Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 26 gennaio 2013

769 - LA SACRA FAMIGLIA A TAVOLA

Sacra Famiglia a tavola - Scuola di Guido Reni
La visione strappa subito un sorriso. C’è qualcosa di inusuale in questo dipinto che induce alla sorpresa, coinvolgendo dentro un quotidiano che, più del solito, ci appartiene e sentiamo nostro.

Sono tante e conosciute le immagini della Sacra Famiglia che scorrono nella nostra memoria: dipinti straordinari per qualità estetica e pregnanza di significato, opere di grandi artisti che ci tramandano di volta in volta l’incanto della natività di Gesù (Giotto), la solennità dell’incontro con i Magi (Gentile da Fabriano), la semplicità della sua presentazione al Tempio (Bellini), la tristezza della fuga in Egitto (Beato Angelico), la fatica ed il riposo nel lungo viaggio (Caravaggio), l’intimità di una vita familiare con Maria e Giuseppe al lavoro (Rembrandt), lo stupore nel ritrovarlo, dodicenne, nel Tempio in mezzo ai dottori della legge (Durer). È invece immagine rara, forse unica, sicuramente originale, il sorprendere la Sacra Famiglia seduta a tavola in una circostanza che i molti particolari dipinti concorrono ad interpretare come un sereno ed intimo momento di festa familiare per e attorno a Gesù.
Verso la metà del 1600, l’abile mano di un autore, ancora incerto, cresciuto artisticamente alla scuola di Guido Reni riesce a dare vita ad un elegante impianto narrativo che la vena domestica del racconto arricchisce di profonde suggestioni e delicate emozioni: una calda luce, sapientemente dosata, esalta colori vivaci ed unifica, con armonico effetto, forme classiche e posture di sapore tardo manieristico.
È dunque una festa: la raffinata e trasparente tovaglia copre la tavola sulla quale sono appoggiati in maniera semplice, ma ordinata, i diversi piatti e dove, ben in evidenza, sono disposte anche forme di pane assieme all’anfora del vino rosso in primo piano. Su un alto sgabello, al centro, sta seduto il piccolo Gesù la cui veste è preservata, come si fa con i bambini, da un bianco tovagliolo legato alle spalle. Non meraviglia certo questo suo “essere centro” dello spazio e delle cose, reso ancor più evidente dagli sguardi e dai gesti di Maria e di Giuseppe che si rivolgono e si fissano su di lui. La festa è per lui, ma è più opportuno riflettere che la festa “è lui” e “fare festa” significa stare con lui, godere della sua presenza, in perfetta sintonia e comunione, seduti alla stessa tavola che lui già “presiede” e alla quale lui dà senso vero e compimento definitivo con l’autorevolezza della sua parola, come sembra alludere l’essere seduto in alto e la verità del suo agire per amore, come richiama il rosso della veste.
Tuttavia quello che sorprende è il gesto che Gesù sta compiendo: aiutato da Giuseppe, forse per la prima volta, assapora con naturale imbarazzo e infantile titubanza, il gusto del vino. Maria lo guarda quasi accompagnando con la tenerezza dello sguardo e la palpitazione del cuore questa semplice, ma significativa, esperienza del figlio. La sua mano destra si sposta delicatamente e lentamente sulla tavola verso di lui, subito pronta a venirgli in aiuto con premura e saggezza di mamma.
Stupisce anche l’agire di Giuseppe: sempre relegato un po’ ai margini nella tradizionale iconografia già ricordata, l’uomo che nei Vangeli non proferisce mai parola, colui che ogni volta si fa custode e garante della volontà di ben altro “Padre”, qui compie, quasi d’istinto, un gesto importante di portata profetica: riempito il bicchiere di vino lo porge deciso a Gesù sostenendone la base perché non ne vada persa alcuna goccia, mentre il bambino l’afferra portandolo a sé.
È bella la figura di Giuseppe a cui il taglio particolare della luce conferisce una plasticità e un dinamismo del tutto naturale nel protendersi deciso verso il Figlio: egli è l’uomo che “agisce” in silenzio, con prontezza e fedeltà dentro il dipanarsi del Mistero di Cristo.
Maria, invece, totalmente abitata dalla luce, appare ferma nella sua giovanile eleganza di donna: in lei a prevalere è il pensiero che nello sguardo si rivela allo stesso tempo compiaciuto, dolce, ma anche attraversato da intuizioni di sofferenza e dolore.
È proprio attraverso lo sguardo di Maria che la scena abbandona la sua naturale quotidianità per diventare profetica. Il vino che il piccolo Gesù sta bevendo per la prima volta anticipa il dono che Egli farà di se stesso nel segno del pane e del vino alla tavola dell’Ultima cena, quando si preparerà a morire per noi. Maria, infatti, mentre segue con gli occhi questo agire del Figlio, afferra nella mano sinistra un pezzo di pane. Il bicchiere allude poi al calice amaro che nella notte del Getzemani lo stesso Padre Celeste porgerà al Figlio, perché bevendolo in obbedienza e libertà, porti a compimento il suo disegno di salvezza. Il medesimo vino è, infine, l’immagine del sangue che egli verserà sulla croce come vero Agnello dell’unico e definivo sacrificio che all’uomo riconquista la vita, come, con altrettanta chiarezza, manifesta il gesto di Giuseppe che, mentre accompagna il bere di Gesù, con la mano destra indica e tocca un coltello.
E la festa si compie, diventa per tutti. L’elegante finestra a sinistra conferisce allo spazio una dimensione più ampia di quella di una semplice casa: sembra già uno spazio liturgico dentro il quale si anticipa l’eco del «fate questo in memoria di me». La presenza degli angeli, poi, l’uno adorante e l’altro, in primo piano, che ci guarda mentre si accinge a servire, ci introduce al tempo eterno del banchetto del Regno, alla festa definitiva che non ha termine quando, invitati da Cristo alla sua stessa tavola, lo vedremo alzarsi, cingersi il grembiule e passare a servirci.
Mons. Domenico Sguaitamatti

