Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

giovedì 29 novembre 2012

751 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - DICEMBRE 2012

Generale: Perché in tutto il mondo i migranti siano accolti, specialmente dalle comunità cristiane, con generosità ed autentica carità.
Missionaria: Perché Cristo si riveli a tutta l'umanità con la luce che emana da Betlemme e che si riflette sul volto della sua Chiesa.

martedì 27 novembre 2012

750 - IL SIGNIFICATO DELL'AVVENTO

Nell'antichità precristiana il termine "avvento" (adventus) significava la venuta di un Imperatore e la preparazione del popolo alla sua accoglienza, come pure l'arrivo di una divinità pagana che veniva accolta e celebrata nel culto.
Il cristianesimo adottò il termine "avvento" per applicarlo alla venuta di Cristo, tuttavia non subito nel senso liturgico che precede il Natale: si intendeva affermare con questa parola che Cristo Signore è "Colui che viene", che entra nella nostra vita, si rende presente e attivo, partecipa delle nostre ansie e dei nostri problemi per cui l'uomo non è mai solo né abbandonato a se stesso. Cristo infatti "viene" in tutti i momenti per risollevarci nella paura e nell' angoscia, per rincuorarci nelle occasioni di sfiducia e di abbandono, per calmarci in quelle di autoesaltazione e per spronarci nelle circostanze di titubanza e di indecisione. Cristo viene sempre a trovarci, anche quando le avversità del momento ce lo mostrano assente e lontano.. Come il popolo d'Israele oppresso e vessato dai nemici gode della presenza comunque certa del Signore che lo sostiene, anche il cristiano è fortificato e reso saldo nella fiducia e nella certezza del Dio che lo accompagna. Ma "avvento" è un termine che segna il nostro rapporto con Cristo anche in quanto passato e in quanto futuro, oltre che come presente: Egli infatti è già venuto nella carne una volta per tutte nel famoso Evento di Betlemme, viene continuamente a visitarci nella vita di tutti i giorni con la sua presenza misteriosa ma certa e attiva e finalmente tornerà (verrà) alla fine dei tempi, quando il tempo presente si consumerà per il Giudizio finale. In tutte queste circostanze si realizza sempre una "venuta" da parte sua e un'"attesa" preparatoria da parte nostra, secondo le parole dell'apostolo Paolo: "Il Dio della pace vi santifichi fino alla perfezione, e tutto quello che è vostro, spirito, anima e corpo, si conservi irreprensibile per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo." (1 Ts 5, 23). Il senso di questa esortazione è chiaro e riguarda non solamente un solo periodo della nostra esistenza, ma l'intero percorso della nostra vita: mentre Dio "viene" con la sua potenza gratificante che eleva e santifica, da parte nostra occorre che a Lui ci predisponiamo rinnovando integralmente noi stessi nello spirito, nell'anima e nel corpo, il che significa concretamente non concedere indulgenze al peccato, alla lussuria, al vizio e ad ogni sorta di malizia e di cattiveria, ma piuttosto ricercare la comunione con Dio nella preghiera, nella meditazione e nella vita sacramentale, meglio ancora se incoraggiata dalla mortificazione corporale.
