Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

giovedì 30 gennaio 2014

890 - 31 GENNAIO: SAN GIOVANNI BOSCO

Cari fratelli e sorelle,
sono lieto di celebrare la messa in onore del nostro amato fondatore e padre Don Bosco, in questo anno in cui siamo invitati ad attingere alla sua spiritualità per camminare nella santità secondo la specificità della nostra vocazione.
Avvicinandosi il giubileo per il bicentenario della sua nascita è per me un’immensa gioia e stimolo trovarmi proprio nei luoghi dove lui è vissuto un’esperienza spirituale che fece di lui un ‘mistico dell’azione’ e che sbocciò in una affascinante e feconda scuola di santità. Qui vissero sua madre, Mamma Margherita, suoi insigni collaboratori San Luigi Orione, San Luigi Guanella, il Beato Leonardo Murialdo, i suoi successori, il Beato Michele Rua, il Beato Filippo Rinaldi, i suoi giovani santi come Domenico Savio. E da qui partì una costellazione di santità salesiana, che è riuscita a diffondersi in tutto il mondo.
Perciò questa sera vogliamo ringraziare il Signore in modo particolare per il dono di Don Bosco. Un dono che riguarda la sua figura storica, perché è la sorgente dalla quale sono nate tante bellissime iniziative, come la Congregazione Salesiana, l’Istituto delle Figlie di Maria Ausiliatrice, i Cooperatori Salesiani, e l’Associazione di Maria Ausiliatrice. Un dono che riguarda la sua pedagogia e il suo sistema preventivo oggi presente in variegatissime forme di opere di educazione formale, informale e non-formale, di promozione umana e di evangelizzazione. Un dono che si prolunga nella misura in cui Don Bosco viene preso come padre di vita spirituale e modello di progetto apostolico.
Da questo profilo la Parola di Dio diventa molto illuminante, perché ci fa vedere quale fu la grandezza di Don Bosco e come possiamo oggi imitarlo noi e continuare a realizzare il suo ‘sogno’: vedere felici i giovani nel tempo e nell’eternità.
Si tratta di quel sogno avuto a soli 9 anni, che segnò tutta la sua vita, perché allora ricevette assieme alla vocazione, la missione, il campo di azione e il metodo di lavoro. Ancora ragazzo, cominciò a intrattenere i coetanei con giochi alternati alla preghiera e all’istruzione religiosa. Diventato sacerdote, scelse come programma di vita la massima «Da mihi animas, cetera tolle», e iniziò il suo apostolato tra i giovani più poveri fondando l’Oratorio e mettendolo sotto la protezione di San Francesco di Sales.
Con il suo stile educativo e la sua prassi pastorale, basati sulla ragione, sulla religione e sull’amorevolezza (Sistema preventivo) portava gli adolescenti e i giovani alla riflessione, all’incontro con Cristo e con i fratelli, all’educazione alla fede e alla sua celebrazione nei sacramenti, all’impegno apostolico e professionale. Tra i più bei frutti della sua pedagogia emerge san Domenico Savio, quindicenne.
Tuttavia la sorgente della sua infaticabile attività e dell’efficacia della sua azione fu la sua convinzione di essere coinvolto nella trama di Dio, che esprimeva nella sua filiale familiarità con Lui, che lo faceva camminare come se vedesse l’Invisibile e vivere in permanente “unione con Dio”.
E ai suoi figli lasciò in eredità una spiritualità semplice ma solidamente fondata sulle virtù cristiane. Dal punto di vista mistico, la esprimeva con la massima: “Da mihi animas, cetera tolle”.
Ma dove e da chi imparò Giovanni Bosco questa scuola di spiritualità e di santità? Non c’è dubbio che Mamma Margherita fu la prima sua grande educatrice, poi i suoi direttori spirituali, come don Cafasso, quindi l’influsso di grandi santi che furono fonte della sua ispirazione.
Ma è stata la guida saggia e materna della Vergine Maria che lo guidò e accompagnò lungo la sua vita e nella fondazione della Congregazione e della Famiglia Salesiana. Tutte queste figure intervennero, a diverso livello, nella sua vita per aprirlo al messaggio evangelico e renderlo un buon discepolo di Gesù, un incomparabile lavoratore del Regno di Dio a favore dei ragazzi, specie i più poveri e in difficoltà.
La prima lettura ci presenta, infatti, una delle grandi intuizioni spirituali e pedagogiche di don Bosco, cioè che l’amore di Dio e a Dio è fonte di gioia, sì da poter dire ai ragazzi dell’Oratorio: “Qui facciamo consistere la santità nell’essere sempre allegri”.
La frase di Mamma Margherita per educare nel timore di Dio a Giovanni, e che Don Bosco assunse, “Dio ti vede” è in perfetta sintonia con quello che dice il primo capitolo del Siracide: «Il timore del Signore allieta il cuore, e dà contentezza, gioia e lunga vita». Forse dobbiamo imparare noi stessi a non considerare Dio come una minaccia alla nostra felicità, anzi come il senso della nostra vita e la fonte della vera felicità. Forse dobbiamo imparare da Don Bosco ad avere un volto sorridente e uno sguardo sereno, ottimista, lungimirante, che faccia sapere che siamo credenti di un Dio Crocifisso sì, ma Risorto, che ha riempito di allegria e di speranza la nostra esistenza umana. Forse dobbiamo aiutare i ragazzi a far esperienza di quanto si possa essere felici mentre serviamo Dio.
