Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

mercoledì 31 luglio 2013

833 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - AGOSTO 2013

Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.

Generale: Perché genitori ed educatori aiutino le nuove generazioni a crescere con una coscienza retta e una vita coerente. 

Missionaria: Perché le Chiese particolari del continente africano, fedeli all'annuncio del Vangelo, promuovano la costruzione della pace e della giustizia.

Dei Vescovi: Perché coloro che sono in ricerca di Dio conoscano i segni della sua bontà e, stimolati dalla testimonianza dei credenti, aprano il cuore al dono della fede.

domenica 28 luglio 2013

832 - OMELIA DI PAPA FRANCESCO DURANTE LA SANTA MESSA PER LA XXVIII GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTÙ


Cari fratelli e sorelle,
cari giovani!
“Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Con queste parole, Gesù si rivolge a ognuno di voi, dicendo: “È stato bello partecipare alla Giornata Mondiale della Gioventù, vivere la fede insieme a giovani provenienti dai quattro angoli della terra, ma ora tu devi andare e trasmettere questa esperienza agli altri”. Gesù ti chiama ad essere discepolo in missione! Oggi, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, che cosa ci dice il Signore? Che cosa ci dice il Signore? Tre parole: Andate, senza paura, per servire.
1. Andate. In questi giorni, qui a Rio, avete potuto fare la bella esperienza di incontrare Gesù e di incontrarlo assieme, avete sentito la gioia della fede. Ma l'esperienza di questo incontro non può rimanere rinchiusa nella vostra vita o nel piccolo gruppo della parrocchia, del movimento, della vostra comunità. Sarebbe come togliere l'ossigeno a una fiamma che arde. La fede è una fiamma che si fa sempre più viva quanto più si condivide, si trasmette, perché tutti possano conoscere, amare e professare Gesù Cristo che è il Signore della vita e della storia (cfr Rm 10,9).
Attenzione, però! Gesù non ha detto: se volete, se avete tempo, andate, ma ha detto: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Condividere l’esperienza della fede, testimoniare la fede, annunciare il Vangelo è il mandato che il Signore affida a tutta la Chiesa, anche a te; è un comando, che, però, non nasce dalla volontà di dominio, dalla volontà di potere, ma dalla forza dell’amore, dal fatto che Gesù per primo è venuto in mezzo a noi e non ci ha dato qualcosa di Sé, ma ci ha dato tutto Se stesso, Egli ha dato la sua vita per salvarci e mostrarci l’amore e la misericordia di Dio. Gesù non ci tratta da schiavi, ma da persone libere, da amici, da fratelli; e non solo ci invia, ma ci accompagna, è sempre accanto a noi in questa missione d'amore.
Dove ci invia Gesù? Non ci sono confini, non ci sono limiti: ci invia a tutti. Il Vangelo è per tutti e non per alcuni. Non è solo per quelli che ci sembrano più vicini, più ricettivi, più accoglienti. E’ per tutti. Non abbiate paura di andare e portare Cristo in ogni ambiente, fino alle periferie esistenziali, anche a chi sembra più lontano, più indifferente. Il Signore cerca tutti, vuole che tutti sentano il calore della sua misericordia e del suo amore.
In particolare, vorrei che questo mandato di Cristo: “Andate”, risuonasse in voi giovani della Chiesa in America Latina, impegnati nella missione continentale promossa dai Vescovi. Il Brasile, l’America Latina, il mondo ha bisogno di Cristo! San Paolo dice: «Guai a me se non annuncio il Vangelo!» (1 Cor 9,16). Questo Continente ha ricevuto l’annuncio del Vangelo, che ha segnato il suo cammino e ha portato molto frutto. Ora questo annuncio è affidato anche a voi, perché risuoni con forza rinnovata. La Chiesa ha bisogno di voi, dell'entusiasmo, della creatività e della gioia che vi caratterizzano. Un grande apostolo del Brasile, il Beato José de Anchieta, partì in missione quando aveva soltanto diciannove anni. Sapete qual è lo strumento migliore per evangelizzare i giovani? Un altro giovane. Questa è la strada da percorrere da parte di tutti voi!
2. Senza paura. Qualcuno potrebbe pensare: “Non ho nessuna preparazione speciale, come posso andare e annunciare il Vangelo?”. Caro amico, la tua paura non è molto diversa da quella di Geremia, abbiamo appena ascoltato nelle lettura, quando è stato chiamato da Dio a essere profeta. «Ahimè, Signore Dio! Ecco, io non so parlare, perché sono giovane». Dio dice anche a voi quello che ha detto a Geremia: «Non avere paura [...], perché io sono con te per proteggerti» (Ger 1,7.8). Lui è con noi!
“Non avere paura!”. Quando andiamo ad annunciare Cristo, è Lui stesso che ci precede e ci guida. Nell’inviare i suoi discepoli in missione, ha promesso: «Io sono con voi tutti i giorni» (Mt 28,20). E questo è vero anche per noi! Gesù non lascia mai solo nessuno! Ci accompagna sempre.
Gesù poi non ha detto: “Va’” , ma “Andate”: siamo inviati insieme. Cari giovani, sentite la compagnia dell’intera Chiesa e anche la comunione dei Santi in questa missione. Quando affrontiamo insieme le sfide, allora siamo forti, scopriamo risorse che non sapevamo di avere. Gesù non ha chiamato gli Apostoli perché vivessero isolati, li ha chiamati per formare un gruppo, una comunità. Vorrei rivolgermi anche a voi, cari sacerdoti che concelebrate con me quest'Eucaristia: siete venuti ad accompagnare i vostri giovani, e questo è bello, condividere questa esperienza di fede! Certamente vi ha ringiovanito tutti. Il giovane contagia giovinezza. Ma è solo una tappa del cammino. Per favore, continuate ad accompagnarli con generosità e gioia, aiutateli ad impegnarsi attivamente nella Chiesa; non si sentano mai soli! E qui desidero ringraziare di cuore i gruppi di pastorale giovanile ai movimenti e nuove comunità che accompagnano i giovani nella loro esperienza di essere Chiesa, così creativi e così audaci. Andate avanti e non abbiate paura!
3. L’ultima parola: per servire. All’inizio del Salmo che abbiamo proclamato ci sono queste parole: «Cantate al Signore un canto nuovo» (Sal 95,1). Qual è questo canto nuovo? Non sono parole, non è una melodia, ma è il canto della vostra vita, è lasciare che la nostra vita si identifichi con quella di Gesù, è avere i suoi sentimenti, i suoi pensieri, le sue azioni. E la vita di Gesù è una vita per gli altri, la vita di Gesù è una vita per gli altri. È una vita di servizio.
San Paolo, nella Lettura che abbiamo ascoltato poco fa, diceva: «Mi sono fatto servo di tutti per guadagnarne il maggior numero» (1 Cor 9,19). Per annunciare Gesù, Paolo si è fatto “servo di tutti”. Evangelizzare è testimoniare in prima persona l'amore di Dio, è superare i nostri egoismi, è servire chinandoci a lavare i piedi dei nostri fratelli come ha fatto Gesù.
Tre parole: Andate, senza paura, per servire. Andate, senza paura, per servire. Seguendo queste tre parole sperimenterete che chi evangelizza è evangelizzato, chi trasmette la gioia della fede, riceve più gioia. Cari giovani, nel ritornare alle vostre case non abbiate paura di essere generosi con Cristo, di testimoniare il suo Vangelo. Nella prima Lettura quando Dio invia il profeta Geremia, gli dona il potere di «sradicare e demolire, distruggere e abbattere, edificare e piantare» (Ger 1,10). Anche per voi è così. Portare il Vangelo è portare la forza di Dio per sradicare e demolire il male e la violenza; per distruggere e abbattere le barriere dell'egoismo, dell'intolleranza e dell’odio; per edificare un mondo nuovo. Cari giovani: Gesù Cristo conta su di voi! La Chiesa conta su di voi! Il Papa conta su di voi! Maria, Madre di Gesù e Madre nostra, vi accompagni sempre con la sua tenerezza: “Andate e fate discepoli tutti i popoli”. Amen.
Lungomare di Copacabana, 28 luglio 2013