768 - SIGNORE CUSTODISCI LE FAMIGLIE

Padre del Signore Gesù Cristo, e Padre nostro
noi ti adoriamo, Fonte di ogni comunione
custodisci le nostre famiglie nella tua benedizione
perché siano luoghi di comunione tra gli sposi
e di vita piena reciprocamente donata
tra genitori e figli.
Noi ti contempliamo
Artefice di ogni perfezione e di ogni bellezza
concedi ad ogni famiglia un lavoro giusto e dignitoso
perché possiamo avere il necessario nutrimento
e gustare il privilegio di essere tuoi collaboratori
nell’edificare il mondo.
Noi ti glorifichiamo, Motivo della gioia e della festa
apri anche alle nostre famiglie
le vie della letizia e del riposo
per gustare fin d’ora quella gioia perfetta
che ci hai donato nel Cristo risorto.
Così i nostri giorni laboriosi e fraterni
saranno spiraglio aperto sul tuo mistero
di amore e di luce
che il Cristo tuo Figlio ci ha rivelato
e lo Spirito Vivificante ci ha anticipato.
E vivremo lieti di essere la tua famiglia
in cammino verso di Te Dio Benedetto nei secoli.
Amen
(Dionigi card. Tettamanzi)


Padre de nuestro Señor Jesucristo, y Padre nuestro,
te adoramos, Fuente de toda comunión; 
protege a nuestras familias con tu bendición
para que sean lugar de comunión entre los esposos
y de vida plena donada recíprocamente entre padres e hijos.
Te contemplamos Artífice de toda perfección y de toda belleza;
concede a toda familia un trabajo justo y digno,
para que podamos tener el sustento necesario
y disfrutar el privilegio de ser tus colaboradores
en la edificación del mundo.
Te glorificamos, Motivo de la alegría y de la fiesta;
abre también a nuestras familias los caminos de la dicha y el descanso
para gustar desde ahora aquél gozo perfecto
que nos has donado en Cristo resucitado.
Así nuestros días laboriosos y fraternos,
serán una ventana abierta hacia tu misterio de amor y de luz
que Cristo tu Hijo nos ha revelado 
y el Espíritu Vivificante nos ha anticipado.
Y viviremos alegres de ser tu familia,
en camino hacia Ti, Dios Bendito por los siglos. Amén
(Card. Dionigi Tettamanzi) 

