Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

domenica 28 aprile 2013

807 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - MAGGIO 2013

Intenzione generale: Perché chi amministra la giustizia operi sempre con integrità e retta coscienza".

Intenzione missionaria: "Perché i Seminari, specialmente delle Chiese in missione, formino pastori secondo il Cuore di Cristo, interamente dedicati all'annuncio del Vangelo".

Intenzione dei vescovi: "Perché i giovani che si preparano al matrimonio – per l'intercessione della Madre di Dio – formino famiglie unite, stabili e aperte alla vita, ben inserite nella Chiesa e nella società".

venerdì 26 aprile 2013

806 - V DOMENICA DOPO PASQUA

I passi biblici proclamati in questa domenica ci aiutano a penetrare più a fondo nella comprensione del mistero della Pasqua del Signore che culmina con il suo ritorno al Padre e con l’invio dello Spirito Paraclito, il Consolatore, che subentra, al suo posto, tra i suoi. Anche la preghiera liturgica sottolinea che «in questo tempo santo» la Chiesa è consacrata «a contemplare e a rivivere gli eventi salvifici della pasqua di Cristo» (Prefazio).
Il brano evangelico, in particolare, ci trasporta nel cenacolo dove Gesù stesso, nel guardare in faccia la sua morte, oramai imminente, la chiama glorificazione! In essa, infatti, lui, quale Figlio obbediente, “glorifica” il Padre, ossia manifesta il disegno salvifico in essa racchiuso. A sua volta, il Padre, “glorifica” il Figlio facendolo penetrare nell’intimità della comunione divina alla quale potranno accedere anche coloro che avranno creduto in lui.
Da ciò impariamo anche noi a dare “gloria” al Padre del Cielo compiendo in noi, al pari del suo Figlio, la sua volontà. Il Padre non mancherà di donarci, così come ha fatto con il suo Figlio, l’esperienza sublime della comunione con lui che, essenzialmente, è esperienza di amore. Quello che Gesù ha reso visibile, e a tutti concretamente riconoscibile nella sua Pasqua e, segnatamente, nella sua “ora”, ossia nella sua Croce!
Si comprende, perciò, come il Signore, nel momento di prendere congedo dai suoi, consegna ad essi il suo comandamento, che egli dice «nuovo» in quanto consiste nell’amare di quell’amore con il quale sono stati amati da lui. Un simile amore, è evidente, non ci è connaturato, né si persegue mediante i nostri sforzi, ma procede dall’amore con il quale Gesù ci ha amati e che ci rende capaci di manifestare nell’amore reciproco verso i fratelli.
Del resto egli, nel sacramento del suo Corpo immolato e del suo Sangue versato, ci trasmette intatto e di continuo il suo amore, spinto fino al dono supremo di sé, e ci abilita a far sprigionare da noi, che «partecipiamo del suo Corpo e del suo Sangue», lo stesso suo amore!
È la solenne consegna del Signore che sta per avviarsi alla Croce, ai suoi discepoli. Essi l’hanno accolta, messa in pratica e trasmessa come eredità preziosa alle future generazioni di credenti fino ad oggi. È la consegna che la Chiesa oggi è chiamata a vivere in faccia a questo nostro mondo: rendere visibile il suo amore per tutti! Si pensi, a tale riguardo, al ruolo che l’apostolo Paolo assegna alla carità nella vita e nell’attività delle comunità cristiane delle origini e, dunque, della Chiesa di tutti i tempi. Essa dovrà sempre desiderare «i carismi più grandi» (Epistola: 1Corinzi 12,31), vale a dire quei doni spirituali capaci di farla crescere, di sostenere la sua vita e di rendere efficace la sua attività missionaria. Tali carismi, di per sé provvisori, sono tutti compresi nel dono della carità la quale, invece, «non avrà mai fine» (13,8).
L’amore vicendevole, quello stesso del Signore, che i credenti si donano reciprocamente, mentre li identifica nel tempo come discepoli di Gesù, rappresenta la forma più alta ed efficace di evangelizzazione. Tutto ciò è stato ben compreso fin dalle origini della comunità cristiana come ci testimonia la Lettura: «La moltitudine di coloro che erano diventati credenti aveva un cuore solo e un’anima sola» (Atti degli Apostoli 4,32). Ciò permetteva agli apostoli di dare concreta «testimonianza alla risurrezione del Signore Gesù» (v. 33) e alla comunità di godere di autentico prestigio tra la gente.
Mentre nell’assemblea liturgica partecipiamo al sacramento della carità di Cristo, facciamo risuonare in noi ciò che abbiamo ripetuto più volte nel Salmo Responsoriale: «Dove la carità è vera, abita il Signore». Stiano, inoltre, fisse nei nostri cuori le parole dell’apostolo intenzionato a mostrarci «la via più sublime» che è la carità, ovvero l’amore del Signore riversato in tutti noi nel suo celeste sacramento e che, per sua grazia, deve da noi traboccare sui nostri fratelli di fede e sugli uomini del nostro tempo.
(Fusi)