Questo è il significato che la Chiesa originariamente ha dato all'"avvento": esso è una prospettiva che riguarda non un solo periodo particolare dell'anno, ma l'intero percorso della nostra vita, poiché la nostra vocazione all'incontro con Colui che è, che era e che viene è una costante del nostro essere cristiani.
A partire dal IV secolo siffatto senso della parola "avvento" è stato applicato al periodo delle settimane che precedono il Natale, perché anche nello specifico delle celebrazioni liturgiche possiamo realizzare il predetto incontro con il Veniente e perché la data del 25 Dicembre non sia una sola ricorrenza imposta dal calendario, ma ad essa ci si predisponga nella predilezione dello spirito.
La trasposizione dell'avvento nel calendario liturgico che precede il Natale non pregiudica tuttavia il fatto che esso resti un imperativo vitale del cristiano. Anzi, è proprio la celebrazione di questo Tempo a rammentarci che l'incontro con Colui che viene è un fattore determinante del nostro passato, del nostro presente e del nostro futuro; quindi le quattro settimane che ci si aprono dinanzi sono speculari di quanto dovrebbe avvenire nella nostra intera esistenza. L'avvento liturgico ci rammenta che in tutta la vita occorre essere "irreprensibili per la venuta del Signore nostro Gesù Cristo", riconoscendo il Veniente in colui che è Presente e che riscontriamo nella fede.
Ciò impone la fuga dalle vanità della carne e dalle attrattive di questo secolo, l'orientamento costante della volontà verso Dio e la lotta continua contro le immancabili tentazioni del Maligno, quest'ultima comunque sostenuta dalla grazia santificante del Signore. E soprattutto comporta la fuga dalla presunzione, dalla protervia e dall'egoismo perché in noi trionfi l'umiltà che è sinonimo di buona predisposizione al bene e alla giustizia. L'umiltà produce infatti che noi ci abbassiamo perché Dio venga esaltato e riconosciuto come indispensabile riferimento della nostra vita e di conseguenza è matrice della nostra fede; la fede produce la speranza e immancabilmente si traduce nella carità effettiva e operosa verso il prossimo. In termini concreti, l'"avvento" comporta amore esclusivo verso Dio e verso il prossimo, l'esercizio della carità che si evince innanzitutto nei rapporti fra di noi, nella stima e nell'accettazione reciproca in modo che accettiamo le immancabili defezioni gli uni degli altri, ci comprendiamo nelle limitazioni e ci valorizziamo nei pregi e nelle prerogative in negativo. L'ideale di carità insegnato da Cristo è l'amore verso i nemici e la preghiera per quanti ci perseguitano usandoci malanimo e perversione; comporta che si vinca il male non col l'astio e con la vendetta, ma semplicemente rispondendo al male con il bene (Rm 12, 21).
Per quanto possa sembrare inverosimile, è esattamente quanto il Signore vuole espressamente da noi: che non ci accontentiamo della mediocrità pagana ed egoistica per cui l'amore è circoscritto ai soli amici o congiunti mentre è autorizzato l'odio verso gli avversari, ma che ci disponiamo all'eroismo dell'amore verso quanti ci odiano e che rispondiamo alle persecuzioni con atti di amore e di accettazione. Chi si allontana dall'ottica dell'amore verso i nemici si allontana di fatto dalla mentalità cristiana.
padre Gian Franco Scarpitta