Père du Seigneur Jésus Christ et notre Père,
Nous t’adorons, Source de toute communion ;
Protège nos familles de ta bénédiction
Afin qu’elles soient des lieux de communion entre les époux
Et de vie intense que parents et enfants s’offrent mutuellement
Nous te contemplons, Artisan de toute perfection et de toute beauté ;
Accorde à chacune de nos familles un travail juste et digne
Afin que nous puissions avoir la nourriture nécessaire
Et savourer au privilège d’être tes ouvriers
Dans l’édification du monde.
Nous te glorifions, toi qui es Cause de notre joie et de la fête ;
Conduis aussi nos familles sur la voie de l’allégresse et du repos
Afin qu’elles puissent déjà goûter en ce monde à cette joie parfaite
Que tu nous as donnée en Jésus Christ.
Ainsi nos journées de travail et de vie fraternelle
Seront une lueur sur le mystère d’amour et de lumière
Que le Christ ton Fils nous a révélé 
Et dont l’Esprit qui donne la Vie nous a donné les arrhes
Et nous vivrons heureux d’être ta famille,
En chemin vers Toi, Dieu Béni dans tous les siècles.
Amen
(Card. Dionigi Tettamanzi)
 
 

767 - SANTA FAMIGLIA DI GESU'

Viene letto nel Vangelo di Matteo 2,19-23 l’ultimo episodio dell’itinerario di Giuseppe profugo in Egitto con il «bambino e sua madre» (cfr. Matteo 2,13-15) per sfuggire alla persecuzione di Erode. Il racconto è diviso in due brevi parti. La prima: vv. 19-21, parla del ritorno di Giuseppe, «il bambino e sua madre» in Israele, con allusione all’esodo di Israele dall’Egitto e al ritorno del popolo dall’esilio babilonese. La seconda: vv. 22-23, precisa il luogo nel quale Giuseppe fissa la sua residenza: Nazaret in Galilea, motivo per cui Gesù sarà chiamato “nazareno”.
L’ascolto delle Scritture e i testi oranti del Messale ci invitano a tenere ancorata la festa odierna all’interno del dispiegarsi, nel corso dell’anno liturgico, del mistero della nostra salvezza in Cristo. In particolare, questa festa, che il calendario liturgico ambrosiano fa cadere nel tempo “dopo l’Epifania”, manifesta e celebra, nell’appartenenza del Figlio di Dio a una famiglia, la reale portata della sua incarnazione, come giustamente rileva la preghiera liturgica quando afferma che egli «venendo ad assumere la nostra condizione di uomini volle far parte di una famiglia» (Prefazio). La condizione umana, infatti, passa normalmente proprio dall’appartenenza a una famiglia secondo il volere stesso di Dio rivelato nelle Scritture.
Tale appartenenza, vissuta dal Figlio fatto uomo in obbedienza a quanto è disposto dalla sapienza divina, manifesta la sua piena disponibilità a spogliarsi della sua gloria divina e ad assumere la realtà umana per attuare il disegno del Padre riguardante la salvezza del mondo.
Una disponibilità messa in luce nel brano evangelico, che sottolinea la dipendenza assoluta del bambino, che viene preso e portato in Egitto (Vangelo: Matteo 2,14) e poi portato «nella terra d’Israele», a Nazaret (v. 23).
