Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 5 luglio 2013

823 - VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano di Giovanni 6,59-69 si riferisce, inizialmente, al discorso tenuto da Gesù nella sinagoga a Cafarnao (6,25-71) e riguardante il mistero del pane di vita che è la sua carne. I vv.61-66 riportano la terza parte del discorso, mentre i vv. 67-69 riferiscono della scelta dei Dodici a proposito delle parole di Gesù. Si noti, al v. 60, come questa volta sono «molti dei suoi discepoli» a rifiutare di ascoltare e di accogliere le parole di Gesù e, perciò, vengono assimilati al popolo che mormora contro Dio e contro Mosè nel suo viaggio attraverso il deserto e che trova un inciampo (= scandalo) nella parola di Dio (v. 61). Scandalo che è destinato a crescere nell’ora del ritorno di Gesù alla sfera divina da cui è venuto (v. 62). A questo punto il Signore fornisce la chiave per interpretare le sue parole di rivelazione sul pane di vita affermando che esse donano lo Spirito e, quindi, vanno comprese «nello spirito» in quanto la carne, ossia l’uomo naturale, non è in grado di decifrarle (v. 63). Seguono la constatazione di Gesù circa l’incredulità di alcuni, la presenza del traditore (v. 64), e l’affermazione conclusiva del v. 65 riguardante la priorità dell’azione divina nell’atto di fede dell’uomo qui indicata come attrazione. Davanti ai «molti dei suoi discepoli» che lo abbandonano (v. 66), Gesù ora si rivolge al piccolo gruppo dei Dodici con la domanda: «Volete andarvene anche voi?», alla quale risponde per tutti Pietro con una professione di fede in lui e con il riconoscere che le parole di Gesù sono «vita eterna» (vv. 67-69).
Le lezioni della Scrittura ci interpellano con tutta serietà sulla nostra effettiva fedeltà a Dio nel suo Figlio Gesù. E questo sia a livello personale, sia a livello comunitario ed ecclesiale.
La Lettura vetero-testamentaria ci presenta Giosuè, il grande mediatore tra Dio e il suo popolo, succeduto a Mosè nell’impegno di guidare Israele e di mantenerlo nella fedeltà all’Alleanza.
Colpisce, nel testo proclamato, l’insistenza con la quale egli mette in guardia il popolo dal trasgredire la parola data a Dio, vero autore, liberatore e protettore di Israele, per servire, ossia prestare il culto di adorazione agli «dei degli stranieri», agli idoli sordi, muti e ciechi dei popoli pagani (vv.19-24). Più di una volta, inoltre, Giosuè mette il popolo di fronte a un’alternativa, a una scelta di campo tra il voler servire Dio o gli «idoli delle genti».
Il servire Dio comporta la consegna a lui di tutto ciò che uno è e possiede. Comporta riconoscere che tutto si riceve da lui autore, nell’antica economia di salvezza, della liberazione d’Israele dall’Egitto, del suo ingresso nella terra promessa (cfr. Giosuè 24,8-13) e che, quindi, a lui tutto dobbiamo compresa la nostra capacità di obbedire al suo volere e di rimanergli fedeli.
Ora, diversamente dal popolo dell’antica alleanza, il nostro condottiero, la nostra guida non è un uomo pur grande qual era Giosuè, ma è lo stesso Figlio di Dio venuto nel mondo per la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del potere del male e per annunciare quella parola che è: «Spirito e vita» (Vangelo: Giovanni 6,63), una parola cioè che viene da Dio e dona, a chi crede, la sua stessa vita divina.
È inevitabile, perciò, domandarci, nella nostra qualità di membri del popolo di Dio e di discepoli del Signore, se davvero abbiamo accolto la sua Parola nel cuore e nel profondo del nostro spirito, se vi abbiamo aderito non solo con la mente, ma con la nostra vita effettivamente vissuta in conformità a essa. Può infatti accadere che la nostra sia un’adesione puramente formale al Vangelo del Signore mentre, di fatto, serviamo gli idoli che ci affascinano e ci attraggono asservendoci al nostro io cattivo, al potere della ricchezza, del successo, del piacere mondano.
Nell’Epistola abbiamo ascoltato e quasi toccato con mano la gioia dell’Apostolo nel constatare che i Tessalonicesi, una volta accolta la predicazione evangelica, sono rimasti fedeli nella scelta di «servire il Dio vivo e vero» divenendo in tal modo idonei a far risuonare la parola che salva «non soltanto in Macedonia e in Acaia… ma dappertutto» (v. 8). Ed è proprio tale fedeltà a dare consistenza e credibilità all’impegno che spetta alla Chiesa e a ogni fedele di far risuonare in questo mondo la parola che salva, vale a dire il Vangelo del Signore Gesù. È lui, Gesù, Parola vivente di Dio la “grande pietra” profeticamente fissata da Giosuè come memoriale perenne della volontà di Israele di servire il solo Dio (Giosuè 24, 26-27). Nel sacrificio pasquale, memoriale perenne e attuativo dell’alleanza con Dio, è fissata per ogni uomo e per sempre la grazia che rafforza la fragile nostra volontà di servirlo nella fedeltà al suo volere in ogni circostanza della nostra vita. Poggiando su Cristo, pietra e roccia incrollabile, la Chiesa potrà con fiducia ripetere ciò che una volta Pietro gli disse a nome di tutti: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Giovanni, 6, 68). Avendo chiara consapevolezza che furono proprio alcuni discepoli a «tornare indietro», nella via cioè dell’incredulità, e a non voler più contatto con Gesù (cfr. v. 66), supplichiamo il Padre che non permetta a noi, suoi fedeli, di giudicare troppo dura la Parola del suo Figlio e perciò gli diciamo con fiducia: «O Dio grande e misericordioso, rimuovi ogni ostacolo dal nostro cammino, perché nel vigore del corpo e nella serenità dello spirito possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio» (orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica).
A.Fusi