La ragione di questa verità, che “la legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima, fa gioire il cuore e dà luce agli occhi”, come dice il salmo responsoriale, si trova nel fatto che, in fondo, la legge è al servizio dell’uomo, per renderlo sempre più umano e non per sottometterlo.
Questo è possibile quando si scopre che le leggi, i comandamenti, vogliono mettere in circolazione valori e sono espressione dell’amore. A ciò si riferisce San Paolo nella prima lettera ai Corinzi, nel testo che abbiamo ascoltato. Senza amore, a nulla servirebbero i doni più preziosi, quelli di natura e quelli di grazia. Il primato dell’amore gli viene appunto del fatto che esso fa maturare le persone, fino a raggiungere la statura perfetta, che ci rende ‘divini’, perché ci fa come Dio che è Amore. Proprio perché ha l’immenso potere di trasformare le persone dal di dentro, l’amore ha anche la energia per vincere la morte. A ragione, conclude Paolo, che anche se adesso “le tre cose rimangono: la fede, la speranza, e la carità, la più grande di tutte è la carità”, l’unica che rimarrà per sempre.
Vivere in amicizia con Dio vuol dire allora vivere in comunione con Lui, rimanendo uniti attraverso l’osservanza del suo comandamento dell’amore.
Vivere in letizia vuol dire far sprigionare tutte le migliori energie che ci sono nel nostro cuore, da dove procede tutto quanto c’è di buono, di bello, di vero.
Vivere così è, in fin dei conti, essere sale della terra, luce del mondo, città sul monte, insomma operatori di bene, come vuole Gesù che siano i suoi discepoli.
Questo brano del Vangelo di Matteo sembra essere stato il programma di Don Bosco, che era consapevole della responsabilità che hanno i cristiani “davanti agli uomini”.
Il sale della terra, la speranza del mondo, sono coloro che preservano i valori umani e religiosi, che permettono alla terra di non marcire, di conservare una riserva di umanità.
Il sale della terra siamo anche noi, quando viviamo lo spirito delle beatitudini, quando facciamo del discorso della montagna un nostro identikit e ci poniamo in condizione di società alternativa, di persone che, di fronte a una società che privilegia il successo, l’effimero, il provvisorio, il denaro, il godimento, la potenza, la vendetta, il conflitto, la guerra, scelgono la pace, il perdono, la misericordia, la gratuità, lo spirito di sacrificio, cominciando dal cerchio più stretto, che è quello della propria famiglia o della comunità, ma che si allarga alla dimensione sociale.
Gesù avverte però che è possibile che il sale perda il sapore, che i suoi discepoli non siano autentici, e non dubita di segnalarne gli effetti disastrosi: «A null’altro serve che ad essere gettato via e calpestato dagli uomini». O siamo discepoli con chiara identità evangelica, quindi significativi e utili per il mondo, o siamo da buttar via, da disprezzare, siamo degli infelici, degli spostati, siamo nulla.
Siamo luce del mondo, come luce è Lui, se viviamo le beatitudini evangeliche; siamo città sopra un monte, se accettiamo la responsabilità pubblica che abbiamo e non cerchiamo di fare della fede o del discepolato una questione privata, senza dimensione sociale, senza coinvolgimento pubblico; siamo lucerna sopra il lucerniere, se viviamo secondo il Vangelo e facciamo luce a tutti, credenti e non, discepoli e non, vicini e lontani; insomma, luce del mondo intero.
Il cristianesimo, la fede, il Vangelo, la Famiglia Salesiana, il MGS, hanno una valenza sociale e una responsabilità pubblica per la semplice ragione che tutta la vocazione è missione, perché l’identità si verifica nella vita, perché questi valori del Vangelo non possono essere intesi e vissuti “ad uso privato”.
Gesù vuole che i suoi discepoli facciano del Discorso della montagna un programma di vita: mitezza, povertà, gratuità, misericordia, perdono, abbandono a Dio, fiducia, fare agli altri ciò che vorremmo fosse fatto a noi, ecco le opere evangeliche che si dovranno far risplendere, quelle che ci fanno diventare “sale” e “luce”, quelle che giovano a creare quella società alternativa che non permetterà all’umanità di corrompersi del tutto.
Non era altro quello che cercava Don Bosco a favore dei ragazzi attraverso tutte le sue opere, il cui scopo era proprio quello di farne “onesti cittadini e buoni cristiani”. Don Bosco sviluppava quest’obiettivo attorno a quattro grandi aree: Educazione integrale, incontro con Cristo, inserimento nella vita della Chiesa e scoperta della propria vocazione. Ecco quanto siamo chiamati a vivere e proporre ai giovani con gioia, entusiasmo e convinzione, per diventare santi mentre aiutiamo i giovani a esserlo. Facciamo nostra l’esperienza spirituale apostolica di Don Bosco. Amen.
Pascual Chávez V., sdb
Torino, 31 gennaio 2014