Forse è lecito vedere in ciò un annuncio della disponibilità del Signore a lasciarsi “prendere” ed essere condotto alla Passione e alla Croce, momento dell’umiliazione più profonda del Figlio di Dio, attuativa, però, dell’universale salvezza.
Salvezza, dunque, annunziata e già attuata nella sua sottomissione al volere del Padre, che passa anche dalla sua sottomissione a Giuseppe e a Maria secondo il comando di Dio citato nel brano dell’Epistola (cfr. Esodo 20,12) e dall’accettazione di eventi che sembrano tenerlo in pugno, come l’avversione mortale del re Erode. E proprio sul precetto divino l’Apostolo poggia le norme che regolano la vita domestica (Epistola: Efesini 6, 1-3).
Con l’obbedienza di Gesù, i testi oggi proclamati esaltano quella di Giuseppe, il quale esegue fedelmente le istruzioni dell’Angelo del Signore (Matteo 2,13) meritandosi, perciò, le “benedizioni” date da Dio a Giacobbe (Lettura: Siracide 44,23) e realizzando alla lettera ciò che il medesimo testo biblico afferma a proposito di Mosè (45,1a-5).
Davvero Giuseppe, lo sposo di Maria e custode del Figlio dell’Altissimo, è l’«uomo mite che incontrò favore agli occhi di tutti, amato da Dio e dagli uomini» (v. 44,23-45,1a), capace di insegnare al bambino Gesù «l’alleanza e i decreti a Israele» (v. 45,5), facendolo crescere nella disciplina e negli insegnamenti del Signore (Efesini, 6,4). La preghiera liturgica può, quindi, affermare che nella Famiglia di Nazaret Dio ha «collocato le arcane primizie della redenzione del mondo» (Prefazio)
La Santa Famiglia, perciò, offre alle nostre famiglie la possibilità di riconoscere che non hanno in sé stesse il fondamento, ma nel superiore disegno di Dio al quale sono chiamate a “obbedire” così come ha fatto il suo stesso Figlio e, con lui, la Vergine Madre e san Giuseppe.
Nell’obbedienza, dunque, sta fondata la famiglia e il riferimento costante di tutti i suoi membri, genitori e figli, ai divini precetti è per essa garanzia per godere di un’esistenza “felice” perché immersa nella benedizione divina. Alle nostre famiglie va perciò sempre raccomandato di cercare nella volontà di Dio e nei suoi disegni il fondamento sul quale essa sta poggiata e al quale deve fare costante riferimento. Il compimento della volontà di Dio, pur tra inevitabili prove e difficoltà, è possibile anche oggi, a patto che le nostre famiglie rimangano ancorate all’Altare. L’amore del Signore Gesù che su di esso risplende nel pane e nel vino dell’Eucaristia, donando la grazia «di seguire sempre la legge dell’amore evangelico» (Orazione Dopo la Comunione), imprime in quanti ad essa si consegnano, un’energia capace di superare ogni avversità e di far sperimentare, in tutta verità, «i dolci affetti della famiglia» (Orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica).
A. Fusi
 

