Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 28 febbraio 2014

897 - DOMENICA DEL PERDONO

"In quel tempo. Il Signore Gesù disse ancora: «Un uomo aveva due figli. Il più giovane dei due disse al padre: “Padre, dammi la parte di patrimonio che mi spetta”. Ed egli divise tra loro le sue sostanze. Pochi giorni dopo, il figlio più giovane, raccolte tutte le sue cose, partì per un paese lontano e là sperperò il suo patrimonio vivendo in modo dissoluto. Quando ebbe speso tutto, sopraggiunse in quel paese una grande carestia ed egli cominciò a trovarsi nel bisogno. Allora andò a mettersi al servizio di uno degli abitanti di quella regione, che lo mandò nei suoi campi a pascolare i porci. Avrebbe voluto saziarsi con le carrube di cui si nutrivano i porci; ma nessuno gli dava nulla. Allora ritornò in sé e disse: “Quanti salariati di mio padre hanno pane in abbondanza e io qui muoio di fame! Mi alzerò, andrò da mio padre e gli dirò: Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio. Trattami come uno dei tuoi salariati”. Si alzò e tornò da suo padre.
Quando era ancora lontano, suo padre lo vide, ebbe compassione, gli corse incontro, gli si gettò al collo e lo baciò. Il figlio gli disse: “Padre, ho peccato verso il Cielo e davanti a te; non sono più degno di essere chiamato tuo figlio”. Ma il padre disse ai servi: “Presto, portate qui il vestito più bello e fateglielo indossare, mettetegli l’anello al dito e i sandali ai piedi. Prendete il vitello grasso, ammazzatelo, mangiamo e facciamo festa, perché questo mio figlio era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. E cominciarono a far festa. Il figlio maggiore si trovava nei campi. Al ritorno, quando fu vicino a casa, udì la musica e le danze; chiamò uno dei servi e gli domandò che cosa fosse tutto questo. Quello gli rispose: “Tuo fratello è qui e tuo padre ha fatto ammazzare il vitello grasso, perché lo ha riavuto sano e salvo”. Egli si indignò, e non voleva entrare. Suo padre allora uscì a supplicarlo. Ma egli rispose a suo padre: “Ecco, io ti servo da tanti anni e non ho mai disobbedito a un tuo comando, e tu non mi hai mai dato un capretto per far festa con i miei amici. Ma ora che è tornato questo tuo figlio, il quale ha divorato le tue sostanze con le prostitute, per lui hai ammazzato il vitello grasso”. Gli rispose il padre: “Figlio, tu sei sempre con me e tutto ciò che è mio è tuo; ma bisognava far festa e rallegrarsi, perché questo tuo fratello era morto ed è tornato in vita, era perduto ed è stato ritrovato”. (Lc. 15,11-32)

Di solito si preferisce il figlio minore, perché ha avuto il coraggio di tornare a chiedere perdono, e si guarda con antipatia al figlio maggiore, così poco generoso nei confronti del fratello. D’altra parte, aveva tutte le ragioni: suo fratello, il figlio minore, aveva chiesto quello che il diritto gli riconosceva, di ricevere la sua parte di eredità prima della morte del padre, per farsi la sua vita.
I due fratelli, a ben vedere, sono uguali. Perché il figlio minore se n’è voluto andare? Perché non ha provato a dialogare con suo padre, prima di pretendere la sua parte? E la chiede senza tentennamenti. Questo figlio ci descrive il cammino che percorre chi non si fida di suo padre: se ne va dalla terra, così importante per un ebreo; si reca in luoghi dove ci sono altri costumi e lingue e modi di vivere e ne resta affascinato e travolto: vive da dissoluto. Rinuncia pian piano anche alla sua fede, al suo Dio: facendosi custode di porci, diventa immondo.
Certo, arrivato al fondo, ha un guizzo di memoria: «Mio padre è buono. Se gli chiedo un lavoro, me lo dà». Torna sì a casa, ma non per chiedere perdono, solo per avere uno stipendio. Va da suo padre non come figlio, ma come operaio in cerca di lavoro da un padrone notoriamente buono. Torna non per essere figlio, ma per fare il servo!
È la stessa cosa che ha sempre fatto il fratello maggiore: «Io ti servo da tanti anni».
Non si è mai sentito figlio, ma solo servo! Anche lui conosce bene suo padre, sa che se il fratello minore torna, sarà riaccolto e perdonato. Lo capisce subito, appena sente musica e canti! Anche lui non parla con suo padre: invece di correre a casa e “farla fuori”, preferisce chiedere di nascosto, nell’ombra, a un servo buono: «Tuo fratello è qui e tuo padre fa festa». Allora si arrabbia e rimane fuori dalla casa: proprio come il fratello minore che se ne era allontanato! E non si sente più figlio: «Ora che è tornato questo tuo figlio!».
È il padre il protagonista. Ha rispettato la libertà del figlio minore, anche se è rimasto addolorato dal suo andarsene. Appena intuisce dove va a parare il discorso che quel figlio ha preparato per bene (vuole solo un lavoro) lo blocca: non sarà mai un salariato! Per lui è rimasto sempre suo figlio e, infatti, gli ridà l’anello con cui avrebbe potuto firmare assegni e contratti! È come se non fosse mai partito! Non si smette mai di essere figli per Dio!
Lo stesso accade con il figlio maggiore: gli va incontro, come ha fatto con il minore, e dopo aver sentito quelle parole così cattive e offensive, gli dice: «Bimbo mio»! Non solo “figlio” come si legge nella traduzione italiana, ma teknon, che in greco significa appunto «bimbo mio, piccolo mio». È con infinita tenerezza che il padre risponde al figlio che l’ha offeso!
Si può essere persone per bene; si può andare a Messa e obbedire ai comandamenti, ma non basta!
A Dio non interessa la nostra obbedienza, ma il nostro amore. Non ci vuole servi ma figli! Dio non ci attende per giudicarci, ma per abbracciarci!
Mons. Ennio Apeciti