venerdì 23 novembre 2012

749 - II DOMENICA DI AVVENTO

In questa domenica leggiamo l’avvio del Vangelo secondo Marco (1,1-8) che fa come da preparazione all’ingresso nel mondo di Gesù. Egli, da subito, è identificato in pienezza quale Cristo (= Messia) e soprattutto quale Figlio di Dio (v. 1). È lui, in realtà, il Vangelo (= la buona notizia) che dovrà essere annunziata a tutti gli uomini. Con una citazione composta da testi del profeta Malachia 3,1 e di Isaia 40,3, viene introdotta la figura e la missione di Giovanni, che è essenzialmente quella dell’araldo, del messaggero che annunzia e prepara, in questo caso la venuta di Gesù (vv. 2-3). Il v. 4 situa nel deserto l’attività di Giovanni, che consiste nel proclamare un battesimo di conversione e al quale accorreva «tutta la regione della Giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme», come viene detto con evidente espressione iperbolica (v. 5). Il v. 6 con la menzione del vestito e della dieta intende designare il Battista come profeta, mentre i vv. 7-8 contengono il nucleo essenziale della sua predicazione, che riguarda l’imminente venuta di uno che è più forte di lui e che, al contrario di lui, immergerà gli uomini nello Spirito Santo e non semplicemente nell’acqua.
Il raduno eucaristico domenicale, mentre ci immerge a livello sacramentale nel mistero pasquale del Signore, operatore dell’universale salvezza, ci offre la straordinaria opportunità di cogliere la grandezza di tale mistero che si dispiega a partire dalla sua Incarnazione e dalla sua Natività che l’Avvento ci dispone a celebrare e che la preghiera liturgica così ci presenta: «È grazia della tua pietà che ci salva: dalla carne di Adamo il peccato ci aveva dato la morte, dalla carne di Cristo il tuo amore infinito ci ha riplasmato alla vita» (Prefazio).
È quanto ricaviamo dall’ascolto odierno della Parola che, in sostanza, ci rivela che in Cristo Gesù, che viene nel mondo, tutti sono chiamati alla salvezza ovvero, come avverte il titolo assegnato dal Lezionario a questa domenica, tutti sono chiamati a diventare “I figli del Regno”.
Tale prospettiva, a ben guardare, è stata avanzata dal profeta, che annunzia qualcosa di veramente inconcepibile per la mente umana. Popoli da sempre ferocemente nemici, quali gli Egiziani e gli Assiri, a loro volta spietati nemici di Israele, cominceranno a conoscersi, a dialogare, a unirsi in un unico popolo nel rendere culto all’unico vero Dio, il Dio di Israele che farà dei tre popoli «una benedizione in mezzo alla terra» (Lettura: Isaia 19,24). Il Salmo 86(87) allarga ulteriormente la visione profetica affermando: «Iscriverò Raab e Babilonia fra quelli che mi riconoscono; ecco Filistea, Tiro ed Etiopia: là costui è nato». Tutti questi popoli diventeranno cioè un “segnale” collocato da Dio nel cuore della storia umana e che avrà il suo svelamento in Cristo Gesù, il Figlio venuto nel mondo.
L’Apostolo, a tale riguardo, sottolinea come Dio ha attuato «il progetto eterno» annunciato dai Profeti proprio «in Cristo Gesù nostro Signore nel quale abbiamo la libertà di accedere a Dio in piena fiducia mediante la fede in lui» (Epistola: Efesini 3, 11-12).
Un accesso, dunque, proposto a tutte le genti senza distinzioni mediante la predicazione del Vangelo. È la missione propria e distintiva dell’Apostolo che lui, una volta ostile ai pagani, chiama una «grazia» (v. 8). Quella cioè di «annunciare alle genti (= tutti i popoli pagani) le impenetrabili ricchezze di Cristo e illuminare tutti sulla attuazione del mistero nascosto da secoli in Dio» (v. 8-9), reso visibile nella Chiesa formata da Ebrei e pagani.
Nel prepararci al Natale apriamo il cuore alla grandezza della nostra fede nel Signore Gesù venuto nel mondo «per ricreare l’uomo perché la morte non deformasse in lui» l’immagine divina (Prefazio) e per unire tutte le genti in un solo popolo, in un solo Corpo, in un solo Regno.
Sull’esempio dell’Apostolo, avvertiamo come grazia la missione di annunciare, a tutti coloro con i quali condividiamo il cammino terreno, il mirabile disegno della sapienza divina: fare di tutti gli uomini i suoi figli, nel suo Figlio Gesù, cittadini, già da ora, del suo Regno.
Un simile annuncio si compie certamente nella predicazione evangelica che, sull’esempio di quella del Precursore del Signore, chiede di preparare i cuori all’incontro con lui mediante la conversione e l’adesione di fede alla sua Parola (cfr. Vangelo: Marco 1,3).
Ma la predicazione è avvalorata dalla vita, dalle scelte concrete cioè che caratterizzano l’esistenza dei credenti. Tali scelte, esigono, come ci insegna il Precursore, una vita sobria, un atteggiamento di profonda verità su noi stessi, consapevoli di non essere degni di chinarci «a slegare i lacci» dei sandali del Signore (v. 7), di non essere cioè padroni, ma “servi” del Vangelo, araldi di colui che viene per immergere in un battesimo capace di rigenerare a vita nuova, perché dato «in Spirito Santo» (v.8), quanti lo accolgono come Messia e Figlio di Dio (cfr. v.1), nel quale «saranno benedette tutte le genti della terra» (Canto All’Ingresso).
A. Fusi