venerdì 18 gennaio 2013

766 - GESU' ALLE NOZZE DI CANA

Il brano evangelico di Giovanni 2,1-11 si premura di collocare il racconto nel «terzo giorno» che succede ai primi due caratterizzati dalla chiamata dei primi discepoli (vv. 35-51) e di ambientarlo in una «festa di nozze» nella città di Cana in Galilea, senza trascurare di nominare tra gli invitati la madre di Gesù, Gesù stesso e i suoi discepoli (vv. 1-2). I vv. 3-5 sottolineano il protagonismo della madre di Gesù che sollecita da lui un intervento a motivo dell’improvvisa mancanza di vino. L’apparente risposta negativa di Gesù che si rivolge alla madre con l’appellativo “donna”, da lui ripreso nel momento della sua morte (cfr. Giovanni 19,26), è motivata dal fatto che «non è ancora giunta la mia ora» (v. 4). L’“ora” di Gesù è quella della sua “glorificazione” sulla Croce con il conseguente ritorno al Padre. Di fatto Gesù interviene ordinando di riempire di acqua le anfore, di cui viene precisato il numero, sei, e la capienza, «da ottanta a centoventi litri l’una» (v. 6). Segue la constatazione da parte del direttore del banchetto della bontà del vino fatta notare allo sposo (vv. 9-10). L’evangelista non trascura di sottolineare che colui che dirigeva il banchetto «non sapeva da dove venisse» quel vino: un non sapere, una non conoscenza che dice la necessità di aprire il cuore alla fede in Gesù, il rivelatore unico di Dio. Il v. 11 precisa che questo «fu l’inizio dei segni compiuti da Gesù», appunto per rivelare la sua identità e per sollecitare a credere in lui come hanno prontamente fatto i suoi discepoli.
Questa seconda domenica pone in primo piano il terzo degli eventi che la tradizione liturgica, anche ambrosiana, propone insieme a quello dell’accorrere dei Magi a Betlemme e del Battesimo al Giordano come epifania del mistero del Figlio di Dio nel mondo.
Si tratta dell’acqua mutata in vino alle nozze di Cana, che l’evangelista descrive come «l’inizio dei segni» (Vangelo: Giovanni 2,11) compiuti da Gesù e con i quali manifestò la sua gloria, ovvero la sua provenienza dall’“alto”, da Dio, e questo al fine di suscitare la fede in lui come, di fatto, avviene per i primi discepoli chiamati a seguirlo (v. 11).
Ed è altamente espressivo il fatto che Gesù dia inizio alla sua attività di “rivelatore del Padre” nel contesto della festa per eccellenza, quella di nozze, nella quale è lecito vedere l’annuncio che in lui si stabilirà quella nuova e definitiva alleanza tra Dio e il suo popolo preannunziata dai profeti, ossia quella comunione d’amore che, in realtà, dovrà essere estesa fino ad abbracciare quegli uomini che, sino alla fine dei tempi, crederanno in lui.
Con altre parole l’epistola paolina afferma la stessa cosa lodando e magnificando l’inesprimibile grandezza dei disegni di Dio che, mandando il suo Figlio, ha «benedetto con ogni benedizione» l’intera umanità (Epistola: Efesini 1,3). La benedizione di Dio in Cristo, mentre esprime concretamente la benevolenza divina per il mondo, consiste non solo nella «redenzione e nel perdono delle colpe» (v. 7), ma nel chiamare gli uomini alla grazia della vita di figli e nel «ricondurre al Cristo, unico capo, tutte le cose, quelle nei cieli e quelle sulla terra» (v.10).
In Gesù, pertanto, Dio ci ha «fatto conoscere il mistero della sua volontà», per noi di per sé inaccessibile, quella cioè di riversare la «ricchezza della sua grazia» e della sua «benevolenza» (cfr. Efesini 1,7-8) sull’intera umanità.
Cosa questa ben recepita dalla preghiera liturgica del Prefazio che ci fa rivolgere così a Dio, il Padre: «Tu per alleviarci le fatiche della vita ci hai confortato con l’esuberanza dei tuoi doni e per richiamarci alla felicità primitiva ci hai mandato dal cielo Gesù Cristo tuo Figlio e Signore nostro». Non ci resta, pertanto, che guardare al Signore Gesù che è il segno insuperabile della volontà salvifica di Dio e che nell’acqua mutata in vino alle nozze di Cana ci invita ad accostarci con fede alla pienezza della rivelazione dell’amore di Dio per noi, che avrà il suo momento più alto nell’“ora” della sua Croce! (cfr. Giovanni 2,4)
“Ora” che ci vede radunati, nel giorno di domenica, nel banchetto di nozze dell’Agnello il quale, nel vino eucaristico, ci offre la sua stessa vita divina alla quale ci lega con vincolo di amore indissolubile.
Per questo Maria, la madre di Gesù, con la sua fede esemplare per tutti coloro che in ogni tempo crederanno in lui, lo ha spinto ad anticipare l’“ora” della gioia pasquale portatrice di salvezza. Ella, con intuito di fede, sa che il suo Figlio è venuto nel mondo per mutare la sorte del mondo stesso, per convocarlo al banchetto eterno della salvezza e, nel domandare il suo intervento a favore dei due giovani sposi nel giorno delle loro nozze (cfr. v. 3), diviene l’immagine e il modello della Chiesa chiamata a intercedere sul mondo la «ricchezza della grazia» (cfr. Efesini 1,7). In Maria e, quindi, nella Chiesa, trova compimento ciò che era prefigurato nella regina Ester che non esita a mettere a repentaglio la sua stessa vita per salvare il suo popolo votato allo sterminio (cfr. Lettura: Ester 5,1-2). In realtà, non un popolo soltanto, ma l’intera umanità corre in ogni tempo il pericolo mortale di essere annientata dall’insidia di un potente “nemico”. La Chiesa, modellandosi a immagine della Madre di Gesù, intercede perché il Signore attualizzi la sua “ora” nella quale il dono della sua vita, significato nella coppa eucaristica del suo Sangue, abbatte l’opera devastatrice del male, comunica la gioia indicibile della comunione perenne con il Padre e la “caparra” dell’eredità che attende quanti, avendo creduto nel suo Unico Figlio, diventano, in lui, “figli”.
A. Fusi

