale, nascosto nel mistero. Il secondo è quello definitivo. Esso è il punto di arrivo di tutta la storia dell'umanità (e non solo della storia della Chiesa) e ne costituisce il punto di riferimento. 
Noi siamo in attesa di questo traguardo finale e puntiamo tutto su di esso. Non sarà semplicemente una glorificazione dei singoli e delle loro virtù, ma sarà la pienezza di vita nell'insieme dell'umanità, una sola cosa con Dio Padre, piena di meravigliosa trasparenza reciproca. 
in Carlo Maria Martini, Colti da stupore, pag. 29