venerdì 26 luglio 2013

831 - X DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Questa domenica pone in primo piano la figura del grande re Salomone interessato a ottenere da Dio il dono della sapienza. Essa si manifesterà e risplenderà nel Figlio unigenito di Dio, il Figlio dal cuore docile e obbediente al volere del Padre. 

Lettura del primo libro dei Re (3,5-15)
Il brano è preso dal primo dei capitoli (3-11) riguardanti il regno di Salomone, figlio di Davide. Qui viene riferito dell’apparizione in sogno di Dio a Salomone che si dichiara disposto a concedergli ciò che egli desidera (v. 5). Nella sua risposta (vv. 6-9) Salomone evoca l’amore di Dio per suo padre, il re Davide (v. 6) e domanda per sé non cose materiali o favori personali, bensì di poter governare con saggezza il popolo che è di Dio (vv. 7-9). Seguono le parole di compiacimento da parte di Dio (vv. 10-11) che insieme al dono di «un cuore saggio e intelligente» gli promette di riempirlo di ricchezze e gloria (vv. 12-13) e di concedergli una lunga vita a patto, però, che osservi le sue leggi (v. 14). Il brano si conclude davanti all’arca dell’alleanza con l’offerta di sacrifici e un banchetto per il popolo (v. 15).

Prima lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (3,18-2)
Il capitolo, da cui è tratto il brano oggi proclamato, riporta l’insegnamento paolino sui predicatori del Vangelo da considerare servi e collaboratori di Dio. Qui l’Apostolo parla della diversità tra la sapienza del mondo e quella di Dio con il ricorso alla citazione di Giobbe 5,13 (v. 19) e del Salmo 94,11 (v. 20), e invita i cristiani a comprendere come ogni cosa appartiene ad essi, ma che essi stessi appartengono a Cristo e Cristo a Dio (vv. 21-23).

Lettura del Vangelo secondo Luca (18,24b-30)
Il brano riporta l’esclamazione di Gesù davanti all’amarezza del volto del notabile che, preoccupato della propria salvezza, si era sentito dire: «Vendi tutto quello che hai, distribuiscilo ai poveri e avrai un tesoro nei cieli» (v. 22). Gesù parla della difficoltà per i ricchi di entrare nel regno di Dio, una difficoltà enfatizzata dal detto sul cammello capace di passare «per la cruna di un ago» (vv. 24-25). La reazione dei presenti fa capire che il problema della ricchezza riguarda ogni uomo (v. 26). A essi Gesù risponde che la capacità di lasciare le ricchezze e di seguirlo è dono di Dio a cui tutto è possibile (v. 27). Nella seconda parte del brano (vv. 28-30) è Pietro a prendere la parola a nome dei discepoli ricordando a Gesù il gesto da essi compiuto nel distaccarsi da tutto per seguirlo (v. 28). A lui e a ogni discepolo Gesù rinnova l’invito a lasciare ogni ricchezza, compresi gli affetti più profondamente umani (v. 29), in vista di ricevere, moltiplicati, i doni divini e la stessa vita eterna (v. 30).