889 - DON BOSCO E' QUI

L’Urna di Don Bosco sta percorrendo il suo viaggio nel mondo dall’aprile del 2009, in occasione delle celebrazioni per il bicentenario della sua nascita (1815-2015). Dopo aver viaggiato in tutti e cinque i continenti e aver sostato in 130 Paesi nel mondo, il «Padre e maestro della gioventù» è tornato in Italia, per «incontrare» tutte le diocesi italiane, prima di rientrare nella sua «Valdocco» a Torino, nel luogo del suo primo oratorio.
La tappa nella nostra diocesi è senz’altro una delle più rilevanti, innanzitutto perché si tratta di un «ritorno»: Don Bosco fece visita a Milano la prima volta nel 1850 per confrontarsi con la realtà degli oratori ambrosiani; era all’inizio della sua opera al servizio dei giovani. Venne spesso a Milano, fino al 1886 (due anni prima della sua morte), intessendo legami e amicizie con diversi sacerdoti impegnati negli oratori, ma anche con gli Arcivescovi di Milano Romilli e Nazari di Calabiana.
Questo ritorno assume per gli educatori di oggi un richiamo a rinnovare il proprio impegno con uno stile che sia «tipicamente oratoriano» e con una forma che richiami il senso di comunità e lo «spirito di famiglia».
Per i ragazzi e gli adolescenti sarà l’occasione di conoscere e celebrare un sacerdote che ha «consumato» la sua vita per loro e confrontarsi con la sua «spiritualità» semplice e gioiosa.
 
Ragazzi degli oratori e delle scuole, nel Duomo di Milano:
Sabato, 1 febbraio dalle ore 15.00 alle ore 17.00 (ragazzi degli oratori)
Martedì, 4 febbraio a partire dalle ore 10.00 (ragazzi delle scuole)
Martedì, 4 febbraio dalle ore 16.00 alle ore 18.30 (ragazzi degli oratori)
Adolescenti a «Una notte con Don Bosco», in Duomo:
Sabato, 1 febbraio dalle ore 19.30 alle ore 23.30.
Giovani, «passeggiata notturna con don Bosco»:
Sabato, 1 febbraio alle ore 23.45
Giovani, nella Basilica di Sant’Agostino a MIlano:
Domenica, 2 febbraio alle ore 16.00
Catechisti e catechiste, nel Duomo di Milano:
Sabato, 1 febbraio alle ore 14.00.
Educatori, in Duomo e in Sant’Ambrogio:
Martedì, 4 febbraio dalle ore 20.00 alle ore 22.00.
Seminaristi al Seminario arcivescovile di Venegono Inferiore:
Venerdì, 31 gennaio dalle ore 14.00 alle ore 16.00.
Consacrate e religiose all’Istituto penale minorile «Cesare Beccaria»:
Lunedì, 3 febbraio dalle ore 10.30 alle ore 12.30.
Sacerdoti in Duomo:
Sabato, 1 febbraio alle ore 17.30.

888 - LA CURA DELL'ANIMA

Fratelli amatissimi, quando vi proponiamo qualcosa di utile all’anima, nessuno cerchi di scusarsi dicendo: “Non ho tempo di leggere, perciò non posso conoscere i comandamenti di Dio né osservarli”… Attacchiamoci ai vani discorsi ed ai mordaci divertimenti…, e vedremo certo che non ci resta tempo da dedicare alla lettura della Santa Scrittura… Quando le notti sono più lunghe, ci sarà qualcuno capace di dormire tanto da non poter leggere personalmente o ascoltare qualcun altro leggere la Scrittura?... Poiché la luce dell’anima ed il suo cibo eterno non sono altro che la Parola di Dio, senza la quale il cuore non può né vivere né vedere…
La cura dell’anima è proprio simile alla coltura della terra. Come in una terra coltivata si toglie e si estirpa da una parte e dall’altra fino alla radice per seminare il buon grano, così occorre fare nella nostra anima: togliere ciò che è cattivo e piantare ciò che è buono; estirpare ciò che è dannoso, innestare ciò che è utile; sradicare l’orgoglio e piantare l’umiltà; gettare via l’avarizia e custodire la misericordia; disprezzare l’impurità e amare la castità…
Infatti sapete come si coltiva la terra. Prima si tolgono i rovi, si gettano lontano le pietre, poi si lavora la terra stessa, si ricomincia una seconda volta, una terza, e infine… si semina. Sia così per l’anima: dapprima, sradichiamo i rovi, cioè i pensieri cattivi, poi togliamo le pietre, cioè ogni malizia e durezza. Infine lavoriamo il nostro cuore con l’aratro del Vangelo e il vomere della croce, frantumiamolo con la penitenza, orniamolo con l’elemosina, prepariamolo con la carità ad accogliere il seme del Signore…, affinché possa ricevere con gioia il seme della parola divina e portare frutto non solo trenta, ma sessanta e cento volte.
San Cesario di Arles (470-543), monaco e vescovo

martedì 28 gennaio 2014

887 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - FEBBRAIO 2014

Universale
Perché la saggezza e l'esperienza delle persone anziane siano riconosciute nella Chiesa e nella società.