sabato 12 gennaio 2013

765 - IL BATTESIMO DEL SIGNORE

Il Battesimo di Gesù - Gubbio 
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La prima domenica dopo il sei gennaio è dedicata alla celebrazione del Battesimo del Signore come “epifania” o manifestazione delle Tre Divine Persone e di Gesù quale Figlio Unico di Dio e salvatore del mondo. 
Con questa festa si conclude il tempo liturgico di Natale e prende quindi avvio quello “Dopo l’Epifania”. 

Nella prima parte del brano di Luca 3,15-16.21-22, nei vv. 15-16, si parla dell’attesa del popolo riguardante il compimento della promessa di Dio relativa all’invio del Messia identificabile, in un primo momento, nel Battista (v. 15). La sua risposta instaura un parallelo tra sé stesso e colui che deve venire, identificato come il «più forte», infinitamente superiore a Giovanni perché battezza non con acqua, ma «in Spirito Santo e fuoco» (v. 16). La seconda parte (vv. 21-22) descrive ciò che avviene dopo il battesimo di Gesù, che l’Evangelista coglie in preghiera. Qui si parla del cielo che si apre, sembra per far discendere su Gesù lo Spirito Santo (cfr. Isaia 63,7.19-64,11), la cui presenza è visibile e tangibile attraverso la colomba (cfr. Cantico dei Cantici 2,14; 5,2; 6,9). Infine, si ode una voce provenire dal cielo, vale a dire Dio stesso, che proclama Gesù come «il Figlio mio» (cfr. Isaia 42,1; Salmo 2,7); «l’amato» (cfr. Genesi 22,2.12.16) nel quale risiede la benevolenza divina. 
La festa odierna, in sintonia con le antiche tradizioni liturgiche, è da considerare come la principale degli eventi epifanici citati nel canto Alla Comunione della solennità del sei gennaio: «Oggi la Chiesa si unisce al celeste suo sposo che laverà i suoi peccati nell’acqua del Giordano. Coi loro doni accorrono i Magi alle nozze del Figlio del Re, e il convito si allieta di vino mirabile. Nei nostri cuori risuona la voce del Padre che rivela a Giovanni il Salvatore: “Questi è il Figlio che amo: ascoltate la sua parola”». 
Il battesimo di Gesù, a ben guardare, è effettivamente l’evento “epifanico” per eccellenza, in quanto risultano in esso coinvolte le Tre Divine Persone, delle quali la preghiera liturgica ambrosiana ama mettere in luce il rispettivo ruolo a partire da Dio che in esso ha «manifestato il Salvatore degli uomini» e si è rivelato «padre della luce» (Prefazio I). 
Il Padre dunque è il protagonista di ciò che avviene sulle rive del Giordano, accompagnando «con segni mirabili il lavacro del Salvatore al Giordano, principio del nostro battesimo» (Prefazio II). È lui, infatti, ad aprire il cielo mentre Gesù si immergeva nelle acque, che vengono così consacrate portando egli in sé la pienezza dello Spirito Santo disceso «sopra di lui… in forma corporea di colomba» (Vangelo: Luca 3,22). 
Ed è ancora il Padre a far udire la sua voce, che rivela Gesù quale Figlio: «Il Figlio mio, l’amato: in te ho posto il mio compiacimento» (v. 22). Ed è proprio la solenne proclamazione e indicazione di Gesù come “il Figlio”, quello “Unico”, quello “amato”, il vertice della rivelazione trinitaria al Giordano. 