mercoledì 24 aprile 2013

805 - 25 APRILE - CENTENARIO DELLA MORTE DI PADRE PIAMARTA

Giovanni Battista Piamarta nasce a Brescia il 26 novembre 1841 da una famiglia povera. Or­fano di madre a 9 anni, cresce trovan­do un sostegno educativo nel nonno materno e nell’oratorio. La sua adole­scenza è difficile ma, grazie al parroco di Vallio Terme (Bs), che ne scopre la vocazione, può incominciare il cam­mino verso il sacerdozio.
Ordinato sacerdote il 24 dicembre 1865, svolge dapprima il suo mini­stero a Carzago Riviera, a Bedizzole e nella parrocchia di Sant’Alessandro a Brescia. In seguito diventa parroco di Pavone Mella. Le prime esperienze oratoriane sono per lui una preziosa possibilità di conoscere da vicino la gioventù alle prese con il duro mon­do delle fabbriche della nascente in­dustria bresciana.
Nel 1886 lascia la parrocchia per tor­nare a Brescia e dedicarsi a realizzare un’opera da tempo pensata e sognata: colpito dall’abbandono spirituale e dalla perdita della fede di tanti gio­vani e ragazzi che confluivano in cit­tà a cercare lavoro, egli, poverissimo ma fiducioso nell’aiuto di Dio, il 3 dicembre avvia l’Istituto Artigianelli per offrire loro una sicura prepara­zione professionale e cristiana con l’aiuto di monsignor Pietro Capretti, figura eminente del clero bresciano.
Seppur con enormi difficoltà, dal 1888 la crescita degli “artigianelli” non si ferma più, si moltiplicano i fabbricati e i laboratori nei quali i giovani ricevono una preparazione tecnica, religiosa e umana ovunque riconosciuta. Con la tipografia ed editrice Queriniana Padre Piamarta interviene in modo significativo nel mondo della stampa e della cultura cattolica. Pochi anni dopo, rivolge la sua sollecitudine anche al mondo dell’agricoltura, dando origine alla Colonia Agricola di Remedello (BS) con padre Giovanni Bonsignori allo scopo di ridare vitalità e dignità al mondo agricolo e rimedia­re alla piaga dell’emigrazione. Attorno a padre Piamarta si radunano presto alcuni religiosi, che condividono gli ideali e le fatiche della sua missione. Nel marzo del 1900 nasce così la Congregazione della Sacra Famiglia di Naza­reth, composta da sacerdoti e laici dediti all’e­ducazione dei giovani, che continuano la sua missione anche oggi. Insieme ad Elisa Baldo dà origine anche alla Congregazione femminile delle Umili Serve del Signore. Ai suoi principi e insegnamenti si ispira anche il Movimento Secolare Piamartino.
Giovanni Piamarta muore il 25 aprile 1913 a Remedello, al termine di una vita tutta spesa al servizio di Dio e dei giovani. Dal 1926 la sua salma riposa nella chiesa dell’Istituto Artigia­nelli, da lui stesso costruita.
Nel 1986 la Chiesa ne ha riconosciuto l’eroicità delle virtù e il 12 ottobre 1997 è stato beatifica­to da papa Giovanni Paolo II e il 21 ottobre è stato canonizzato da papa Benedetto XVI.
La memoria liturgica è il 26 aprile.
Dopo cento anni San Giovanni Piamarta opera tra i giovani, in Italia, in Brasile, in Cile, in An­gola, in Mozambico, nei centri di accoglienza, nei centri di formazione professionale, nell’as­sistenza ai “meninos de rua”, nei quartieri più poveri, nelle scuole, nelle parrocchie. Sempre con i giovani e per i giovani. Sempre all’insegna del programma evangelico: “tutto quello che avete fatto a uno di questi più piccoli, lo avrete fatto a me”.
Chi è interessato a conoscere la figura di S. Pia­marta può visitare il blog: 
http://sangiovannipiamarta.blogspot.it/
oppure leggere:
Dal “diario” di p. Piamarta di Piergiordano Cabra ed. Queriniana
Piamarta di Piergiordano Cabra ed. Queriniana
Padre Danilo Scalvini