La Lettura ci fa incontrare, in questa domenica, la figura di Salomone, figlio di Davide e suo immediato successore sul trono di Israele prima della sua dissoluzione in due regni: quello di Giuda, e quello di Israele.
Salomone, in particolare, ebbe la gioia di costruire e di dedicare a Dio il magnifico tempio di Gerusalemme che suo padre avrebbe voluto edificare e, per questo, fece grandiosi preparativi che avvantaggiarono l’impresa di suo figlio. Salomone, però, rimane nella memoria come il re sapiente, il re saggio la cui fama si diffuse anche in terre lontane al punto che la grande regina di Saba intraprese un lungo viaggio pur di conoscerlo.
La Lettura ci dice che la sapienza non è stata una conquista di Salomone, ma un dono divino in risposta alla sua supplica. Egli, in particolare, chiede a Dio «un cuore docile, perché sappia rendere giustizia al tuo popolo e sappia distinguere il bene dal male» (1Re 3,9).
A essa Dio risponde con la sovrabbondanza dei suoi doni e in particolare si rivolge così a Salomone: «Ti concedo un cuore saggio e intelligente: uno come te non ci fu prima di te né sorgerà dopo di te» (v. 12). A Salomone, pertanto, non stanno a cuore ricchezza e gloria come normalmente avviene per i re e i potenti di questo mondo, ma «un cuore docile» e il «discernimento nel giudicare», vale a dire per servire al meglio il suo popolo.
Il cuore docile, un cuore saggio e intelligente è il dono di cui ha bisogno ogni uomo e, soprattutto, ogni discepolo del Signore per poter nutrire un unico grande interesse, un’unica urgenza: «entrare nel regno di Dio» (Vangelo: Luca 18,24b)! Ottenere, cioè, non tanto un prolungamento di questa vita, ma ottenere la salvezza ovvero «la vita eterna nel tempo che verrà» (v. 30).
Il passaggio per giungere alla salvezza è angusto come la cruna di un ago perché esige il mettere da parte ogni desiderio e brama terrena e una disponibilità non solo a lasciare i beni materiali ma persino gli affetti umani più puri e legittimi (v.28 e v. 29) per mettersi alla scuola di Cristo, maestro della sapienza e dell’intelligenza divina, anzi, Sapienza fatta carne uscita dalla bocca di Dio!
Comprendiamo, in tal modo, che «entrare nel regno di Dio», ovvero giungere alla definitiva salvezza, esige anzitutto la decisione di seguire Gesù come hanno fatto Pietro e gli altri apostoli (v. 28). La sequela del Signore offre la grazia di acquisire finalmente il dono del «cuore docile» e «intelligente», capace cioè di discernere e perseguire con determinazione ciò che è il vero bene: l’ingresso nel Regno.
È questa la sapienza del tutto diversa da quella di questo mondo (Epistola: 1Corinzi 3,19) che consiste nel perseguire, attraverso la ricchezza, il potere e il dominio sul prossimo e la realizzazione del proprio io, costi quel che costi.
Chi si lascia condurre dalla sapienza di questo mondo è di fatto impedito dall’entrare nel Regno a motivo dell’orgoglio, della superbia e della vanità che lo gonfia a dismisura al punto che è più facile «per un cammello passare per la cruna di un ago» che per lui entrare nella definitiva salvezza (cfr. Luca 18,25). Mentre ci accostiamo alla mensa della Sapienza, la mensa dove è imbandita la Parola e il Pane di Vita, domandiamo, sull’esempio di Salomone, che essa venga ad abitare in noi, governi la nostra mente e il nostro cuore, ci mantenga sulla via del Maestro divino perché l’«approdo» ultimo della nostra vita sia «nella tranquilla eternità» del regno di Dio (cfr. Prefazio).
A. Fusi

mercoledì 24 luglio 2013

830 - NOSTRA SIGNORA DI APARECIDA


Nostra Signora di Aparecida o Nostra Signora della Concezione di Aparecida, è la patrona del Brasile. Il Santuario si trova ad Aparecida, nello Stato di San Paolo. La si festeggia il 12 ottobre. La Basilica è il più grande santuario mariano del mondo ed è in grado di contenere fino a 45,000 persone ed è anche il quarto santuario più visitato del mondo.

La statua
La storia della Nostra Signora di Aparecida comincia nel 1717, quando si seppe che il conte di Assumar, don Pedro di Almeida e del Portogallo, governatore della Provincia di San Paolo e Minas Gerais, si sarebbe fermato nel villaggio di Guaratinguetá, durante il suo viaggio verso Vila Rica, l'odierna Ouro Preto in Minas Gerais.
Per questa occasione, alcuni pescatori furono incaricati di fornire il pesce per il banchetto da tenersi il giorno dopo, in occasione della visita del conte. Tre pescatori, Domingos Garcia, Filipe Pedroso e João Alves, andarono a pescare nel fiume Paraíba. Dopo alcuni tentativi infruttuosi, gettarono le reti in un'area chiamata Porto Itaguaçu.
João Alves trovò nella sua rete una statua della Madonna, ma le mancava la testa. Gettò nuovamente le reti e questa volta vi era la testa della statua. In seguito i tre pescatori provarono a gettare le reti e queste si riempirono di pesci.
Per 15 anni la statua rimase nella casa di Felipe Pedroso, dove i vicini si riunivano per pregare il rosario. La devozione comincio a diffondersi: alcuni fedeli, che avevano pregato davanti alla statua, affermarono di aver ricevuto delle grazie. Il culto si diffuse in tutto il Brasile.

Curiosità
Tre papi si sono recati in pellegrinaggio al santuario di Nostra Signora di Aparecida: Giovanni Paolo II, nel luglio 1980, Benedetto XVI il 12 e 13 maggio 2007, recando al santuario la Rosa d'Oro, e Francesco il 24 luglio 2013.
 