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Per l'evangelizzazione
Perché sacerdoti, religiosi e laici collaborino generosamente nella missione di evangelizzazione.

886 - ACCENDI LE NOSTRE LAMPADE SIGNORE

Cristo, degnati di accendere tu stesso le nostre lampade, tu Salvatore pieno di tenerezza; falle bruciare senza fine nella tua dimora, e prendere da te, luce eterna, una luce che niente e nessuno possa spegnere. La tua luce dissipi le nostre tenebre e attraverso di noi faccia diminuire le tenebre del mondo.
Ti prego, Gesù, accendi la mia lampada alla tua luce e mi appaia, così in questa chiarezza, il Santo dei santi dove tu, Padre eterno dei tempi eterni, fai il tuo ingresso sotto i portici dell’immenso santuario (Eb 9,11ss).
Possa io non smettere mai alla tua luce di vederti, di volgere a te il mio sguardo e il mio desiderio. Allora nel mio cuore non vedrò che te solo e alla tua presenza la mia lampada sarà sempre accesa e ardente.
Facci la grazia…, poiché bussiamo alla tua porta, di manifestarti a noi, Salvatore pieno d’amore. E conoscendoti di più, fa’ che possiamo amare te, te solo. Sii, giorno e notte, l’unico nostro desidero, la sola nostra meditazione, il nostro continuo pensiero.
Degnati di darci abbastanza del tuo amore per amare Dio come conviene. Riempici del tuo amore…, affinché sappiamo amare null’altro che te, che sei eterno.
Così le grandi acque del cielo, della terra e del mare non potranno estinguere in noi tale carità, secondo la parola del Cantico dei cantici: “Le grandi acque non possono spegnere l'amore” (8,7). Cresca in noi questo amore, almeno un po’, per la tua grazia, Signore Gesù.
San Colombano (563-615), monaco