sabato 17 novembre 2012

748 - I DOMENICA DI AVVENTO 2012

Con la prima Domenica di Avvento prende avvio il nuovo Anno Liturgico 2012-2013. Nella tradizione liturgica ambrosiana, l’Avvento, destinato essenzialmente a preparare il Natale, conta sei settimane iniziando, nella domenica immediatamente seguente l’11 novembre, festa di san Martino di Tours, e si conclude prima della celebrazione vespertina del 24 dicembre.
Il passo evangelico di Lc. 5,21-28 riporta, quasi integralmente, il discorso escatologico, riguardante cioè gli ultimi tempi, le realtà ultime. L’avvio è dato dalle parole di Gesù sulla prossima distruzione di Gerusalemme e soprattutto del Tempio (vv. 5-11). Con esse il Signore mette in guardia i suoi dai falsi messia (v. 8) e li esorta ad affrontare gli eventi catastrofici che contraddistingueranno quei giorni (vv. 9-11). Nei vv. 12-19 sono raccolti alcuni detti del Signore riguardanti le persecuzioni a cui andranno incontro, prima dei fatti annunciati, i suoi discepoli, compreso il tradimento da parte delle persone ad essi maggiormente legate, con l’esortazione finale a perseverare nella fedele sequela del loro Maestro. Segue ai vv. 20-24 una descrizione dettagliata degli eventi tragici che accompagneranno l’occupazione e la distruzione di Gerusalemme avvenuta, come è noto, nel 70 d.C. L’ultima parte del brano, vv. 25-28, è incentrata sul vero e proprio evento escatologico che è la venuta del Figlio dell’uomo (cfr. Daniele 7,13). Un evento che va ben oltre il destino di Gerusalemme e della Palestina e che coinvolge il cosmo e l’intera umanità. I credenti, in tutto ciò, sono invitati ad avere coraggio e a sperare nella prossima liberazione recata dal Signore che viene.
Le sei settimane di Avvento che ci dispongono ogni anno alla consapevole e degna celebrazione del Natale del Signore sono inaugurate con il richiamo alla dimensione escatologica nella quale si distende la nostra esistenza terrena.
Dal momento della prima venuta del Signore, consumata nel mistero salvifico della sua Pasqua, hanno preso il via, infatti, gli ultimi tempi, quelli cioè rivolti oramai alla sua seconda e definitiva venuta. Essa riguarda la storia, l’umanità e il cosmo intero, destinati a “passare”, e riguarda ogni uomo che sa che la sua vita su questa terra va verso la sua fine. Tutto ciò ha un indubbio carattere minaccioso ma, nello stesso tempo, sprona i discepoli del Signore ad aver coraggio, ad avere speranza, a risollevarsi e ad alzare il capo per accogliere il Liberatore (cfr. Vangelo: Luca, 21-28).
La venuta del Signore, che l’evangelista descrive con il linguaggio dell’apocalittica: «Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire su una nube con grande potenza e gloria» (v. 27), sta infatti a dire che egli porrà fine in modo definitivo allo strapotere del male e del peccato che si accanisce contro l’intera umanità e specialmente contro quanti, non volendosi omologare al potere idolatrico che domina sul mondo, si affidano a lui e al suo Vangelo.
Già i profeti avevano annunciato con accenti drammatici la decisione di Dio di intervenire contro la malvagità che è nel mondo e l’iniquità degli empi emblematicamente raffigurate in Babilonia (cfr. Lettura: Isaia, 13,11). La misura delle ingiustizie, delle violenze, delle sopraffazioni è oramai colma e Dio sta per far sorgere il “suo giorno”, che arriva «implacabile, con sdegno, ira e furore… per sterminare i peccatori» (v. 9). Lui solo, infatti, è in grado di far «cessare la superbia dei protervi» e di umiliare «l’orgoglio dei tiranni» (v. 11).
