Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

sabato 17 novembre 2012

748 - I DOMENICA DI AVVENTO 2012

Con la prima Domenica di Avvento prende avvio il nuovo Anno Liturgico 2012-2013. Nella tradizione liturgica ambrosiana, l’Avvento, destinato essenzialmente a preparare il Natale, conta sei settimane iniziando, nella domenica immediatamente seguente l’11 novembre, festa di san Martino di Tours, e si conclude prima della celebrazione vespertina del 24 dicembre.
Il passo evangelico di Lc. 5,21-28 riporta, quasi integralmente, il discorso escatologico, riguardante cioè gli ultimi tempi, le realtà ultime. L’avvio è dato dalle parole di Gesù sulla prossima distruzione di Gerusalemme e soprattutto del Tempio (vv. 5-11). Con esse il Signore mette in guardia i suoi dai falsi messia (v. 8) e li esorta ad affrontare gli eventi catastrofici che contraddistingueranno quei giorni (vv. 9-11). Nei vv. 12-19 sono raccolti alcuni detti del Signore riguardanti le persecuzioni a cui andranno incontro, prima dei fatti annunciati, i suoi discepoli, compreso il tradimento da parte delle persone ad essi maggiormente legate, con l’esortazione finale a perseverare nella fedele sequela del loro Maestro. Segue ai vv. 20-24 una descrizione dettagliata degli eventi tragici che accompagneranno l’occupazione e la distruzione di Gerusalemme avvenuta, come è noto, nel 70 d.C. L’ultima parte del brano, vv. 25-28, è incentrata sul vero e proprio evento escatologico che è la venuta del Figlio dell’uomo (cfr. Daniele 7,13). Un evento che va ben oltre il destino di Gerusalemme e della Palestina e che coinvolge il cosmo e l’intera umanità. I credenti, in tutto ciò, sono invitati ad avere coraggio e a sperare nella prossima liberazione recata dal Signore che viene.
Le sei settimane di Avvento che ci dispongono ogni anno alla consapevole e degna celebrazione del Natale del Signore sono inaugurate con il richiamo alla dimensione escatologica nella quale si distende la nostra esistenza terrena.
Dal momento della prima venuta del Signore, consumata nel mistero salvifico della sua Pasqua, hanno preso il via, infatti, gli ultimi tempi, quelli cioè rivolti oramai alla sua seconda e definitiva venuta. Essa riguarda la storia, l’umanità e il cosmo intero, destinati a “passare”, e riguarda ogni uomo che sa che la sua vita su questa terra va verso la sua fine. Tutto ciò ha un indubbio carattere minaccioso ma, nello stesso tempo, sprona i discepoli del Signore ad aver coraggio, ad avere speranza, a risollevarsi e ad alzare il capo per accogliere il Liberatore (cfr. Vangelo: Luca, 21-28).
La venuta del Signore, che l’evangelista descrive con il linguaggio dell’apocalittica: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (v. 27), sta infatti a dire che egli porrà fine in modo definitivo allo strapotere del male e del peccato che si accanisce contro l’intera umanità e specialmente contro quanti, non volendosi omologare al potere idolatrico che domina sul mondo, si affidano a lui e al suo Vangelo.
Già i profeti avevano annunciato con accenti drammatici la decisione di Dio di intervenire contro la malvagità che è nel mondo e l’iniquità degli empi emblematicamente raffigurate in Babilonia (cfr. Lettura: Isaia, 13,11). La misura delle ingiustizie, delle violenze, delle sopraffazioni è oramai colma e Dio sta per far sorgere il “suo giorno”, che arriva «implacabile, con sdegno, ira e furore… per sterminare i peccatori» (v. 9). Lui solo, infatti, è in grado di far «cessare la superbia dei protervi» e di umiliare «l’orgoglio dei tiranni» (v. 11).
Il testo evangelico, da parte sua, annunzia (Luca 21,20) e quindi descrive, con particolari assai crudi, la distruzione di Gerusalemme (vv. 21-24) e, soprattutto del suo Tempio del quale «non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (v. 6).
Questo evento, il più catastrofico per Israele, al punto da porre fine e per sempre all’offerta dei sacrifici, compresa l’immolazione dell’agnello pasquale, parla a noi con estrema chiarezza: niente e nessuno che è immerso nel tempo e nello spazio di questo mondo può sfuggire alla fine! Non vi sono eccezioni. Per niente e per nessuno! Di conseguenza, saremo saggi se non ci appoggeremo sulle cose di questo mondo che svanisce, ma se porremo la nostra speranza in colui che è disceso dal Cielo per la nostra salvezza e per farci cittadini del suo Regno che non passa!
La storia in cui siamo immersi, a ben guardare, ci dà segni premonitori della sua inconsistenza, esibendo in ogni tempo il suo doloroso travaglio fatto di guerre e di rivoluzioni (cfr. v. 10), di cataclismi naturali e, per i discepoli del Signore, di persecuzioni anche violente (v. 12), di tradimenti, addirittura da parte delle persone ad essi più care (v.16) e, questo, a motivo della loro fede in lui (v.17). Nel fluire del tempo, così come la Scrittura ha insegnato, mentre viviamo nella consapevolezza della fine e del suo inesorabile travaglio, veniamo esortati anzitutto a perseverare nella nostra fede, a non lasciarci sedurre da improvvisati messia (v.8), a non terrorizzarci davanti ai rivolgimenti della storia e della nostra stessa vita: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18).
In concreto, le Scritture ci esortano a impostare questi nostri giorni sulla base delle indicazioni apostoliche che ci insegnano anzitutto a rifuggire da «ogni specie di impurità o di cupidigia», ma anche da ogni «volgarità, insulsaggini, trivialità» (Epistola: Efesini 5,3-4) e a «camminare nella carità», che è quella con la quale Cristo ci ha amato dando sé stesso perché noi, che eravamo «tenebra», a causa dell’incredulità e del peccato, diventassimo «luce nel Signore» (v. 8).
È quanto vogliamo chiedere alla bontà misericordiosa del nostro Dio che è il suo Figlio Gesù, insieme alla forza di perseverare tra le prove e le tribolazioni del mondo, imparando a intravedere proprio in esse il prodromo che annuncia la sua venuta «con grande potenza e gloria» per la nostra liberazione e il nostro definitivo riscatto. A tale proposito così preghiamo nel cuore della celebrazione eucaristica: «Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio). Un’attesa comunitariamente vissuta proprio nella celebrazione eucaristica nella quale la venuta sacramentale del Signore pone nel cuore dei fedeli il desiderio sempre più vivo di lui che è venuto, che viene incessantemente e che verrà! Desiderio liricamente cantato nell’antifona Alla Comunione: «Gioite, o cieli; esulta, o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».
A. Fusi