885 - A TESTA ALTA PER LA LIBERTÀ CONTRO IL MALE

Cent'anni fa nasceva Etty Hillesum
Etty Hillesum era nata in Olanda il 15 Gennaio 1914, un secolo fa. Anche per questo voglio ricordarla oggi, a poca distanza dalla Giornata della Memoria. La sua vita fu breve e intensa: laureatasi in giurisprudenza ad Amsterdam, si iscrisse anche alla facoltà di Lingue Slave e si interessò della psicologia analitica junghiana. La guerra interruppe i suoi studi. Fu una donna vivace, intelligente, brillante, dai molteplici interessi. Visse con intensità e passione alcune relazioni d’amore.
Nel 1942, quando lavorava come segretaria presso una sezione del Consiglio Ebraico, le fu offerta la possibilità di mettersi in salvo, fuggendo in America. Scelse di restare, per condividere la sorte del suo popolo, quel popolo ebraico che la barbarie nazionalsocialista aveva deciso di sterminare. Lavorò nel campo di transito di Westerbork come assistente sociale.
Il 7 settembre 1943 fu deportata con i suoi cari ad Auschwitz. Vi morì poco tempo dopo, uccisa dal gas, il corpo divorato dalle fiamme, il 30 Novembre 1943. Aveva ventinove anni. Di lei ci restano le pagine intensissime del Diario (pubblicato nel 1981, in italiano nel 1985 da Adelphi) e delle Lettere (Adelphi 1990). Nel cuore della tragedia, che aveva visto il momentaneo trionfo del “male assoluto”, al centro del “secolo breve” che è stato il XX secolo, in un tempo schiacciato dal peso di una follia collettiva senza pari, alimentata da un’ideologia assurda di violenza e di morte, Etty portò avanti la sua appassionata ricerca spirituale. Si nutrì di Jung, di Dostoevskij (in particolare de L’idiota) e degli altri grandi scrittori russi, e soprattutto della poesia di Rainer Maria Rilke.
Lesse la Bibbia ebraica, specialmente i Salmi. Scoprì e meditò il Nuovo Testamento, in particolare il Vangelo di Matteo e l’apostolo Paolo, e autori cristiani, tra cui l’amatissimo Agostino. Dalla finestra della sua stanza osservava a lungo il cielo notturno, il grande orizzonte. Si fermava con occhio intenerito sui fiori, sempre presenti sulla sua scrivania. Nel dramma che viveva il suo popolo e l’intera umanità, seppe tener alto lo sguardo ed essere un “cuore pensante”. La linfa attinta alla radice antica e profonda dell’albero ebraico, aperta ad accogliere la meravigliosa fioritura del Vangelo, le consentì di attraversare a testa alta, con libertà radicale e con amore immenso per le vittime, la stagione forse più drammatica del Novecento europeo.
Proprio così, il messaggio della Hillesum è oggi più vivo che mai. In un’epoca di crisi diffusa che, prima che materiale ed economica, è morale e spirituale, ha qualcosa da dire a tutti noi questa giovane donna, che ha saputo non arrendersi al male. La sua è stata una straordinaria forma di resistenza, capace di contagiare forza e speranza a distanza di anni, in situazioni certo mutate e di fronte a difficoltà differenti.
La lettura di un solo brano del suo Diario basterà a far luce sul perché di questa convinzione: è la preghiera della Domenica mattina, 12 Luglio 1942. Etty annota: “Mio Dio, sono tempi tanto angosciosi. Stanotte per la prima volta ero sveglia al buio con gli occhi che mi bruciavano, davanti a me passavano immagini su immagini di dolore umano”.
Figlia del suo tempo, questa donna non chiude gli occhi di fronte al dramma, non fugge, e trova nel dialogo più profondo, che sia possibile all’anima, uno squarcio di luce: “Ti prometto una cosa, mio Dio, soltanto una piccola cosa: cercherò di non appesantire l’oggi con i pesi delle mie preoccupazioni per il domani - ma anche questo richiede una certa esperienza. Ogni giorno ha già la sua parte. Cercherò di aiutarti affinché tu non venga distrutto dentro di me, ma a priori non posso promettere nulla”. Lontana da ogni presunzione, consapevole anzi della sua debolezza e di quella di ogni cuore sincero, Etty accetta di fare la sua parte, si assume il peso della sua responsabilità di fronte al bene da fare e al male da fuggire: “Una cosa, però, diventa sempre più evidente per me, e cioè che tu non puoi aiutare noi, ma che siamo noi a dover aiutare te, e in questo modo aiutiamo noi stessi. L’unica cosa che possiamo salvare di questi tempi, e anche l’unica che veramente conti, è un piccolo pezzo di te in noi stessi, mio Dio”.
Per questa via, la giovane Ebrea olandese capisce qual è la sua missione nei confronti del prossimo, che è stata chiamata a servire e ad amare: “Forse possiamo anche contribuire a disseppellirti dai cuori devastati di altri uomini. Sì, mio Dio, sembra che tu non possa far molto per modificare le circostanze attuali, ma anch’esse fanno parte di questa vita. Io non chiamo in causa la tua responsabilità, più tardi sarai tu a dichiarare responsabili noi. E quasi a ogni battito del mio cuore, cresce la mia certezza: tu non puoi aiutarci, ma tocca a noi aiutare te, difendere fino all’ultimo la tua casa in noi”. È qui che passano davanti agli occhi del suo cuore pensante le tante, umanissime reazioni alla follia devastante che impera: “Esistono persone che all’ultimo momento si preoccupano di mettere in salvo aspirapolveri, forchette e cucchiai d’argento - invece di salvare te, mio Dio. E altre persone, che sono ormai ridotte a semplici ricettacoli di innumerevoli paure e amarezze, vogliono a tutti i costi salvare il proprio corpo. Dicono: me non mi prenderanno. Dimenticano che non si può essere nelle grinfie di nessuno se si è nelle tue braccia”. Giunta a questa certezza, Etty si traccia un programma di vita, che la condurrà a offrire tutta se stessa per gli altri, e proprio così a vincere col suo messaggio di speranza la cieca barbarie dei tempi in cui visse: “Comincio a sentirmi un po’ più tranquilla, mio Dio, dopo questa conversazione con te. Discorrerò con te molto spesso, d’ora innanzi, e in questo modo ti impedirò di abbandonarmi. Con me vivrai anche tempi magri, mio Dio, tempi scarsamente alimentati dalla mia povera fiducia; ma credimi, io continuerò a lavorare per te e a esserti fedele e non ti caccerò via dal mio territorio”. Questa fiducia, più grande di ogni abbandono, questa speranza più forte della morte, sono l’eredità che la Hillesum lascia alle donne e agli uomini del nostro e di ogni tempo. Un’eredità difficile, forse addirittura una sfida: eppure, l’unica per la quale valga la pena impegnarsi, e che apra agli occhi della mente e del cuore un futuro di rinascita, donando al contempo i segnali dell’aurora di una speranza possibile e vittoriosa sulla morte e sul male.
di Bruno Forte
Fonte: Il Sole 24 Ore, domenica 19 gennaio 2014, pp.1 e 8