sabato 20 aprile 2013

804 - IV DOMENICA DOPO PASQUA

Il testo evangelico di Giovanni 15,9-17 è ambientato nel Cenacolo di Gerusalemme e riproduce quella parte del discorso di rivelazione introdotto dall’affermazione di Gesù di essere la «vite vera» e il Padre il «vignaiolo» (v. 1). Qui viene presentato il Padre come sorgente dell’amore. Da lui, dal suo amore per il Figlio, scaturisce quello di Gesù per i suoi discepoli i quali sono invitati a “rimanere” nel suo amore e, dunque, in quello del Padre (v. 9). Il v.10 chiarisce che rimanere nell’amore significa, molto concretamente, obbedire ai suoi comandamenti sul modello dell’obbedienza di Gesù al Padre. Tale obbedienza fa gioire il discepolo della stessa gioia del Figlio che fa la volontà del Padre (v. 11). A questo punto Gesù presenta l’amore fraterno come il “suo” comandamento (v. 12). La sua osservanza prova che il discepolo rimane nell’amore stesso di atto supremo del suo amore! L’amore assoluto di Gesù motiva la fedeltà del discepolo al suo comandamento. Chi lo osserva è amico di Gesù (v. 14) e non più suo servo, titolo che nella Scrittura sta a indicare chi è fedele a Dio. Al suo amico Gesù rivela la sua intima relazione filiale con il Padre (v. 15). Il v. 16 chiarisce che è Gesù in persona a scegliere i suoi discepoli e ad assicurarli che anch’essi porteranno frutto duraturo mantenendosi nella fede e nell’amore in lui e nell’osservanza del suo comandamento a cui vengono ancora una volta esortati (v. 17).
I testi biblici proclamati in questa domenica di Pasqua ci offrono la possibilità di cogliere il significato più alto di quell’evento, ciò che esso esprime, ciò che da esso viene a noi e, di conseguenza, quanto esso ci domanda.
Alla luce di quanto abbiamo ascoltato nella pagina evangelica dobbiamo dire che la ragione che ha spinto il Signore Gesù a «dare la sua vita» (Vangelo: Giovanni 15,13) è l’amore «più grande» che arde nel suo cuore.
Un amore che lo unisce al Padre fonte dell’amore stesso del suo Figlio e che egli fa traboccare su «i suoi», su quanti accolgono con fede la sua parola di rivelazione. Si tratta, però, non di un amore sentimentale e semplicemente rivelatore di un affetto, ma molto concretamente della totale piena disponibilità di Gesù, il Figlio, a obbedire ai comandamenti del Padre suo, a fare cioè la sua volontà. La sua Pasqua di morte e di risurrezione, perciò, è simultaneamente l’epifania suprema dell’amore di Gesù, il Figlio, per il Padre e del suo amore per i suoi.
Amore che nella preghiera liturgica è cantato come la motivazione di fondo di tutto ciò che il Signore Gesù ha fatto per noi: «Mosso a compassione per l’umanità che si era smarrita, egli si degnò di nascere dalla vergine Maria; morendo ci liberò dalla morte e risorgendo ci comunicò la vita immortale» (Prefazio).
A ben guardare, però, occorre precisare che Gesù partecipa ai suoi discepoli il suo stesso amore per il Padre e insegna a essi a fare altrettanto, a obbedire cioè anch’essi al suo comandamento: quello dell’amore fraterno che, di fatto, esige la disponibilità a «dare la propria vita» (v. 13).
È l’amore incandescente che riscontriamo nell’apostolo Paolo il quale considera del tutto positiva la sua condizione di «prigioniero per Cristo» (Epistola: Filippesi 1,13) che, tra l’altro, infiamma i suoi fratelli nella fede ad annunziare «senza timore la Parola» (v. 14). Un amore, quello di Paolo, che in totale uniformità al suo Signore, si manifesta nella convinta disponibilità «a morire a Gerusalemme per il nome del Signore Gesù» (Lettura: Atti degli Apostoli 21, 14).
A tale riguardo è possibile anche a noi verificare l’esistenza nel nostro spirito dell’amore “di” Gesù e “per” Gesù se avvertiamo nell’intimo dei nostri cuori un’irresistibile inclinazione alla carità fraterna concretamente vissuta. È questo, infatti, il «frutto» portato da Gesù nella sua Pasqua ed è questo il «frutto» duraturo che siamo chiamati anche noi, come suoi discepoli, a portare in questo mondo.
Un simile amore, spinto fino al dono di sé, non nasce spontaneamente nel cuore dell’uomo, ma è dono che procede dalla Pasqua del Signore Gesù dispensato nei sacramenti pasquali e, massimamente, nell’Eucaristia. Essa, infatti, ci fa partecipare dell’amore vicendevole del Padre e del Figlio. Un amore che, in Gesù, si è reso a tutti visibile come obbedienza al volere salvifico del Padre che, nel dono della vita del suo unigenito, intende fare degli uomini i suoi figli!
A.Fusi