Il testo evangelico, da parte sua, annunzia (Luca 21,20) e quindi descrive, con particolari assai crudi, la distruzione di Gerusalemme (vv. 21-24) e, soprattutto del suo Tempio del quale «non sarà lasciata pietra su pietra che non sarà distrutta» (v. 6).
Questo evento, il più catastrofico per Israele, al punto da porre fine e per sempre all’offerta dei sacrifici, compresa l’immolazione dell’agnello pasquale, parla a noi con estrema chiarezza: niente e nessuno che è immerso nel tempo e nello spazio di questo mondo può sfuggire alla fine! Non vi sono eccezioni. Per niente e per nessuno! Di conseguenza, saremo saggi se non ci appoggeremo sulle cose di questo mondo che svanisce, ma se porremo la nostra speranza in colui che è disceso dal Cielo per la nostra salvezza e per farci cittadini del suo Regno che non passa!
La storia in cui siamo immersi, a ben guardare, ci dà segni premonitori della sua inconsistenza, esibendo in ogni tempo il suo doloroso travaglio fatto di guerre e di rivoluzioni (cfr. v. 10), di cataclismi naturali e, per i discepoli del Signore, di persecuzioni anche violente (v. 12), di tradimenti, addirittura da parte delle persone ad essi più care (v.16) e, questo, a motivo della loro fede in lui (v.17). Nel fluire del tempo, così come la Scrittura ha insegnato, mentre viviamo nella consapevolezza della fine e del suo inesorabile travaglio, veniamo esortati anzitutto a perseverare nella nostra fede, a non lasciarci sedurre da improvvisati messia (v.8), a non terrorizzarci davanti ai rivolgimenti della storia e della nostra stessa vita: «Nemmeno un capello del vostro capo andrà perduto» (v. 18).
In concreto, le Scritture ci esortano a impostare questi nostri giorni sulla base delle indicazioni apostoliche che ci insegnano anzitutto a rifuggire da «ogni specie di impurità o di cupidigia», ma anche da ogni «volgarità, insulsaggini, trivialità» (Epistola: Efesini 5,3-4) e a «camminare nella carità», che è quella con la quale Cristo ci ha amato dando sé stesso perché noi, che eravamo «tenebra», a causa dell’incredulità e del peccato, diventassimo «luce nel Signore» (v. 8).
È quanto vogliamo chiedere alla bontà misericordiosa del nostro Dio che è il suo Figlio Gesù, insieme alla forza di perseverare tra le prove e le tribolazioni del mondo, imparando a intravedere proprio in esse il prodromo che annuncia la sua venuta «con grande potenza e gloria» per la nostra liberazione e il nostro definitivo riscatto. A tale proposito così preghiamo nel cuore della celebrazione eucaristica: «Quando verrà di nuovo nello splendore della gloria potremo ottenere, in pienezza di luce, i beni promessi che ora osiamo sperare, vigilando nell’attesa» (Prefazio). Un’attesa comunitariamente vissuta proprio nella celebrazione eucaristica nella quale la venuta sacramentale del Signore pone nel cuore dei fedeli il desiderio sempre più vivo di lui che è venuto, che viene incessantemente e che verrà! Desiderio liricamente cantato nell’antifona Alla Comunione: «Gioite, o cieli; esulta, o terra; gridate di gioia, o monti, perché il Signore consola il suo popolo, con la sua mano radunerà gli agnelli e ha pietà degli infelici».
A. Fusi

sabato 10 novembre 2012

747 - NOSTRO SIGNORE GESU' CRISTO RE DELL'UNIVERSO

Lettura Isaia 49,1-7: Ascoltiamo il secondo dei quattro canti del servo sofferente. Il linguaggio è paradossale: proprio di chi è stato disprezzato e rifiutato, Dio lo renderà luce delle nazioni. QUesto è il modo di agire di Dio, che prefigura colui che regnerà dalla croce.
 