884 - IL PELLEGRINAGGIO DELLA VITA

Ogni anno è una tappa del pellegrinaggio della vita, che ci porta dal tempo all’eternità. Dobbiamo vegliare perché i nostri passi percorrano la via della salvezza, che porta alla mèta della vita eterna. Non siamo padroni del nostro tempo, ma esso ci è offerto perché facciamo le scelte decisive della vita, realizzando la volontà di Dio su di noi.
Camminando con Dio il nostro tempo è riscattato dalla vanità e fruttifica per la vita eterna. Più il tempo passa e più si va verso la pienezza.
Camminando senza Dio, vaghiamo in un labirinto senza uscita, finché alla fine, stanchi e angosciati, ci lasciamo impadronire dalla tenebra.
Camminando con Dio il tempo è fruttifero. Vagando senza Dio il tempo è perduto.
Padre Livio Fanzaga

giovedì 23 gennaio 2014

883 - PREGHIERA ALLA SANTA FAMIGLIA

Gesù, Maria e Giuseppe
a voi, Santa Famiglia di Nazareth,
oggi, volgiamo lo sguardo
con ammirazione e confidenza;
in voi contempliamo
la bellezza della comunione nell’amore vero;
a voi raccomandiamo tutte le nostre famiglie,
perché si rinnovino in esse le meraviglie della grazia.
Santa Famiglia di Nazareth,
scuola attraente del santo Vangelo:
insegnaci a imitare le tue virtù
con una saggia disciplina spirituale,
donaci lo sguardo limpido
che sa riconoscere l’opera della Provvidenza
nelle realtà quotidiane della vita.
Santa Famiglia di Nazareth,
custode fedele del mistero della salvezza:
fa’ rinascere in noi la stima del silenzio,
rendi le nostre famiglie cenacoli di preghiera
e trasformale in piccole Chiese domestiche,
rinnova il desiderio della santità,
sostieni la nobile fatica del lavoro, dell’educazione,
dell’ascolto, della reciproca comprensione e del perdono.
Santa Famiglia di Nazareth,
ridesta nella nostra società la consapevolezza
del carattere sacro e inviolabile della famiglia,
bene inestimabile e insostituibile.
Ogni famiglia sia dimora accogliente di bontà e di pace
per i bambini e per gli anziani,
per chi è malato e solo,
per chi è povero e bisognoso.
Gesù, Maria e Giuseppe
voi con fiducia preghiamo, a voi con gioia ci affidiamo.
(Papa Francesco, piazza S. Pietro, 27 ottobre 2013)
 

Festa della Famiglia a San Gerolamo
Ore 10,30 Ritrovo delle coppie e delle famiglie in chiesa
Ore 11 Solenne celebrazione eucaristica con benedizione delle coppie che festeggiano l’anniversario di matrimonio
Ore 12,30 Pranzo sociale presso l’Istituto Piamarta in via Pusiano 52

domenica 19 gennaio 2014

882 - LE NOZZE DI CANA, OGGI

 
Ho ripensato tante volte al miracolo di Cana, un miracolo “inutile” e pericoloso perché i convitati sono già alticci e la prudenza consiglierebbe di abbassare il potenziale dell’alcol. Invece Gesù riserva il vino buono all’ultimo. Certamente lo hanno persuaso, oltre che la fede di Maria, l’ambiente di cordialità, di amicizia, di comunione. Non avrebbe certamente operato il miracolo in un ambiente in cui avesse sentito la discordia. Era certamente un ambiente povero perché, in un ambiente ricco, il vino non viene a mancare: si contratta un restaurant, un club, che sia preparato a tutte le emergenze.
Le nozze di Cana non sono un fatto avvenuto nell’anno 30 di Cristo, avviene oggi e noi ne siamo gli attori: è accaduto una settimana fa in casa di Isidro, uno dei più poveri della comunità contadina di Monte Carmelo. Isidro festeggiava il compleanno del figlio minore, risuscitato da mesi passati in uno stato di debolezza, di guai indefinibili, di va e vieni dal medico senza risultato; bisognava festeggiare il suo compleanno ora che finalmente è vigoroso, ha un bel colore e sono passati i mesi di angoscia.
Bisognava dar grazie a Dio e dire agli amici tutta la gioia che era ritornata in questa casa.
Il banchetto era povero: due galline, fagioli, insalata, arepas (il pane di mais) abbondanti. Una bottiglia di un alcol non buono, che passava per tutte le bocche maschili. Mai ho desiderato tanto di avere dei poteri per moltiplicare i cibi e le bevande, perché veniva gente da tutte le parti: in queste feste non ci sono gli invitati, perché tutti sanno di essere invitati. Non vengono i nemici, quelli che hanno avuto qualcosa da ridire e che non hanno avuto occasione di riconciliarsi. E Isidro mi diceva, con una faccia piena di gioia, che lui sa di non avere nemici e quindi chi non viene è perché non può venire. Penso che qualche angelo invisibile abbia rinnovato il miracolo della moltiplicazione dei pani, perché tutti hanno mangiato. 
Forse chi non ha mangiato sono stati Isidro e sua moglie che, in piedi, dietro agli ospiti che si alternavano in gruppi di nove o dieci al piccolo tavolo della casa, cercavano di mettere nei piatti qualcosa. Non erano imbarazzati del poco che avevano, erano felici della comunione: godevano evidentemente l’amicizia…