http://www.a12.com/santuario/

829 - OMELIA NEL SANTUARIO DI APARECIDA

Signor Cardinale,
Venerati fratelli nell’Episcopato e nel Sacerdozio,
Cari fratelli e sorelle!
Quanta gioia mi dà venire alla casa della Madre di ogni brasiliano, il Santuario di Nostra Signora di Aparecida! Il giorno dopo la mia elezione a Vescovo di Roma ho visitato la Basilica di Santa Maria Maggiore a Roma, per affidare alla Madonna il mio ministero. Oggi ho voluto venire qui per chiedere a Maria nostra Madre il buon esito della Giornata Mondiale della Gioventù e mettere ai suoi piedi la vita del popolo latinoamericano.
Vorrei dirvi anzitutto una cosa. In questo santuario, dove sei anni fa si è tenuta la V Conferenza Generale dell'Episcopato dell'America Latina e dei Caraibi, è avvenuto un fatto bellissimo di cui ho potuto rendermi conto di persona: vedere come i Vescovi – che hanno lavorato sul tema dell’incontro con Cristo, il discepolato e la missione – si sentivano incoraggiati, accompagnati e, in un certo senso, ispirati dalle migliaia di pellegrini che venivano ogni giorno ad affidare la loro vita alla Madonna: quella Conferenza è stata un grande momento di Chiesa. E, in effetti, si può dire che il Documento di Aparecida sia nato proprio da questo intreccio fra i lavori dei Pastori e la fede semplice dei pellegrini, sotto la protezione materna di Maria. La Chiesa, quando cerca Cristo bussa sempre alla casa della Madre e chiede: “Mostraci Gesù”. E’ da Lei che si impara il vero discepolato. Ed ecco perché la Chiesa va in missione sempre sulla scia di Maria.
Oggi, guardando alla Giornata Mondiale della Gioventù che mi ha portato in Brasile, anche io vengo a bussare alla porta della casa di Maria – che ha amato ed educato Gesù – affinché aiuti tutti noi, i Pastori del Popolo di Dio, i genitori e gli educatori, a trasmettere ai nostri giovani i valori che li rendano artefici di una Nazione e di un mondo più giusti, solidali e fraterni. Per questo, vorrei richiamare tre semplici atteggiamenti, tre semplici atteggiamenti: mantenere la speranza, lasciarsi sorprendere da Dio, e vivere nella gioia.
1. Mantenere la speranza. La seconda lettura della Messa presenta una scena drammatica: una donna – figura di Maria e della Chiesa – viene perseguitata da un Drago - il diavolo - che vuole divorarne il figlio. Ma la scena non è di morte, ma di vita, perché Dio interviene e mette in salvo il bambino (cfr Ap 12,13a.15-16a). Quante difficoltà ci sono nella vita di ognuno, nella nostra gente, nelle nostre comunità, ma per quanto grandi possano apparire, Dio non lascia mai che ne siamo sommersi. Davanti allo scoraggiamento che potrebbe esserci nella vita, in chi lavora all’evangelizzazione oppure in chi si sforza di vivere la fede come padre e madre di famiglia, vorrei dire con forza: abbiate sempre nel cuore questa certezza: Dio cammina accanto a voi, in nessun momento vi abbandona! Non perdiamo mai la speranza! Non spegniamola mai nel nostro cuore! Il “drago”, il male, c’è nella nostra storia, ma non è lui il più forte. Il più forte è Dio, e Dio è la nostra speranza! È vero che oggi un po’ tutti, e anche i nostri giovani sentono il fascino di tanti idoli che si mettono al posto di Dio e sembrano dare speranza: il denaro, il successo, il potere, il piacere. Spesso un senso di solitudine e di vuoto si fa strada nel cuore di molti e conduce alla ricerca di compensazioni, di questi idoli passeggeri. Cari fratelli e sorelle, siamo luci di speranza! Abbiamo uno sguardo positivo sulla realtà. Incoraggiamo la generosità che caratterizza i giovani, accompagniamoli nel diventare protagonisti della costruzione di un mondo migliore: sono un motore potente per la Chiesa e per la società. Non hanno bisogno solo di cose, hanno bisogno soprattutto che siano loro proposti quei valori immateriali che sono il cuore spirituale di un popolo, la memoria di un popolo. In questo Santuario, che fa parte della memoria del Brasile, li possiamo quasi leggere: spiritualità, generosità, solidarietà, perseveranza, fraternità, gioia; sono valori che trovano la loro radice più profonda nella fede cristiana.
2. Il secondo atteggiamento: lasciarsi sorprendere da Dio. Chi è uomo, donna di speranza - la grande speranza che ci dà la fede - sa che, anche in mezzo alle difficoltà, Dio agisce e ci sorprende. La storia di questo Santuario ne è un esempio: tre pescatori, dopo una giornata a vuoto, senza riuscire a prendere pesci, nelle acque del Rio Parnaíba, trovano qualcosa di inaspettato: un'immagine di Nostra Signora della Concezione. Chi avrebbe mai immaginato che il luogo di una pesca infruttuosa sarebbe diventato il luogo in cui tutti i brasiliani possono sentirsi figli di una stessa Madre? Dio sempre stupisce, come il vino nuovo nel Vangelo che abbiamo ascoltato. Dio riserva sempre il meglio per noi. Ma chiede che noi ci lasciamo sorprendere dal suo amore, che accogliamo le sue sorprese. Fidiamoci di Dio! Lontano da Lui il vino della gioia, il vino della speranza, si esaurisce. Se ci avviciniamo a Lui, se rimaniamo con Lui, ciò che sembra acqua fredda, ciò che è difficoltà, ciò che è peccato, si trasforma in vino nuovo di amicizia con Lui.
3. Il terzo atteggiamento: vivere nella gioia. Cari amici, se camminiamo nella speranza, lasciandoci sorprendere dal vino nuovo che Gesù ci offre, nel nostro cuore c’è gioia e non possiamo che essere testimoni di questa gioia. Il cristiano è gioioso, non è mai triste. Dio ci accompagna. Abbiamo una Madre che sempre intercede per la vita dei suoi figli, per noi, come la regina Ester nella prima lettura (cfr Est 5, 3). Gesù ci ha mostrato che il volto di Dio è quello di un Padre che ci ama. Il peccato e la morte sono stati sconfitti. Il cristiano non può essere pessimista! Non ha la faccia di chi sembra trovarsi in un lutto perpetuo. Se siamo davvero innamorati di Cristo e sentiamo quanto ci ama, il nostro cuore si “infiammerà” di una gioia tale che contagerà quanti vivono vicini a noi. Come diceva Benedetto XVI, qui, in questo Santuario: “Il discepolo è consapevole che senza Cristo non c'è luce, non c'è speranza, non c'è amore, non c'è futuro” (Discorso inaugurale della Conferenza di Aparecida [13 maggio 2007]: Insegnamenti III/1 [2007], p. 861).
Cari amici, siamo venuti a bussare alla porta della casa di Maria. Lei ci ha aperto, ci ha fatto entrare e ci mostra suo Figlio. Ora Lei ci chiede: «Qualsiasi cosa vi dica, fatela» (Gv 2, 5). Sì, Madre, noi ci impegniamo a fare quello che Gesù ci dirà! E lo faremo con speranza, fiduciosi nelle sorprese di Dio e pieni di gioia. Così sia.
papa Francesco, 24 luglio 2013

martedì 23 luglio 2013

828 - PREGHIERA PER LA GIORNATA MONDIALE DELLA GIOVENTU'

L'arrivo di Francesco a Rio de Janeiro - foto O Globo
Accompagnamo papa Francesco in Brasile con la preghiera per la Giornata Mondiale della Gioventù
 