sabato 13 aprile 2013

803 - III DOMENICA DI PASQUA

Questa, come le successive tre domeniche, scandisce la prima parte del Tempo di Pasqua, vale a dire i quaranta giorni della permanenza del Risorto tra i suoi discepoli prima sua ascensione al cielo, ovvero del suo ritorno glorioso al Padre. In particolare le Scritture lette in questa domenica nelle nostre assemblee liturgiche proclamano che il Signore, nella sua Risurrezione, è la luce che, diffusa nel mondo dalla predicazione degli apostoli suoi testimoni, deve illuminare l’intera umanità.
Il brano del Vangelo Giovanni 8,12-19 riporta quasi per intero la prima parte dell’insegnamento di Gesù nel Tempio in occasione della festa delle Capanne (vv. 12-30) che occupa l’intero ottavo capitolo. In particolare, i versetti, oggi proclamati, si aprono con la solenne rivelazione: «Io sono la luce del mondo» (v.12) si badi, non del solo Israele, ma di tutte le genti. L’umanità intera, perciò, è invitata a seguire Gesù, a credere in lui per raggiungere la vita che Dio le offre. Il v. 13 riporta la contestazione da parte dei farisei i quali rifiutano di accogliere la sua rivelazione perché priva di testimoni che ne attestino la veridicità. La risposta di Gesù (vv. 14-18) si articola nel rivendicare anzitutto la veridicità della sua testimonianza in quanto egli ha perfetta coscienza circa la sua origine dal Padre e circa il suo destino che contempla il suo ritorno al Padre, al contrario dei suoi interlocutori che giudicano secondo la carne (v. 15) ossia secondo le umane apparenze, privi come sono della fede. Gesù, inoltre, è veritiero in quanto, oltre alla sua, può portare la testimonianza del Padre, della cui Parola egli è il rivelatore supremo (vv. 16-18). Alla nuova domanda dei farisei: «Dov’è tuo padre?» (v. 19a), Gesù risponde stigmatizzando la loro incredulità che impedisce loro di conoscere lui e il Padre. Solo la fede in lui, dunque offre il dono di comprendere che conoscere lui equivale a conoscere il Padre (v. 19b).
I giorni pasquali rappresentano una grande opportunità per dilatare gli spazi della nostra fede, del nostro amore e della nostra speranza nel Signore Gesù risorto dai morti.
Occorre, perciò, vivere questi giorni chiedendo senza interruzione al Padre del Cielo: «Donaci occhi, Signore, per vedere la tua gloria» (Salmo 96/97). La gloria di Dio, come sappiamo e crediamo, brilla sopra ogni umana capacità e comprensione nel suo Figlio, il Risorto dalle orribili tenebre della morte!
Il Signore Gesù, pertanto, è, in tutta verità, «la luce del mondo» (Vangelo: Giovanni 8,12). Egli, cioè, rivela e proclama a tutte le nazioni e ad ogni uomo che il suo destino, quello di Figlio glorificato e definitivamente sottratto al potere della morte, è il destino che attende ogni uomo che crede in lui non soltanto come rivelatore ma come Figlio di Dio, il Padre! È questo il Vangelo che gli apostoli hanno predicato e testimoniato a tutti i popoli della terra.
Ne è esemplare testimonianza ciò che abbiamo letto nella Lettura che riporta la ferma, serena consapevolezza dell’apostolo Paolo che la luce salvifica che brilla sul volto del Signore deve essere portata a tutti indistintamente: non solo al popolo della prima Alleanza ma, come egli stesso afferma: «Sia dunque noto a voi che questa salvezza di Dio fu inviata alle nazioni, ed esse ascolteranno!» (Atti degli Apostoli 28,28).
Una consapevolezza che gli fa dire, nell’avviare la sua lettera alla comunità cristiana di Roma composta sia da fedeli provenienti dal giudaismo che dal mondo pagano, che egli è stato chiamato ad essere apostolo «per annunziare il vangelo di Dio…», «che riguarda il Figlio suo… costituito Figlio di Dio con potenza, secondo lo Spirito di santità, in virtù della risurrezione dei morti» e questo «per suscitare l’obbedienza della fede in tutte le genti» (Epistola: Romani 1,1-5).
Si tratta di parole di permanente stringente attualità. Siamo, infatti, consapevoli che il Vangelo della Risurrezione del Signore Gesù e il significato salvifico in essa racchiuso, deve ancora essere predicato alla stragrande maggioranza degli uomini oggi esistenti sulla faccia della terra.
Siamo inoltre consapevoli che il Vangelo della Risurrezione debba essere di nuovo annunciato anche alle nostre comunità, a tutti noi che, «santi per chiamata» (Romani 1,6), corriamo il rischio concreto di diventare duri di orecchi e ciechi (cfr. Atti degli Apostoli 28,27), a motivo dell’indifferenza più sorda e opaca che sembra oggi avere la meglio anche tra noi.
Le nostre comunità, al contrario, sono chiamate a seguire le orme apostoliche nella convinzione che la luce che promana dal Signore Risorto è il dono che il mondo attende da noi.
Si tratta, come direbbe l’Apostolo, di un debito che tutti noi, discepoli del Signore, abbiamo nei confronti degli uomini e delle donne del nostro tempo (cfr. Romani 1,14). Un debito che saremo in grado di saldare nella misura in cui gli effetti della Risurrezione saranno visibili e riconoscibili nella nostra esistenza. Ciò dipende dalla nostra convinta adesione di fede nel Signore Gesù rivelatore di Dio e Figlio unigenito del Padre che, nella partecipazione ai sacramenti pasquali ci attraversa con la potenza della sua Risurrezione. Nel Battesimo, infatti, il Padre ha «infuso in noi una vita che viene dal cielo» (Prefazio) quella, cioè, del suo Figlio che, alimentata alla mensa eucaristica, comincia a far brillare già da ora la luce della Risurrezione in un’esistenza pienamente uniformata alla sua.
A.Fusi