In lui si adempie la parola profetica relativa al popolo d’Israele, costituito da Dio «testimone fra i popoli, principe e sovrano sulle nazioni» (Lettura: Isaia 55,4). Gesù, dunque, è il testimone, ossia il rivelatore ultimo e definitivo di Dio e punto di convergenza attorno al quale nei disegni divini i popoli e le nazioni tutte della terra sono destinate a radunarsi. 
Si tratta di un mirabile progetto ideato nel cuore della Trinità e ora visibile e riscontrabile nettamente nel Figlio Unico, mandato nel mondo a portare il “compiacimento”, ovvero la benevolenza di Dio del quale egli è detentore e dispensatore (cfr. Luca 3,22). 
In lui l’umanità intera, che ancora oggi si presenta divisa e lacerata, è destinata a diventare «una cosa sola» (Epistola: Efesini 2,14) in quanto «egli è venuto ad annunciare pace a voi che eravate lontani, e pace a coloro che erano vicini» (v. 17). 
I vicini sono, per l’Apostolo, gli appartenenti al popolo d’Israele, mentre i lontani sono i popoli pagani. Due “popoli” ostili, irriducibilmente nemici, che «per mezzo della sua carne» (v. 14), l’umanità cioè del Figlio di Dio, diventano, appunto «una cosa sola», diventano amici. 
Viene così aperta una prospettiva di ricomposizione dell’umanità in «un solo uomo nuovo» che è, appunto, il Signore Gesù, anzi: «in un solo corpo» (v. 16), che è quello formato da lui e dall’intera umanità che ascolta la sua parola. Di tutto ciò i credenti cominciano a fare reale esperienza nella partecipazione ai sacramenti pasquali del Battesimo e dell’Eucaristia. 
L’acqua del Battesimo, da Dio benedetta mediante la santificazione dello Spirito, cancella l’antica condanna, «offre ai credenti la remissione di ogni peccato e genera figli di Dio, destinati alla vita eterna», sicché quanti «erano nati secondo la carne, camminavano per la colpa verso la morte; ora la vita divina li accoglie e li conduce alla gloria dei cieli» (Prefazio). Gloria che consiste esattamente nella rigenerazione a figli di Dio! 
Partecipando, quindi, alla mensa eucaristica del Corpo e del Sangue del Signore, «sacrificio perfetto che ha purificato il mondo da ogni colpa» (Orazione Sui Doni), osiamo domandare al Padre del cielo di renderci «fedeli discepoli del tuo Figlio unigenito perché possiamo dirci con verità ed essere realmente tuoi figli» (Orazione Dopo la Comunione). 
Saremo allora credibili e convincenti nel proclamare con fede gioiosa il contenuto salvifico dell’Epifania al Giordano: «Tutto il mondo è santificato nel battesimo di Cristo e sono rimessi i nostri peccati» e nell’invitare gli uomini del nostro tempo: «Purifichiamoci tutti nell’acqua e nello Spirito» (Canto Alla Comunione) per rinascere come figli e membra di un unico Corpo abitato dall’unico Spirito, quello del Figlio di Dio. 
Alberto Fusi