Padre, hai inviato il Tuo Figlio Eterno per salvare il mondo
 e hai scelto uomini e donne affinché, per Lui, con Lui e in Lui,
proclamassero la Buona Novella a tutti i popoli.
Concedi le grazie necessarie perché risplenda sul volto di tutti i giovani
la gioia di essere, mediante la forza dello Spirito,
gli evangelizzatori di cui la Chiesa ha bisogno nel Terzo Millennio.
Cristo, Redentore dell’umanità,
la Tua immagine con le braccia aperte sulla cima del Corcovado
accoglie tutte le persone.
Nella Tua offerta pasquale, ci hai condotto mediante lo Spirito Santo
all’incontro filiale con il Padre.
I giovani, che si nutrono dell’Eucaristia,
Ti ascoltano nella Parola e Ti incontrano nel fratello,
hanno bisogno della Tua infinita misericordia
per percorrere le strade del mondo
come discepoli-missionari della nuova evangelizzazione.
Spirito Santo, Amore del Padre e del Figlio,
con lo splendore della Tua Verità e con il fuoco del Tuo Amore,
effondi la Tua Luce su tutti i giovani affinché,
spinti dalla Giornata Mondiale della Gioventù,
portino nei quattro angoli della terra la fede, la speranza e la carità,
diventando grandi costruttori della cultura della vita
e della pace e protagonisti di un mondo nuovo. Amen!

domenica 21 luglio 2013

827 - DOBBIAMO INVOCARE LA MADONNA

Quando il demonio e le tentazioni mi assalgono, subito ricorro e invoco Maria e ricevo immediatamente aiuto. Mi presento davanti a Lei con confidenza e dico: «Mamma tu devi aiutarmi. Tu sei la Madre del Salvatore». E la Madonna, senza tardare, mi dà il suo aiuto. Anzi, la sua
protezione è così grande che Ella mi libera anche dalle difficoltà terrene.
Sempre dobbiamo amare ed onorare la Vergine benedetta, adesso che siete giovani e più tardi come adulti, così fino alla morte. Questo perché la devozione a Maria deve essere di ogni stagione ed età. Ella è Madre e una madre ha sempre diritto all'amore dei figli. È Regina e una regina ha il diritto dell'onore dei sudditi. È una Benefattrice e una benefattrice ha il diritto della riconoscenza di chi ha beneficato.
So di alcuni cristiani che, o per la noia o per il rispetto umano o per non volere fastidi, non vogliono conversare con la Madonna. Io penso che un cristiano, quando sente l'invito della campana della sera che chiama alla preghiera, non dovrebbe resistere alla necessità di mettersi ai piedi della Madonna.
Non avete forse amarezza da sfogare dinanzi a Lei, non avete suppliche da farle?
Ebbene, non sprecate il tempo sugli angoli della strada in vane conversazioni e mormorazioni. Venite tutte le sere di questo mese della Madonna per pregare con affetto di figli.
Dai "Pensieri di Padre Piamarta"

giovedì 18 luglio 2013

826 - GLI INSEGNAMENTI DI PAPA FRANCESCO

Il pollice è il dito a te più vicino.
Comincia quindi col pregare per coloro che ti sono vicini.
Sono le persone di cui ci ricordiamo più facilmente. Pregare per i nostri cari è "un dolce obbligo".
Il dito successivo è l'indice.
Prega per coloro che insegnano, educano e curano. Questa categoria comprende maestri, professori, medici e sacerdoti. Hanno bisogno di sostegno e saggezza per indicare agli altri la giusta direzione. Ricordali sempre nelle tue preghiere.

Il dito successivo è il più alto.
Ci ricorda i nostri governanti. Prega per il presidente, i parlamentari, gli imprenditori e i dirigenti.
Sono le persone che gestiscono il destino della nostra patria e guidano l'opinione pubblica.
Hanno bisogno della guida di Dio.

Il quarto dito è l'anulare.
Lascerà molto sorpresi, ma è questo il nostro dito più debole, come può confermare qualsiasi insegnante di pianoforte. È lì per ricordarci di pregare per i più deboli, per chi ha sfide da affrontare, per i malati. Hanno bisogno delle tue preghiere di giorno e di notte.
Le preghiere non saranno mai troppe. Ed è lì per invitarci a pregare anche per le coppie sposate.

E per ultimo arriva il nostro dito mignolo, il più piccolo di tutti, come piccoli dobbiamo sentirci noi di fronte a Dio e al prossimo.
Come dice la Bibbia, "gli ultimi saranno i primi".
Il dito mignolo ti ricorda di pregare per te stesso...

Dopo che avrai pregato per tutti gli altri, sarà allora che potrai capire meglio quali sono le tue necessità guardandole dalla giusta prospettiva.
(Da uno scritto di papa Francesco quando era arcivescovo di Buenos Aires)