Salmo 21(22) Dal legno della croce regna il Signore
 
Epistola Filippesi 2,5-11: Il Figlio, che si è fatto obbediente fino alla Croce (la morte dello schiavo) riceve il nome di "Signore" e la sottomissione di tutto il creato. La regalità diGesù è radicalmente diversa sa quella del mondo: si attua non nel dominio ma nel dono di sè.
 
Vangelo Luca 23,36-43:  Al buon ladrone che gli chiede di ricordarsi di lui nel futuro del regno, Gesù risponde al presente: "Oggi sarai con me nel paradiso". L'oggi della croce è l'oggi di una salvezza che persino nella morte e nel peccato ci dona la comunione con Dio.

sabato 3 novembre 2012

746 - II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

Lettura del libro di Isaia 56,3-7
Nei capitoli conclusivi di Isaia la Bibbia si apre a una visione universale. Non solo gli stranierim ma anche gli eunuchi (nonostante l'impedimento del Deuteronomio) dovranno sapersi accolti nell'alleanza di Dio. Il tempio sarà casa di preghiera per tutti i popoli.
 
Salmo 34(24)
Il Signore si rivela a chi lo teme
 
Epistola Efesini 2,11-22
Nel tempio diverse separazioni dividevano lo spazio sacro. I non circoncisi non potevano essere ammessi nel cortile dei circoncisi. Ora Cristo, con la sua Pasqua, ha eliminato ogni divisione e distanza. In lui si realizza la profezia di Isaia.
 
Vangelo Luca 14,1a.15-24
Dio vuole che la sala del banchetto si riempia di invitati. Il rifiuto dei primi non lo blocca nella rassegnazione, ma estende il suo invito. Oltre al suo desiderio, è da ammirare l'impegno dei suoi servi, chiamati a collaborare al suo disegno universale.

giovedì 1 novembre 2012

745 - FESTA DI TUTTI I SANTI

Assisi - Chiostro della chiesa di San Damiano
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La parola “beati” costituisce un’antropologia, una descrizione di che cosa è davvero l’uomo felice, vero, autentico. Le beatitudini sono la proclamazione del modo di essere uomini evangelici, discepoli autentici di Gesù, uomini e donne fortunati e felici. Esse rivelano un misterioso capovolgimento antropologico che consiste nel passare dall’avere all’essere, dall’essere al dare, dall’avere per sé all’essere per gli altri. Cogliendo la dinamica di questo guado, che è importantissimo per l’uomo, possiamo raggiungere il segreto di Dio, e insieme il vero segreto dell’uomo: donarsi».
(Carlo Maria Martini, Beati voi! La promessa della felicità, ed. In Dialogo)

744 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - NOVEMBRE 2012


Cuore divino di Gesù, io ti offro per mezzo del Cuore Immacolato di Maria, madre della Chiesa, in unione al Sacrificio eucaristico, le preghiere e le azioni, le gioie e le sofferenze di questo giorno: in riparazione dei peccati, per la salvezza di tutti gli uomini, nella grazia dello Spirito Santo, a gloria del divin Padre.

In particolare per le intenzioni del Papa e dei Vescovi di questo mese di Novembre

Generale: Perché i Vescovi, i sacerdoti e tutti i ministri del Vangelo diano coraggiosa testimonianza di fedeltà al Signore crocifisso e risorto.
Missionaria: Perché la Chiesa pellegrina sulla terra risplenda come luce delle nazioni.
Vescovi: Il mondo ascolti il messaggio del Vangelo, che supera l'orizzonte terreno e conduce alla vita eterna”