sabato 6 aprile 2013

802 - DOMENICA DELLA DIVINA MISERICORDIA

 
E' la più importante di tutte le forme di devozione alla Divina Misericordia. Gesù parlò per la prima volta del desiderio di istituire questa festa a suor Faustina a Pock nel 1931, quando le trasmetteva la sua volontà per quanto riguardava il quadro: "Io desidero che vi sia una festa della Misericordia. Voglio che l'immagine, che dipingerai con il pennello, venga solennemente benedetta nella prima domenica dopo Pasqua; questa domenica deve essere la festa della Misericordia" (Q. I, p. 27). Negli anni successivi - secondo gli studi di don I. Rozycki - Gesù è ritornato a fare questa richiesta addirittura in 14 apparizioni definendo con precisione il giorno della festa nel calendario liturgico della Chiesa, la causa e lo scopo della sua istituzione, il modo di prepararla e di celebrarla come pure le grazie ad essa legate.
La scelta della prima domenica dopo Pasqua ha un suo profondo senso teologico: indica lo stretto legame tra il mistero pasquale della Redenzione e la festa della Misericordia, cosa che ha notato anche suor Faustina: "Ora vedo che l'opera della Redenzione è collegata con l'opera della Misericordia richiesta dal Signore" (Q. I, p. 46). Questo legame è sottolineato ulteriormente dalla novena che precede la festa e che inizia il Venerdì Santo.
Gesù ha spiegato la ragione per cui ha chiesto l'istituzione della festa: "Le anime periscono, nonostante la Mia dolorosa Passione (...). Se non adoreranno la Mia misericordia, periranno per sempre" (Q. II, p. 345).
La preparazione alla festa deve essere una novena, che consiste nella recita, cominciando dal Venerdì Santo, della coroncina alla Divina Misericordia. Questa novena è stata desiderata da Gesù ed Egli ha detto a proposito di essa che "elargirà grazie di ogni genere" (Q. II, p. 294).
Per quanto riguarda il modo di celebrare la festa Gesù ha espresso due desideri:
 - che il quadro della Misericordia sia quel giorno solennemente benedetto e pubblicamente, cioè liturgicamente, venerato;
- che i sacerdoti parlino alle anime di questa grande e insondabile misericordia Divina (Q. II, p. 227) e in tal modo risveglino nei fedeli la fiducia.
"Sì, - ha detto Gesù - la prima domenica dopo Pasqua è la festa della Misericordia, ma deve esserci anche l'azione ed esigo il culto della Mia misericordia con la solenne celebrazione di questa festa e col culto all'immagine che è stata dipinta" (Q. II, p. 278).
La grandezza di questa festa è dimostrata dalle promesse:
- "In quel giorno, chi si accosterà alla sorgente della vita questi conseguirà la remissione totale delle colpe e delle pene" (Q. I, p. 132) - ha detto Gesù. Una particolare grazia è legata alla Comunione ricevuta quel giorno in modo degno: "la remissione totale delle colpe e castighi". Questa grazia - spiega don I. Rozycki - "è qualcosa di decisamente più grande che la indulgenza plenaria. Quest'ultima consiste infatti solo nel rimettere le pene temporali, meritate per i peccati commessi (...). E' essenzialmente più grande anche delle grazie dei sei sacramenti, tranne il sacramento del battesimo, poiché‚ la remissione delle colpe e dei castighi è solo una grazia sacramentale del santo battesimo. Invece nelle promesse riportate Cristo ha legato la remissione dei peccati e dei castighi con la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia, ossia da questo punto di vista l'ha innalzata al rango di "secondo battesimo". E' chiaro che la Comunione ricevuta nella festa della Misericordia deve essere non solo degna, ma anche adempiere alle fondamentali esigenze della devozione alla Divina Misericordia" (R., p. 25). La comunione deve essere ricevuta il giorno della festa della Misericordia, invece la confessione - come dice don I. Rozycki - può essere fatta prima (anche qualche giorno). L'importante è non avere alcun peccato.
Gesù non ha limitato la sua generosità solo a questa, anche se eccezionale, grazia. Infatti ha detto che "riverserà tutto un mare di grazie sulle anime che si avvicinano alla sorgente della Mia misericordia", poiché‚ "in quel giorno sono aperti tutti i canali attraverso i quali scorrono le grazie divine. Nessuna anima abbia paura di accostarsi a Me anche se i suoi peccati fossero come lo scarlatto" (Q. II, p. 267). Don I. Rozycki scrive che una incomparabile grandezza delle grazie legate a questa festa si manifesta in tre modi:
- tutte le persone, anche quelle che prima non nutrivano devozione alla Divina Misericordia e persino i peccatori che solo quel giorno si convertissero, possono partecipare alle grazie che Gesù ha preparato per la festa;
- Gesù vuole in quel giorno regalare agli uomini non solo le grazie salvificanti, ma anche benefici terreni - sia alle singole persone sia ad intere comunità;
- tutte le grazie e benefici sono in quel giorno accessibili per tutti, a patto che siano chieste con grande fiducia (R., p. 25-26).
Questa grande ricchezza di grazie e benefici non è stata da Cristo legata ad alcuna altra forma di devozione alla Divina Misericordia.
Numerosi sono stati gli sforzi di don M. Sopocko affinché‚ questa festa fosse istituita nella Chiesa. Egli non ne ha vissuto però l'introduzione. Dieci anni dopo la sua morte, il card. Franciszek Macharski con la Lettera Pastorale per la Quaresima (1985) ha introdotto la festa nella diocesi di Cracovia e seguendo il suo esempio, negli anni successivi, lo hanno fatto i vescovi di altre diocesi in Polonia.
Il culto della Divina Misericordia nella prima domenica dopo Pasqua nel santuario di Cracovia - Lagiewniki era già presente nel 1944. La partecipazione alle funzioni era così numerosa che la Congregazione ha ottenuto l'indulgenza plenaria, concessa nel 1951 per sette anni dal card. Adam Sapieha. Dalle pagine del Diario sappiamo che suor Faustina fu la prima a celebrare individualmente questa festa, con il permesso del confessore.

Leggi il Diario di suor Faustina on line: 
http://www.festadelladivinamisericordia.com/page/leggi-il-diario-on-line.asp