sabato 13 luglio 2013

825 - VIII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano di Matteo 22,15-22 risente di un clima di opposizione violenta nei confronti di Gesù da parte dei farisei, che si sentono chiamati in causa anche dalla precedente parabola del banchetto nuziale (vv. 1-14). Qui essi appaiono alleati con gli erodiani, partigiani della monarchia, nel porre a Gesù una domanda tranello circa la liceità per un ebreo di pagare o meno l’imposta all’imperatore romano (vv. 16-17). La risposta di Gesù, mentre smaschera l’intento perfido di chi pone la domanda (v. 18), non nega l’autonomia del potere civile nel servire il bene comune, insegnando così ai suoi discepoli ad accettare tale servizio nel contesto dell’ordinamento civile e sociale. In pari tempo esalta il primato di Dio su ogni cosa e, perciò, insegna a rifiutare e a opporsi alla divinizzazione di ogni potere al di fuori di quello di Dio (vv. 20-21).
La presente domenica pone in rilievo tra le figure che hanno segnato l’evolversi della storia della salvezza, quella del profeta Samuele, vissuto nel momento del passaggio dal periodo dei Giudici, di cui egli è l’ultimo, a quello della monarchia.
La Lettura, infatti, riporta la richiesta del popolo fatta a Samuele: «Dacci un re che sia nostro giudice» (1Samuele 8,6); nuovamente reiterata dopo la messa in guardia sui diritti che il re avrebbe vantato su persone e cose che, di fatto, diventano sua proprietà (vv. 11-17).
L’amarezza del profeta è dovuta a ciò che la richiesta del popolo effettivamente significa: l’indifferenza se non l’esplicito rifiuto della regalità di Dio al quale, soltanto, si deve la creazione di Israele come popolo, allorché lo ha «fatto salire dall’Egitto» (v. 8) liberandolo, cioè, dalla tirannia e dall’asservimento al Faraone.
Nelle parole rivolte a Samuele: «Non hanno rigettato te, ma hanno rigettato me, perché io non regni più su di loro» (v. 7), si avverte, se così è lecito affermare, la delusione e il “dolore” di Dio per l’indifferenza e l’ingratitudine del suo popolo che, davvero, è tale a causa del suo amore di predilezione, della difesa e della protezione a esso accordata. Un amore che è evidente nell’accondiscendenza e nella pazienza di Dio verso il suo popolo quando dice a Samuele: «Ascoltali: lascia regnare un re su di loro» (v. 22).
Questa pagina è profezia e annunzio di ciò che Dio intende realizzare nel suo Figlio morto e risorto, costituito re e guida non di un popolo soltanto, ma dell’intera umanità. Attraverso di lui, «l’uomo Cristo Gesù», unico «mediatore tra Dio e gli uomini» (Epistola: 1Timoteo 2,5), viene effettivamente portata a compimento la volontà divina: «Che tutti gli uomini siano salvati e giungano alla conoscenza della verità», liberandoli e facendoli “salire” non già «dall’Egitto» (cfr. 1Samuele 8,1), ma dall’abisso di morte nel quale tutti giacciono, senza eccezione, oppressi dal potere delle tenebre.
L’intera umanità, destinataria della verità, ossia che in Cristo, Dio libera, salva e crea il suo popolo, può pertanto affermare : «Sei tu, Signore, la guida del tuo popolo» (ritornello al Salmo 88).
Proclamata l’assoluta signoria di Dio e la sua regalità sulla storia e sulle vicende umane, la comunità dei credenti è in grado di rapportarsi anche con Cesare ovvero con i re e «tutti quelli che stanno al potere», con il compito di far sì che si possa «condurre una vita calma e tranquilla, dignitosa e dedicata a Dio» (1Timoteo 2,2).
Il Signore Gesù ci insegna, infatti, a «dare a Cesare ciò che è di Cesare» (Vangelo: Matteo 22,21), ossia a essere buoni e onesti cittadini, rispettosi delle norme e delle leggi che permettono la civile convivenza e, si spera, il progresso nel bene comune.
Ed è ciò che ha caratterizzato l’insegnamento apostolico (cfr. 1Timoteo 2,1-2) e, dunque, l’agire dei discepoli del Signore nei confronti del potere. Le prime generazioni cristiane si sono distinte, infatti, per la lealtà dimostrata in quanto cittadini, per il rispetto e addirittura la cordiale «preghiera per tutti quelli che stanno al potere» (v.2), ma si sono opposti, anche a prezzo della loro stessa vita, alla pretesa di questi di ottenere ciò che «è di Dio» (Matteo 22,21), ossia l’uomo, la sua vita, il suo amore, la sua adorazione e la totale consegna di sé.
Questa è la via indicata e percorsa dallo stesso Signore Gesù, segnatamente nell’ora della sua Passione, ed è la via percorsa dagli apostoli e dalle prime generazioni cristiane. La comunità cristiana, perciò, dovrà guardarsi dall’abbandonarla lasciandosi blandire e sedurre dal fascino del potere mondano, che mette in pericolo la sua esclusiva e totale appartenenza a Dio e al suo Cristo e la distoglie drammaticamente dalla sua missione di evangelizzazione al fine di fare degli uomini il popolo che appartiene a Dio e che cammina alla luce del suo volto (cfr. Salmo 88).
A. Fusi
 

