Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 1 marzo 2013

782 - DOMENICA DI ABRAMO

La seconda parte del capitolo 8 del Vangelo di Giovanni, da cui è preso il brano evangelico odierno, è contrassegnata dal riferimento ad Abramo come padre di Israele. Qui viene riportato l’insegnamento di Gesù nel tempio di Gerusalemme e destinato sostanzialmente a rivelare la sua più piena identità di Figlio di Dio, partecipe cioè della natura divina del Padre. Insegnamento che suscita la reazione dei farisei ma anche un’iniziale adesione di fede da parte di molti che lo seguivano e lo ascoltavano. Il brano appare diviso in due sezioni: i vv. 31-45 riguardano la necessità di credere, mentre i vv. 46-59 insistono sulla necessità di credere alla persona di Gesù. In particolare i vv. 31-36 riportano le parole di Gesù «a quei Giudei che gli avevano creduto» almeno inizialmente e che ruotano attorno all’opposizione libertà/schiavitù del peccato. La libertà è garantita a coloro che “rimangono” nella Parola di Gesù. I vv. 37-40 introducono il tema di Abramo come padre del quale, però, quelli che con orgoglio si proclamano figli non compiono le opere, vale a dire non si pongono in quella disponibilità di fede propria di Abramo! Per questo essi non possono proclamarsi figli di Dio rifiutando di credere in colui che è uscito da Dio ed è stato da lui inviato, ma, con tale rifiuto, dimostrano di essere figli del diavolo (vv. 41-45). Nei vv. 46-50 si insiste sul fatto che Gesù “dice la verità”, in quanto, con la sua Parola, offre l’autentica e piena rivelazione di Dio al contrario dei suoi interlocutori che rifiutandola preferiscono seguire la menzogna.
Di qui la solenne proclamazione del v. 51: «In verità, in verità io vi dico: se uno osserva la mia parola, non vedrà la morte in eterno», che costituisce un estremo appello rivolto da Gesù ai suoi interlocutori perché si aprano all’ascolto e all’osservanza fedele della sua parola che garantisce di poter sfuggire alla morte da intendere come “eterna”, ovvero come dannazione. Modello di un simile ascolto obbediente è proprio Gesù che, essendo il Figlio, “conosce” Dio, accoglie e osserva la sua volontà (v. 55).
Il brano si chiude con la parola di autorivelazione che il Signore pronuncia a riguardo di sé stesso: «In verità, in verità io vi dico: prima che Abramo fosse, Io sono». Con ciò afferma che Dio, che è l’Unico, può essere trovato e riconosciuto nel Figlio e, di conseguenza, in lui è trovato e riconosciuto come Padre! A questa rivelazione anelava Abramo il quale, a motivo della sua fede, poté vedere e gioire del Figlio rivelatore di Dio Padre! Il v. 59 registra infine la reazione violenta dei Giudei che, chiudendosi ostilmente al Figlio rivelatore del Padre, determinano il suo “nascondersi” ai loro occhi e la sua uscita dal Tempio.
Nel graduale percorso quaresimale proposto a coloro che domandano il Battesimo e ai fedeli che, attraverso quel percorso, intendono riattivare la grazia propria di quel sacramento, il brano evangelico, costruito intorno alla figura di Abramo, il credente per eccellenza, intende evidenziare come la fede in Cristo, Figlio di Dio, sia da considerare l’opera essenziale per quanti nel Battesimo diventeranno “figli” ed entreranno a far parte di quella «moltitudine di popoli, preannunziati al patriarca Abramo come sua discendenza» (Prefazio I). Stando al testo evangelico, credere in Cristo significa credere che egli è il portatore della verità, ossia della rivelazione piena e definitiva di Dio che, se accolta, è in grado di liberare quanti sono schiavi del peccato (cfr. Vangelo: Giovanni 8,32). Si tratta di una schiavitù che paralizza il cuore umano e lo rende incapace di credere e, dunque, di giungere a essere libero e pronto per le cose grandi che Dio ha in serbo per lui. Credere in Cristo significa, inoltre, credere che in lui si adempie l’antica promessa di Dio a Israele: «Io susciterò loro un profeta in mezzo ai loro fratelli e gli porrò in bocca le mie parole ed egli dirà loro quanto io gli comanderò» (Lettura: Deuteronomio 18.18). Gesù, però, non è semplicemente il profeta pari a Mosè (cfr. v.15), bensì il Messia, il Figlio stesso di Dio, la sua Parola vivente, dopo del quale l’umanità non dovrà aspettare un altro rivelatore. A lui, perciò, tutti sono invitati a prestare ascolto perché portatore, nella sua persona, della Parola che Dio vuole comunicare al mondo e sulla cui bocca è posta la «verità intera», ossia la rivelazione del disegno di salvezza che Dio intende attuare proprio attraverso di lui. Di tale disegno parla l’Apostolo come di una manifestazione della “giustizia” di Dio, che ha deciso di rendere “giusti” quanti, Giudei e Greci, sono ugualmente peccatori e, quindi, «privi della sua gloria», vale a dire della sua presenza vivificante (cfr. Epistola: Romani 3,21-23). L’Apostolo si riferisce qui alla condizione di lontananza e di estraneità a Dio in cui si trova l’umanità a causa del peccato. Una condizione che rende impossibile sia ai Giudei, fieri possessori della Legge, sia ai Greci, altrettanto fieri della loro sapienza filosofica, di farsi trovare da sé stessi giusti agli occhi di Dio, in una parola di sfuggire alla rovina eterna e di accedere alla salvezza. La «verità udita da Dio» (Giovanni 8,40), portata nel mondo dal suo Figlio al quale occorre prestare l’assenso della fede, ci dice che egli è in grado di liberare quanti credono dalla schiavitù del peccato (cfr. v. 36) e di restituirli a un rapporto vitale con Dio. Liberazione che l’Apostolo descrive come redenzione, riscatto dal potere del peccato, espiazione, ovvero purificazione e remissione dei peccati mediante il suo sangue quello, ovviamente, della sua Croce. In essa si è «manifestata la giustizia di Dio» che, nel suo Figlio, l’unico giusto, ha deciso di rendere giusti tutti coloro che aderisco con fede a lui (cfr. Romani 3,24-26). 
Accogliamo, perciò, senza indugio l’esortazione evangelica: «Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli» (Giovanni 8,31), “dimorando” costantemente con tutta la nostra mente e il nostro cuore in Cristo rivelatore ultimo e attuatore dei grandi disegni salvifici di Dio. Impareremo, in tal modo, a compiere giorno dopo giorno l’«opera di Abramo» crescendo nella fede in Gesù, e amandolo come Figlio «uscito da Dio» e da lui mandato nel mondo per salvare il mondo. La fede, pertanto, è il dono a cui anelano quanti si preparano, nelle prossime feste pasquali, a essere rigenerati alla grazia di figli di Dio. La fede è il dono e la responsabilità di tutti noi già battezzati e che l’osservanza quaresimale vuole rendere più vivida e riconoscibile nella nostra vita improntata all’ascolto obbediente della Parola di Dio e “giustificata” davanti ai suoi occhi per mezzo del sangue del suo Figlio.
La celebrazione eucaristica è il luogo privilegiato per accrescere ed esprimere compiutamente la fede, per renderla sempre più ferma e operosa, ed è il luogo dove, a contatto con il Corpo e il Sangue del Signore, veniamo di continuo da peccatori resi giusti dal suo amore, che si manifesta come dono di sé, della sua stessa vita, significato nel sangue prezioso della sua Croce. 
A. Fusi