801 - II DOMENICA DOPO PASQUA

Il testo evangelico (Gv. 20,19-31) si presenta chiaramente diviso in due parti riguardanti rispettivamente l’apparizione del Signore Risorto la sera di Pasqua (vv. 19-23) e il successivo suo incontro“otto giorni dopo” con la presenza, stavolta, dell’apostolo Tommaso (vv. 24-29). I vv. 30-31, infine, riportano alcune considerazioni conclusive dell’evangelista in ordine al suo Vangelo,messo per iscritto con l’intento di suscitare la fede in Gesù come Messia e Figlio di Dio e, ottenere in tal modo, la “vita” ossia la comunione filiale, per mezzo di Cristo, con il Padre.
Il presente brano evangelico,che ogni anno viene proclamato nella seconda domenica di Pasqua, è di decisiva importanza per la comprensione dell’esistenza stessa della Chiesa e della sua missione. Va anzitutto sottolineata l’importante precisazione riguardante il raduno dei discepoli «la sera di quel giorno», quello, s’intende, della Risurrezione, in un unico luogo (v. 19). Ciò sembra indicare che, quanto viene narrato, riguarda la comunità ecclesiale di allora, come di oggi e di sempre. Al centro dell’attenzione c’è il Signore Gesù che si presenta ai suoi riuniti a porte chiuse «per timore dei Giudei». Viene così evidenziato che non vi sono ostacoli e barriere che possano impedire al Signore di “stare in mezzo” alla sua Chiesa e di offrire il dono pasquale della pace, dovuta proprio alla sua presenza. Con il Signore Risorto, perciò, nel cuore dei discepoli la pace subentra al timore. A essi Gesù si fa riconoscere mostrando«loro le mani e il fianco», con i segni della trafittura dei chiodi e della lancia del soldato romano, facendo sgorgare la gioia nei loro cuori alla vista del Maestro che videro pendere dalla Croce (v. 20).
A essi il Crocifisso/Risorto può ora consegnare il mandato per la specifica missione che dovranno compiere e che la Chiesa dovrà continuare lungo i tempi. Egli, che è l’inviato dal Padre, a sua volta manda i suoi discepoli e, in essi, quanti lungo i secoli formeranno la sua Chiesa, a compiere la sua stessa missione di salvezza garantendone l’efficacia mediante il dono dello Spirito, indicato nel gesto molto espressivo del soffiare su di essi (v. 22). La missione consiste essenzialmente nell’estendere a ogni uomo il frutto della Pasqua, vale a dire la remissione e il perdono dei peccati e con la potenza dello Spirito il dono di una vita nuova. In tal modo la Chiesa può portare nel mondo la “vita”, quella che nel Signore Gesù ha trionfato sul peccato e dunque sulla morte nella cui oscurità giace il mondo e, in esso, l’intera umanità.
In questa zona oscura si colloca Tommaso, «uno dei Dodici», con il deciso rifiuto di accogliere la testimonianza dei discepoli: «Abbiamo visto il Signore!» (v. 25).
Tommaso, che «non era con loro quando venne Gesù» la sera del giorno della sua risurrezione (v. 24), rappresenta tutti coloro che, nei secoli, dovranno fidarsi e affidarsi alla testimonianza che la comunità dei credenti offre su Gesù, il Vivente, senza esigere perciò di vedere e di mettere personalmente la mano nelle sue ferite. Tommaso supererà questa pretesa “otto giorni dopo” allorché il Signore tornerà tra i suoi recando il dono della pace e gli chiederà di mettere il suo dito e la sua mano nelle sue ferite esortandolo a «non essere più incredulo, ma credente!» (v. 27). Esortazione che va compresa, in realtà, rivolta a ogni futuro discepolo e, in prospettiva, a ogni uomo chiamato a diventarlo.
La reazione di Tommaso è quella di chi oramai è diventato credente. Ora non è più interessato a vedere e a toccare le ferite del Signore, ma si rivolge a lui con una proclamazione di fede assoluta: «Mio Signore e mio Dio!».Con ciò riconosce che il suo Maestro, morto sulla Croce, deposto nel sepolcro, è il Risorto, è Dio!
Le parole conclusive del Signore (v. 29) sono anch’esse rivolte, tramite Tommaso, ai futuri credenti e, dunque, anche a noi che oggi le ascoltiamo nella proclamazione liturgica dell’evangelo. Fin da ora siamo da Gesù stesso proclamati beati perché crediamo in lui senza poterlo vedere e toccare. Vedere e toccare il Risorto è l’esperienza propria dei Dodici. D’ora in poi la fede dei credenti dovrà poggiarsi sulla loro testimonianza guardandosi, come avverte l’Apostolo, di cadere vittima della vuota pretesa di chi pensa e ragiona «secondo gli elementi del mondo e non secondo Cristo» (Epistola: Colossesi 2,8). Per questo abbiamo così pregato nell’orazione All’Inizio dell’Assemblea Liturgica: «Dio…avvinci a te il cuore dei tuoi servi; tu che ci hai liberato dalle tenebre dello spirito non lasciarci allontanare più dalla tua luce».
Nella celebrazione eucaristica, scandita dal solenne ritmo domenicale istituito dalle apparizioni del Risorto, è possibile per noi vivere, nel mistero, l’esperienza degli Apostoli: crescere nella fede e nell’amore del Signore e accogliere, con il “soffio” del suo Spirito, il mandato che ci abilita alla missione evangelica nel mondo.
La Lettura mostra come questa missione è stata da subito attuata dagli stessi Apostoli, i quali annunziano con estrema chiarezza che «in nessun altro c’è salvezza; non vi è infatti, sotto il cielo, altro nome dato agli uomini, nel quale è stabilito che noi siamo salvati» (Atti degli Apostoli 4,12). L’esperienza che essi hanno fatto del Risorto, la missione ricevuta nella potenza dello Spirito Santo, è insopprimibile nei loro cuori e li spinge ad annunziare a tutti, anche a costo della vita, la reale unica possibilità di salvezza che è in Cristo Signore: «Noi non possiamo tacere quello che abbiamo visto e ascoltato» (Atti 4,20).
Anche noi, di domenica in domenica, impariamo a «camminare nella nuova realtà dello Spirito», nella quale siamo stati stabiliti dai sacramenti pasquali. In tal modo «ci è dato di superare il rischio orrendo della morte eterna, ed è serbata ai credenti la lieta speranza della vita senza fine» (Prefazio) che ci è già donata nella partecipazione al Corpo e al Sangue del Signore, nel quale «abita corporalmente tutta la pienezza della divinità» ( Colossesi 2,9).
A. Fusi