lunedì 8 luglio 2013

824 - PAPA FRANCESCO A LAMPEDUSA

Foto Ansa
Immigrati morti in mare, da quelle barche che invece di essere una via di speranza sono state una via di morte. Così il titolo dei giornali. Quando alcune settimane fa ho appreso questa notizia, che purtroppo tante volte si è ripetuta, il pensiero vi è tornato continuamente come una spina nel cuore che porta sofferenza. E allora ho sentito che dovevo venire qui oggi a pregare, a compiere un gesto di vicinanza, ma anche a risvegliare le nostre coscienze perché ciò che è accaduto non si ripeta. Non si ripeta per favore. Prima però vorrei dire una parola di sincera gratitudine e di incoraggiamento a voi, abitanti di Lampedusa e Linosa, alle associazioni, ai volontari e alle forze di sicurezza, che avete mostrato e mostrate attenzione a persone nel loro viaggio verso qualcosa di migliore. Voi siete una piccola realtà, ma offrite un esempio di solidarietà! Grazie! Grazie anche all’Arcivescovo Mons. Francesco Montenegro per il suo aiuto, il suo lavoro e la sua vicinanza pastorale. Saluto cordialmente il sindaco signora Giusi Nicolini, grazie tanto per quello che lei ha fatto e che fa. Un pensiero lo rivolgo ai cari immigrati musulmani che oggi, alla sera, stanno iniziando il digiuno di Ramadan, con l’augurio di abbondanti frutti spirituali. La Chiesa vi è vicina nella ricerca di una vita più dignitosa per voi e le vostre famiglie. A voi: o’scià!
Questa mattina, alla luce della Parola di Dio che abbiamo ascoltato, vorrei proporre alcune parole che soprattutto provochino la coscienza di tutti, spingano a riflettere e a cambiare concretamente certi atteggiamenti.
«Adamo, dove sei?»: è la prima domanda che Dio rivolge all’uomo dopo il peccato. «Dove sei Adamo?». E Adamo è un uomo disorientato che ha perso il suo posto nella creazione perché crede di diventare potente, di poter dominare tutto, di essere Dio. E l’armonia si rompe, l’uomo sbaglia e questo si ripete anche nella relazione con l’altro che non è più il fratello da amare, ma semplicemente l’altro che disturba la mia vita, il mio benessere. E Dio pone la seconda domanda: «Caino, dov’è tuo fratello?». Il sogno di essere potente, di essere grande come Dio, anzi di essere Dio, porta ad una catena di sbagli che è catena di morte, porta a versare il sangue del fratello!
Queste due domande di Dio risuonano anche oggi, con tutta la loro forza! Tanti di noi, mi includo anch’io, siamo disorientati, non siamo più attenti al mondo in cui viviamo, non curiamo, non custodiamo quello che Dio ha creato per tutti e non siamo più capaci neppure di custodirci gli uni gli altri. E quando questo disorientamento assume le dimensioni del mondo, si giunge a tragedie come quella a cui abbiamo assistito.
«Dov’è il tuo fratello?», la voce del suo sangue grida fino a me, dice Dio. Questa non è una domanda rivolta ad altri, è una domanda rivolta a me, a te, a ciascuno di noi. Quei nostri fratelli e sorelle cercavano di uscire da situazioni difficili per trovare un po’ di serenità e di pace; cercavano un posto migliore per sé e per le loro famiglie, ma hanno trovato la morte. Quante volte coloro che cercano questo non trovano comprensione, non trovano accoglienza, non trovano solidarietà! E le loro voci salgono fino a Dio! E una volta ancora ringrazio voi abitanti di Lampedusa per la solidarietà. Ho sentito, recentemente, uno di questi fratelli. Prima di arrivare qui sono passati per le mani dei trafficanti, coloro che sfruttano la povertà degli altri, queste persone per le quali la povertà degli altri è una fonte di guadagno. Quanto hanno sofferto! E alcuni non sono riusciti ad arrivare.
«Dov’è il tuo fratello?» Chi è il responsabile di questo sangue? Nella letteratura spagnola c’è una commedia di Lope de Vega che narra come gli abitanti della città di Fuente Ovejuna uccidono il Governatore perché è un tiranno, e lo fanno in modo che non si sappia chi ha compiuto l’esecuzione. E quando il giudice del re chiede: «Chi ha ucciso il Governatore?», tutti rispondono: «Fuente Ovejuna, Signore». Tutti e nessuno! Anche oggi questa domanda emerge con forza: Chi è il responsabile del sangue di questi fratelli e sorelle? Nessuno! Tutti noi rispondiamo così: non sono io, io non c’entro, saranno altri, non certo io. Ma Dio chiede a ciascuno di noi: «Dov’è il sangue del tuo fratello che grida fino a me?». Oggi nessuno nel mondo si sente responsabile di questo; abbiamo perso il senso della responsabilità fraterna; siamo caduti nell’atteggiamento ipocrita del sacerdote e del servitore dell’altare, di cui parlava Gesù nella parabola del Buon Samaritano: guardiamo il fratello mezzo morto sul ciglio della strada, forse pensiamo “poverino”, e continuiamo per la nostra strada, non è compito nostro; e con questo ci tranquillizziamo, ci sentiamo a posto. La cultura del benessere, che ci porta a pensare a noi stessi, ci rende insensibili alle grida degli altri, ci fa vivere in bolle di sapone, che sono belle, ma non sono nulla, sono l’illusione del futile, del provvisorio, che porta all’indifferenza verso gli altri, anzi porta alla globalizzazione dell’indifferenza. In questo mondo della globalizzazione siamo caduti nella globalizzazione dell'indifferenza. Ci siamo abituati alla sofferenza dell’altro, non ci riguarda, non ci interessa, non è affare nostro!
Ritorna la figura dell’Innominato di Manzoni. La globalizzazione dell’indifferenza ci rende tutti “innominati”, responsabili senza nome e senza volto.
«Adamo dove sei?», «Dov’è il tuo fratello?», sono le due domande che Dio pone all’inizio della storia dell’umanità e che rivolge anche a tutti gli uomini del nostro tempo, anche a noi. Ma io vorrei che ci ponessimo una terza domanda: «Chi di noi ha pianto per questo fatto e per fatti come questo?», Chi ha pianto per la morte di questi fratelli e sorelle? Chi ha pianto per queste persone che erano sulla barca? Per le giovani mamme che portavano i loro bambini? Per questi uomini che desideravano qualcosa per sostenere le proprie famiglie? Siamo una società che ha dimenticato l’esperienza del piangere, del “patire con”: la globalizzazione dell’indifferenza ci ha tolto la capacità di piangere! Nel Vangelo abbiamo ascoltato il grido, il pianto, il grande lamento: «Rachele piange i suoi figli… perché non sono più». Erode ha seminato morte per difendere il proprio benessere, la propria bolla di sapone. E questo continua a ripetersi… Domandiamo al Signore che cancelli ciò che di Erode è rimasto anche nel nostro cuore; domandiamo al Signore la grazia di piangere sulla nostra indifferenza, di piangere sulla crudeltà che c’è nel mondo, in noi, anche in coloro che nell’anonimato prendono decisioni socio-economiche che aprono la strada ai drammi come questo. «Chi ha pianto?». Chi ha pianto oggi nel mondo?
Signore, in questa Liturgia, che è una Liturgia di penitenza, chiediamo perdono per l’indifferenza verso tanti fratelli e sorelle, ti chiediamo Padre perdono per chi si è accomodato e si è chiuso nel proprio benessere che porta all’anestesia del cuore, ti chiediamo perdono per coloro che con le loro decisioni a livello mondiale hanno creato situazioni che conducono a questi drammi. Perdono Signore!
Signore, che sentiamo anche oggi le tue domande: «Adamo dove sei?», «Dov’è il sangue di tuo fratello?».
Papa Francesco
Campo sportivo "Arena" in Località Salina, Lampedusa
Lunedì, 8 luglio 2013