…Confesso che, tornato dal ricevimento della casa di Isidro, mi sono messo davanti all’Eucaristia protestando un po’ col Cristo: “Perché non ti capiamo? Perché non ti capiamo? Eppure sei tanto semplice e tanto chiaro”. Non ti capiamo perché non ti pensiamo dal rancho di Isidro, perché non ti sappiamo scoprire in questo banchetto povero dove si raggiunge la comunione, che è vera perché non escludente…

…Mi cantavano dentro le note dell’inno Dove è carità e amore, lì è Dio, e pensavo che Isidro e sua moglie lo cantavano… senza cantare, e che molti non lo cantano cantandolo.
Arturo Paoli. “Cent’anni di fraternità” Ed. Chiarelettere, 2013 –pp.88-93.

Pagine a loro volta tratte dal libro “Sulle ali dell’aquila. Riflessioni sulla contemplazione” Morcelliana, 1979, dello stesso autore.

venerdì 17 gennaio 2014

881 - LE NOZZE DI CANA

Vangelo secondo Giovanni (2,1-11)
In quel tempo. Vi fu una festa di nozze a Cana di Galilea e c’era la madre di Gesù. Fu invitato alle nozze anche Gesù con i suoi discepoli. Venuto a mancare il vino, la madre di Gesù gli disse: «Non hanno vino». E Gesù le rispose: «Donna, che vuoi da me? Non è ancora giunta la mia ora». Sua madre disse ai servitori: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela». Vi erano là sei anfore di pietra per la purificazione rituale dei Giudei, contenenti ciascuna da ottanta e centoventi litri. E Gesù disse loro: «Riempite d’acqua le anfore»; e le riempirono fino all’orlo. Disse loro di nuovo: «Ora prendetene e portatene a colui che dirige il banchetto». Ed essi gliene portarono. Come ebbe assaggiato l’acqua diventata vino, colui che dirigeva il banchetto – il quale non sapeva da dove venisse, ma lo sapevano i servitori che avevano preso l’acqua – chiamò lo sposo e gli disse: «Tutti mettono in tavola il vino buono all’inizio e, quando si è già bevuto molto, quello meno buono. Tu invece hai tenuto da parte il vino buono finora».Questo, a Cana di Galilea, fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù; egli manifestò la sua gloria e i suoi discepoli credettero in lui.

Dalla Parola alla vita
Oggi ci viene presentato «il primo segno» compiuto da Gesù, perché «i suoi discepoli credessero in lui». Il primo miracolo di Gesù è per difendere l’amore di due giovani, che stanno per iniziare la splendida avventura della loro vita d’amore. Come sarebbe finita quella festa di nozze, se fosse mancato il vino? Quante recriminazioni, quanti pettegolezzi, quante prese in giro! Per questo Gesù accoglie l’invito di sua madre: Maria sa che l’ora di Gesù è l’ora dell’amore. È vero che per lui l’ora dell’amore sarà quella dell’ultima Cena – «Avendo amato i suoi, li amò sino alla perfezione» (cfr Giovanni 13,1) – ma adesso è a rischio l’amore di quei giovani. E Gesù non può tollerare che si spenga l’amore. Forse era una coppia di povere famiglie: pur avendo speso quanto avevano per le nozze dei loro figli, come si fa sempre, non è bastato per tanti invitati. Ma Gesù è sempre dalla parte dei poveri, e Maria lo sa bene!
Questo segno è possibile, perché c’è un’amica attenta: Maria. Come fa ad accorgersi che manca vino? Come accade ancora nelle feste delle nostre parrocchie, lei forse stava dando una mano, perché quella festa d’amore riuscisse bella e piena di gioia; andava e veniva dalla cucina alla sala del banchetto e, quando si accorge che manca il vino, sa che Gesù l’ascolterà, perché è venuto per rendere divino l’amore dell’uomo. Maria è un’amica e intercede con fiducia: potremmo farlo anche noi!
Maria dice ai servi le parole che il faraone aveva detto, quando c’era la grande carestia: «Andate da Giuseppe; fate quello che vi dirà» (Genesi 41,55). Gesù è il vero Giuseppe, colui che dà il pane (e il vino) miracoloso, che saziano la fame di vita eterna. Gli egiziani potevano ribellarsi a quelle parole, e sarebbero morti di fame. Hanno dovuto fidarsi delle parole del faraone e di Giuseppe. È la stessa cosa che devono fare i servi. Gesù ordina loro cose assurde: non è il momento dell’acqua per la purificazione, perché il banchetto è già inoltrato! A cosa serve portare acqua? È il vino che ci vuole! Come la prenderanno gli invitati, vedendo arrivare acqua? Si sentiranno presi in giro, si arrabbieranno e bastoneranno quei servi! Perché rischiare? Eppure loro si fidano! Rischiano e portano acqua, cominciando a versarla nel bicchiere del capo del banchetto. Forse in quel momento hanno paura, ma proprio allora avviene il miracolo: dalle loro brocche non sgorga acqua ma vino eccellente, che riempie di gioia! Tanto ha potuto la loro fiducia in Gesù.
Solo se ci fidiamo di Gesù allo stesso modo, pronti anche a rischiare la vita per lui, la gioia può vincere e la paura è sconfitta. Solo se ci fidiamo di Gesù, anche quando sembra che chieda cose assurde l’amore trionfa sulla tristezza! Fjodor Dostojevski pregava: «Signore, facci ricordare che il tuo primo miracolo, alle nozze di Cana, lo facesti per aiutare gli uomini a far festa. Facci ricordare che chi ama gli uomini, ama anche la loro gioia, perché senza gioia non si può vivere; che tutto ciò che è vero e bello è sempre pieno della tua misericordia infinita».
Mons. Ennio Apeciti