giovedì 4 aprile 2013

800 - LASCIAMOCI ILLUMINARE DALLA RESURREZIONE DI CRISTO

Cari fratelli e sorelle,
buongiorno,
oggi riprendiamo le Catechesi dell’'Anno della fede.
Nel Credo ripetiamo questa espressione: «Il terzo giorno è risuscitato secondo le Scritture». E’ proprio l’evento che stiamo celebrando: la Risurrezione di Gesù, centro del messaggio cristiano, risuonato fin dagli inizi e trasmesso perché giunga fino a noi. San Paolo scrive ai cristiani di Corinto: «A voi… ho trasmesso, anzitutto, quello che anch’io ho ricevuto; cioè che Cristo morì per i nostri peccati, secondo le Scritture, e che fu sepolto e che è risorto il terzo giorno secondo le Scritture e che apparve a Cefa e quindi ai Dodici» (1Cor 15,3-5). Questa breve confessione di fede annuncia proprio il Mistero Pasquale, con le prime apparizioni del Risorto a Pietro e ai Dodici: la Morte e la Risurrezione di Gesù sono proprio il cuore della nostra speranza. Senza questa fede nella morte e nella risurrezione di Gesù la nostra speranza sarà debole, ma non sarà neppure speranza, e proprio la morte e la risurrezione di Gesù sono il cuore della nostra speranza. L’Apostolo afferma: «Se Cristo non è risorto, vana è la vostra fede e voi siete ancora nei vostri peccati» (v. 17). Purtroppo, spesso si è cercato di oscurare la fede nella Risurrezione di Gesù, e anche fra gli stessi credenti si sono insinuati dubbi. Un po’ quella fede “all’acqua di rose”, come diciamo noi; non è la fede forte. E questo per superficialità, a volte per indifferenza, occupati da mille cose che si ritengono più importanti della fede, oppure per una visione solo orizzontale della vita. Ma è proprio la Risurrezione che ci apre alla speranza più grande, perché apre la nostra vita e la vita del mondo al futuro eterno di Dio, alla felicità piena, alla certezza che il male, il peccato, la morte possono essere vinti. E questo porta a vivere con più fiducia le realtà quotidiane, affrontarle con coraggio e con impegno. La Risurrezione di Cristo illumina con una luce nuova queste realtà quotidiane. La Risurrezione di Cristo è la nostra forza!
Ma come ci è stata trasmessa la verità di fede della Risurrezione di Cristo?
Ci sono due tipi di testimonianze nel Nuovo Testamento: alcune sono nella forma di professione di fede, cioè di formule sintetiche che indicano il centro della fede; altre invece sono nella forma di racconto dell’evento della Risurrezione e dei fatti legati ad esso. La prima: la forma della professione di fede, ad esempio, è quella che abbiamo appena ascoltato, oppure quella della Lettera ai Romani in cui san Paolo scrive: «Se con la tua bocca proclamerai: “Gesù è il Signore!”, e con il tuo cuore crederai che Dio lo ha risuscitato dai morti, sarai salvo» (10,9). Fin dai primi passi della Chiesa è ben salda e chiara la fede nel Mistero di Morte e Risurrezione di Gesù. Oggi, però, vorrei soffermarmi sulla seconda, sulle testimonianze nella forma di racconto, che troviamo nei Vangeli. Anzitutto notiamo che le prime testimoni di questo evento furono le donne. All’alba, esse si recano al sepolcro per ungere il corpo di Gesù, e trovano il primo segno: la tomba vuota (cfr Mc 16,1). Segue poi l’incontro con un Messaggero di Dio che annuncia: Gesù di Nazaret, il Crocifisso, non è qui, è risorto (cfr vv. 5-6). Le donne sono spinte dall’amore e sanno accogliere questo annuncio con fede: credono, e subito lo trasmettono, non lo tengono per sé, lo trasmettono. La gioia di sapere che Gesù è vivo, la speranza che riempie il cuore, non si possono contenere. Questo dovrebbe avvenire anche nella nostra vita. Sentiamo la gioia di essere cristiani! Noi crediamo in un Risorto che ha vinto il male e la morte! Abbiamo il coraggio di “uscire” per portare questa gioia e questa luce in tutti i luoghi della nostra vita! La Risurrezione di Cristo è la nostra più grande certezza; è il tesoro più prezioso! Come non condividere con gli altri questo tesoro, questa certezza? Non è soltanto per noi, è per trasmetterla, per darla agli altri, condividerla con gli altri. E' proprio la nostra testimonianza.
Un altro elemento. Nelle professioni di fede del Nuovo Testamento, come testimoni della Risurrezione vengono ricordati solamente uomini, gli Apostoli, ma non le donne. Questo perché, secondo la Legge giudaica di quel tempo, le donne e i bambini non potevano rendere una testimonianza affidabile, credibile. Nei Vangeli, invece, le donne hanno un ruolo primario, fondamentale. Qui possiamo cogliere un elemento a favore della storicità della Risurrezione: se fosse un fatto inventato, nel contesto di quel tempo non sarebbe stato legato alla testimonianza delle donne. Gli evangelisti invece narrano semplicemente ciò che è avvenuto: sono le donne le prime testimoni. Questo dice che Dio non sceglie secondo i criteri umani: i primi testimoni della nascita di Gesù sono i pastori, gente semplice e umile; le prime testimoni della Risurrezione sono le donne. E questo è bello. E questo è un po’ la missione delle donne: delle mamme, delle donne! Dare testimonianza ai figli, ai nipotini, che Gesù è vivo, è il vivente, è risorto. Mamme e donne, avanti con questa testimonianza! Per Dio conta il cuore, quanto siamo aperti a Lui, se siamo come i bambini che si fidano. Ma questo ci fa riflettere anche su come le donne, nella Chiesa e nel cammino di fede, abbiano avuto e abbiano anche oggi un ruolo particolare nell’aprire le porte al Signore, nel seguirlo e nel comunicare il suo Volto, perché lo sguardo di fede ha sempre bisogno dello sguardo semplice e profondo dell’amore. Gli Apostoli e i discepoli fanno più fatica a credere. Le donne no. Pietro corre al sepolcro, ma si ferma alla tomba vuota; Tommaso deve toccare con le sue mani le ferite del corpo di Gesù. Anche nel nostro cammino di fede è importante sapere e sentire che Dio ci ama, non aver paura di amarlo: la fede si professa con la bocca e con il cuore, con la parola e con l’amore.
Dopo le apparizioni alle donne, ne seguono altre: Gesù si rende presente in modo nuovo: è il Crocifisso, ma il suo corpo è glorioso; non è tornato alla vita terrena, bensì in una condizione nuova. All’inizio non lo riconoscono, e solo attraverso le sue parole e i suoi gesti gli occhi si aprono: l’incontro con il Risorto trasforma, dà una nuova forza alla fede, un fondamento incrollabile. Anche per noi ci sono tanti segni in cui il Risorto si fa riconoscere: la Sacra Scrittura, l’Eucaristia, gli altri Sacramenti, la carità, quei gesti di amore che portano un raggio del Risorto.
Lasciamoci illuminare dalla Risurrezione di Cristo, lasciamoci trasformare dalla sua forza, perché anche attraverso di noi nel mondo i segni di morte lascino il posto ai segni di vita. Ho visto che ci sono tanti giovani nella piazza. Eccoli! A voi dico: portate avanti questa certezza: il Signore è vivo e cammina a fianco a noi nella vita. Questa è la vostra missione! Portate avanti questa speranza. Siate ancorati a questa speranza: questa àncora che è nel cielo; tenete forte la corda, siate ancorati e portate avanti la speranza. Voi, testimoni di Gesù, portate avanti la testimonianza che Gesù è vivo e questo ci darà speranza, darà speranza a questo mondo un po’ invecchiato per le guerre, per il male, per il peccato. Avanti giovani!
papa Francesco
Udienza generale, 3 aprile 2013