Foto Ansa

venerdì 5 luglio 2013

823 - VII DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano di Giovanni 6,59-69 si riferisce, inizialmente, al discorso tenuto da Gesù nella sinagoga a Cafarnao (6,25-71) e riguardante il mistero del pane di vita che è la sua carne. I vv.61-66 riportano la terza parte del discorso, mentre i vv. 67-69 riferiscono della scelta dei Dodici a proposito delle parole di Gesù. Si noti, al v. 60, come questa volta sono «molti dei suoi discepoli» a rifiutare di ascoltare e di accogliere le parole di Gesù e, perciò, vengono assimilati al popolo che mormora contro Dio e contro Mosè nel suo viaggio attraverso il deserto e che trova un inciampo (= scandalo) nella parola di Dio (v. 61). Scandalo che è destinato a crescere nell’ora del ritorno di Gesù alla sfera divina da cui è venuto (v. 62). A questo punto il Signore fornisce la chiave per interpretare le sue parole di rivelazione sul pane di vita affermando che esse donano lo Spirito e, quindi, vanno comprese «nello spirito» in quanto la carne, ossia l’uomo naturale, non è in grado di decifrarle (v. 63). Seguono la constatazione di Gesù circa l’incredulità di alcuni, la presenza del traditore (v. 64), e l’affermazione conclusiva del v. 65 riguardante la priorità dell’azione divina nell’atto di fede dell’uomo qui indicata come attrazione. Davanti ai «molti dei suoi discepoli» che lo abbandonano (v. 66), Gesù ora si rivolge al piccolo gruppo dei Dodici con la domanda: «Volete andarvene anche voi?», alla quale risponde per tutti Pietro con una professione di fede in lui e con il riconoscere che le parole di Gesù sono «vita eterna» (vv. 67-69).
Le lezioni della Scrittura ci interpellano con tutta serietà sulla nostra effettiva fedeltà a Dio nel suo Figlio Gesù. E questo sia a livello personale, sia a livello comunitario ed ecclesiale.
La Lettura vetero-testamentaria ci presenta Giosuè, il grande mediatore tra Dio e il suo popolo, succeduto a Mosè nell’impegno di guidare Israele e di mantenerlo nella fedeltà all’Alleanza.
Colpisce, nel testo proclamato, l’insistenza con la quale egli mette in guardia il popolo dal trasgredire la parola data a Dio, vero autore, liberatore e protettore di Israele, per servire, ossia prestare il culto di adorazione agli «dei degli stranieri», agli idoli sordi, muti e ciechi dei popoli pagani (vv.19-24). Più di una volta, inoltre, Giosuè mette il popolo di fronte a un’alternativa, a una scelta di campo tra il voler servire Dio o gli «idoli delle genti».
Il servire Dio comporta la consegna a lui di tutto ciò che uno è e possiede. Comporta riconoscere che tutto si riceve da lui autore, nell’antica economia di salvezza, della liberazione d’Israele dall’Egitto, del suo ingresso nella terra promessa (cfr. Giosuè 24,8-13) e che, quindi, a lui tutto dobbiamo compresa la nostra capacità di obbedire al suo volere e di rimanergli fedeli.
Ora, diversamente dal popolo dell’antica alleanza, il nostro condottiero, la nostra guida non è un uomo pur grande qual era Giosuè, ma è lo stesso Figlio di Dio venuto nel mondo per la liberazione dell’uomo dalla schiavitù del potere del male e per annunciare quella parola che è: «Spirito e vita» (Vangelo: Giovanni 6,63), una parola cioè che viene da Dio e dona, a chi crede, la sua stessa vita divina.
È inevitabile, perciò, domandarci, nella nostra qualità di membri del popolo di Dio e di discepoli del Signore, se davvero abbiamo accolto la sua Parola nel cuore e nel profondo del nostro spirito, se vi abbiamo aderito non solo con la mente, ma con la nostra vita effettivamente vissuta in conformità a essa. Può infatti accadere che la nostra sia un’adesione puramente formale al Vangelo del Signore mentre, di fatto, serviamo gli idoli che ci affascinano e ci attraggono asservendoci al nostro io cattivo, al potere della ricchezza, del successo, del piacere mondano.
Nell’Epistola abbiamo ascoltato e quasi toccato con mano la gioia dell’Apostolo nel constatare che i Tessalonicesi, una volta accolta la predicazione evangelica, sono rimasti fedeli nella scelta di «servire il Dio vivo e vero» divenendo in tal modo idonei a far risuonare la parola che salva «non soltanto in Macedonia e in Acaia… ma dappertutto» (v. 8). Ed è proprio tale fedeltà a dare consistenza e credibilità all’impegno che spetta alla Chiesa e a ogni fedele di far risuonare in questo mondo la parola che salva, vale a dire il Vangelo del Signore Gesù. È lui, Gesù, Parola vivente di Dio la “grande pietra” profeticamente fissata da Giosuè come memoriale perenne della volontà di Israele di servire il solo Dio (Giosuè 24, 26-27). Nel sacrificio pasquale, memoriale perenne e attuativo dell’alleanza con Dio, è fissata per ogni uomo e per sempre la grazia che rafforza la fragile nostra volontà di servirlo nella fedeltà al suo volere in ogni circostanza della nostra vita. Poggiando su Cristo, pietra e roccia incrollabile, la Chiesa potrà con fiducia ripetere ciò che una volta Pietro gli disse a nome di tutti: «Signore, da chi andremo? Tu hai parole di vita eterna» (Giovanni, 6, 68). Avendo chiara consapevolezza che furono proprio alcuni discepoli a «tornare indietro», nella via cioè dell’incredulità, e a non voler più contatto con Gesù (cfr. v. 66), supplichiamo il Padre che non permetta a noi, suoi fedeli, di giudicare troppo dura la Parola del suo Figlio e perciò gli diciamo con fiducia: «O Dio grande e misericordioso, rimuovi ogni ostacolo dal nostro cammino, perché nel vigore del corpo e nella serenità dello spirito possiamo dedicarci liberamente al tuo servizio» (orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica).
A.Fusi

lunedì 1 luglio 2013

822 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - LUGLIO 2013

Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.

Generale: Perché la Giornata Mondiale della Gioventù che si svolge in Brasile incoraggi tutti i giovani cristiani a farsi discepoli e missionari del vangelo. 

Missionaria: “Perché in tutto il continente asiatico siano aperte le porte ai messaggeri del Vangelo”.

Dei vescovi: “Perché cresca un laicato maturo che sappia testimoniare e incarnare il Vangelo nella società in un modo significativo anche per i non credenti ”.