domenica 12 gennaio 2014

880 - IL DECALOGO DELLA GIOIA

Cristo ti  chiede:
1 - gli occhi per guardare la realtà del mondo senza chiuderti in te stesso;
2 - la mente per far sorridere chi piange;
3 - le orecchie per ascoltare i problemi degli altri dimenticando le tue amarezze;
4 - le spalle per aiutare i tuoi fratelli a portare la croce;
5 - le braccia per sollevare i pesi che gli altri non riescono a smuovere;
6 - i piedi per andare da chi soffre e portare un sorriso;
7 - il cuore per amare chi non ha mai ricevuto una carezza;
8 - la bocca per pronunciare parole di incoraggiamento e ridare fiducia nella vita;
9 - l'intelligenza e la volontà per diventare sale della terra dove tutto sembra insipido;
10 - di non restare indifferente di fronte al fratello che non riesce a uscire dalle tenebre in cui si dibatte e di essere per lui come la luce del sole e come l'aria che respiri.
Porterai gioia, ma ricorda sempre di nasconderti come la viola nel prato, della quale tutti sentono il profumo, ma che nessuno riesce a trovare.
(Mons. Girolamo Grillo)



879 - IL BATTESIMO DI GESU'

Giovanni dà il battesimo, Gesù si accosta a lui, forse per santificare colui dal quale viene battezzato nell'acqua, ma anche di certo per seppellire totalmente nelle acque il vecchio uomo. Santifica il Giordano prima di santificare noi e lo santifica per noi. E poiché era spirito e carne, santifica nello Spirito e nell'acqua (Gv 3,4).
Il Battista non accetta la richiesta, ma Gesù insiste : “Io ho bisogno di essere battezzato da te”, dice la lucerna al Sole (Gv 5, 35), l'amico allo Sposo (Gv 3, 29), colui che è il più grande tra i nati di donna al primogenito di ogni creatura (Mt 11,11 ; Col 1,15). Colui che aveva esultato di gioia nel seno di sua madre dice a colui che era stato adorato nel seno di sua madre, il precursore dice a colui che si è appena rivelato e chi si manifesterà alla fine dei tempi: “Io ho bisogno di essere battezzato da te”. Potrebbe aggiungere: “dando la mia vita per te”; infatti sapeva che avrebbe ricevuto il battesimo del martirio…
Gesù sale dalle acque e porta con sé in alto l’intero cosmo. Vede i cieli aprirsi, quei cieli che Adamo aveva chiuso per sé e per tutta la sua discendenza, quei cieli preclusi e sbarrati, come il paradiso dalla spada fiammeggiante (Gen 3, 24). E lo Spirito testimonia la divinità di Cristo : si presenta simbolicamente sopra colui che gli è del tutto uguale. Una voce proviene dalle profondità dei cieli, da quelle stesse profondità dalle quali proveniva Chi in quel momento riceveva la testimonianza. Lo Spirito appare visibilmente come colomba e, in questo modo, onora anche la nostra carne divinizzata.
San Gregorio Nazianzeno (330-390), vescovo, dottore della Chiesa
Discorso 39, per la festa delle luci ; PG 36, 359

domenica 5 gennaio 2014

878 - EPIFANIA DEL SIGNORE

 
Possiamo considerare i Magi come i nostri modelli da seguire in questo anno pastorale, in cammino suo sentieri che portano all'incontro con l'umano. Nel cammino viene tracciato l'itinerario della nostra fede. Uscire da noi stessi per andare incontro a Gesù, mettersi alla sua ricerca abbandonando le nostre abitudini o almeno farne oggetto di riflessione e conversione.
Il cammino dei Magi talvolta è luminoso e chiaro, a volte invece è oscuro e faticoso: così è anche la nostra ricerca di Cristo. Con la perseveranza di seguire la stella, si arriva però all'incontro personale.
Ciascuno di noi si senta responsabile della fatica dell'altro che gli impedisce di vedere la stella. Sulle strade del mondo aiutiamo ogni uomo a guardare in  cielo per vedere la stella capace di illuminare il percorso della propria vita.
(da Avvento e Natale 2013, Centro Ambrosiano)