lunedì 1 aprile 2013

799 - OTTAVO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL BEATO GIOVANNI PAOLO II

Basilica di San Pietro - Tomba del beato Giovanni Paolo II
PREGHIERA PER IMPLORARE FAVORI ATTRAVERSO L’INTERCESSIONE DEL BEATO
GIOVANNI PAOLO II, PAPA

O Trinità Santa, ti ringraziamo per aver donato
alla Chiesa il Beato Giovanni Paolo II
e per aver fatto risplendere in lui la tenerezza
della tua paternità, la gloria della Croce
di Cristo e lo splendore dello Spirito
d’amore. Egli, confidando totalmente nella
tua infinita misericordia e nella materna intercessione
di Maria, ci ha dato un’immagine
viva di Gesù Buon Pastore e ci ha indicato
la santità come misura alta della vita
cristiana ordinaria quale strada per raggiungere
la comunione eterna con Te.
Concedici,
per sua intercessione, secondo la tua volontà,
la grazia che imploriamo, nella speranza
che egli sia presto annoverato nel numero
dei tuoi santi. Amen.

Con l’approvazione ecclesiastica
Agostino Card. Vallini
 

798 GIOVANNI PAOLO II E IL TERZO SEGRETO DI FATIMA

Fatima, Portogallo - Monumento a Giovanni Paolo II
Per la verità, a Fatima Giovanni Paolo II non aveva mai pensato nei giorni immediatamente successivi all'attentato. Solo più tardi, dopo essersi ripreso e aver riacquistato un po' le forze, aveva cominciato a riflettere su quella a dir poco singolare coincidenza. Sempre il 13 maggio! Un 13 maggio, nel 1917, il giorno della prima delle apparizioni della Vergine a Fatima, e un 13 maggio il giorno in cui avevano tentato di ucciderlo.
Alla fine, il Papa si decise. Domandò di poter vedere il terzo «segreto», che era conservato nell' Archivio della Congregazione per la Dottrina della Fede. E il18 luglio, se non vado errato, l'allora prefetto della Congregazione, il cardinale Franjo Seper, consegnò due buste - l'una con il testo originale di suor Lucia in portoghese, l'altra con la traduzione in italiano - a monsignor Eduardo Martinez Somalo, Sostituto della Segreteria di Stato, il quale le portò al Gemelli. Erano i giorni del secondo ricovero in ospedale. Fu lì che il Santo Padre lesse il «segreto», e, una volta letto, non ebbe più dubbi. In quella «visione» aveva riconosciuto il proprio destino; si convinse che la vita gli era stata salvata, anzi, gli era stata nuovamente donata grazie all'intervento della Madonna, alla sua protezione.
Sì, è vero, il «vescovo vestito di bianco» era stato ucciso, come riferito da suor Lucia; mentre Giovanni Paolo II era scampato a una morte quasi certa. E allora? Non poteva invece voler dire proprio questo? Che i percorsi della storia, dell' esistenza umana, non sono per forza prestabiliti? E dunque, che esiste una Provvidenza, una «mano materna», capace anche di far «sbagliare» chi ha puntato la sua pistola con la sicurezza di uccidere?
«Una mano ha sparato e un'altra ha guidato la pallottola» diceva il Santo Padre. E oggi quella pallottola, resa per sempre «innocua», è incastonata nella corona della statua della Madonna di Fatima.
Da “Una vita con Karol, di Stanislaw Dziwisz, pagg. 121-122

797 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - APRILE 2013

Generale - Perché la celebrazione pubblica e orante della fede sia sorgente di vita per i fedeli.

Missionaria - Perché le Chiese particolari dei territori siano segno e strumento di speranza e di risurrezione.

Dei vescovi - Perché i giovani sappiano riconoscere, tra mille voci che li sollecitano e li confondono, il fascino della chiamata del Signore a una vita piena.