sabato 5 gennaio 2013

764 - LA STELLA CHE GUIDA MOLTI MAGI

Mt 2,1-12
"Nato Gesù a Betlemme di Giudea, al tempo del re Erode, ecco, alcuni Magi vennero da oriente a Gerusalemme e dicevano: "Dov'è colui che è nato, il re dei Giudei? Abbiamo visto spuntare la sua stella e siamo venuti ad adorarlo". All'udire questo, il re Erode restò turbato e con lui tutta Gerusalemme (...).
Allora Erode, chiamati segretamente i Magi, si fece dire da loro con esattezza il tempo in cui era apparsa la stella e li inviò a Betlemme dicendo: "Andate e informatevi accuratamente sul bambino e, quando l'avrete trovato, fatemelo sapere, perché anch'io venga ad adorarlo". Udito il re, essi partirono.
Ed ecco, la stella che avevano visto spuntare, li precedeva, finché giunse e si fermò sopra il luogo dove si trovava il bambino. Al vedere la stella, provarono una gioia grandissima. Entrati nella casa, videro il bambino con Maria, sua madre, si prostrarono e lo adorarono. Poi aprirono i loro scrigni e
gli offrirono in dono oro, incenso e mirra. Avvertiti in sogno di non tornare da Erode, per un' altra strada fecero ritorno al loro paese".
"Alzati, rivestiti,..viene la tua luce, la gloria del Signore brilla sopra di te... su di te. (...)..su di te." (Is 60,1s): la Parola di Dio interpella oggi ognuno di noi come se fosse l'unico a dover essere illuminato. Il profeta Isaia sembra fissarci uno per uno: "...su di te... su di te", e Paolo fa intendere che i pagani di un tempo sono diventati i cristiani di oggi, i battezzati, che non si alzano più nemmeno per andare a Messa il giorno di Natale.
Sono dunque anzitutto io che mi devo svegliare dal sonno, mi devo rivestire, mi devo preparare; perché il Signore viene proprio da me, la sua luce è un faro puntato su di me. Egli viene per me! E' allora insufficiente che io mi accontenti di trovare risposte a queste domande: "Che genere di uomini erano quelli che Matteo qualifica come Magi venuti dall'Oriente? Perché si sono mossi da così lontano?". E' meglio piuttosto che mi chieda: perché sono ancora addormentato e non mi decido ad alzarmi? Non vedo forse tutta la luce che mi avvolge? Non mi interessa? Preferisco ancora la luce del teleschermo?".
Ecco, se ho bisogno di conferme che faccio anch'io parte dei Magi, ne trovo subito una assai autorevole: "Questi uomini sono dei predecessori, dei precursori, dei ricercatori della verità, che riguardano tutti i tempi.(...) Rappresentano l'attesa interiore dello spirito umano, il movimento delle religioni e della ragione umana incontro a Cristo". (Benedetto XVI, L'infanzia di Gesù).
Allora, il fatto che il mondo intero vada dietro a maghi e astrologi, e che oggi chiunque accenda una stella più luccicante delle altre subito trova mille compagni di illusione che gli vanno dietro, non mi deve distrarre dalla cosa che viene per prima: che io non sia uno di loro!
Sì, perché quella dei Magi di Matteo non e' una favola. L'epifania del Signore è la più grande e la più vera storia mai accaduta e raccontata. Ed è anche la storia più "sociale" e più "comune" di tutte, dato che il protagonista è Uno di noi, Uno nato come noi, Uno che e' morto come noi, Uno che ha a che fare con ognuno di noi.
Perciò qui importa solo questo: che sia io il primo ad alzarmi, senza fermarmi prima a vedere chi è sveglio e chi non lo è. Importa che sia io a rivestirmi, non di vestiti alla moda, ma della luce che promana dal Bambino più famoso e più dimenticato del mondo; vale a dire che mi metta in ginocchio ad adorarlo, così come sto, ancora in pigiama.
E lo posso fare veramente in questo stato, perché il Bambino adorato dai Magi è il Dio che ha creato la mia anima facendola della sua stessa Luce, sicché basta che mi guardi dentro, con umiltà e stupore, e la luce mi investirà come al sorgere dell'aurora. Anzi, molto di più: Cristo infatti sta come un sole sopra la mia anima di battezzato, e, se mi deciderò a spalancargli le porte, la sua Luce mi inonderà.
Ma cosa significa spalancare le porte a Cristo? Risponde uno che le teneva chiuse da molto tempo prima di aver visto spuntare la sua stella: "Sempre e in ogni istante abbiate presente che bisogna amare Dio e il prossimo: Dio con tutto il cuore, con tutta l'anima, con tutta la mente; e il prossimo come se stessi. Questo dovete sempre pensare, meditare e ricordare, praticare e attuare.
L'amore di Dio è il primo come comandamento, ma l'amore del prossimo è il primo come attuazione pratica. Siccome però Dio tu non lo vedi ancora, amando il prossimo ti acquisti il merito di vederlo; amando il prossimo purifichi l'occhio per poter vedere Dio. Amando il prossimo e prendendoti cura di lui, tu cammini. E dove ti conduce il cammino se non al Signore? Al Signore non siamo ancora arrivati, ma il prossimo l'abbiamo sempre con noi. Aiuta dunque il prossimo con il quale cammini, per poter giungere a Colui con il quale desideri rimanere" (S. Agostino, dai Trattati su Giovanni, 17,7-9).
di Angelo del Favero

martedì 1 gennaio 2013

763 - BUON ANNO 2013

"Ti benedica il Signore 
e ti custodisca. 
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto 
e ti conceda pace"
(Nm.6,22-27)
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Icona del Volto Akeropita
Monastero di San Benedetto - Milano