Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

domenica 26 febbraio 2012

656 - IL MESSAGGIO DEL PARROCO

“Questo è il mio corpo che è dato per voi” (Lc 22,19).
Entriamo nel tempo della Quaresima. I giorni segnati dall’esperienza del silenzio, del deserto e della ricerca di quel pane che sazia per sempre.
Ci aiuta a riscoprire uno stile nuovo dell’essere discepoli quanto vissuto dagli ebrei nell’Esodo: il loro cammino nel deserto e il dono della manna che saziava le loro giornate. Dio nel deserto mantiene in vita il suo popolo donandogli quel pane simile “al seme del coriandolo e bianco; aveva il sapore di una focaccia con miele” (Es 16,31).
Il cibo che il Signore manda dal cielo è solo una anticipazione del dono, del pane autentico, quello che ci dà la misura vera delle cose, del mondo e della vita. Questo pane che è la vita donata di Gesù, ci porta a riscoprire la cura del fratello come condizione necessaria per appartenere a Lui.
Il tempo di silenzio e di preghiera può diventare per noi esperienza di Esodo, fatto però, dentro di noi, abbandonando il nostro egocentrismo per abbracciare la volontà di Dio che nel suo Figlio si è fatto dono totale e ci ha reso persone salvate.
Siamo chiamati a partire, a lasciare  ad uscire per andare verso una meta. Non saremo soli, ma ci sarà accanto la Chiesa con la sua Grazia santificante dei Sacramenti, la forza e la luce della Parola di Dio e l’aiuto potente della preghiera. Inoltriamoci in questo cammino, come Gesù nel deserto, lasciandoci portare dallo Spirito, nella docilità alle sue ispirazioni che ci portano sicuramente verso la felicità pasquale.
Spirito Santo, illumina i nostri passi, giorno dopo giorno, solo così potremo lasciare l’uomo vecchio per rivestirci di Cristo!!!!
Auguri per l’inizio di questo tempo di grazia.
padre Luigi, parroco

giovedì 23 febbraio 2012

655 - PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA

Nella tradizione liturgica ambrosiana la Quaresima inizia con questa domenica, sesta prima di Pasqua e si conclude al Giovedì Santo. Essa ha il compito di preparare all’annuale solenne celebrazione della Pasqua mediante la memoria del Battesimo e l’esercizio della Penitenza.
Lettura del profeta Isaia (57,15-58,4a)
L’argomento centrale dei vv. 15-21 riguarda l’atteggiamento amorevole e premuroso di Dio verso gli oppressi e gli umiliati (v. 15), la sua disponibilità a lasciar cadere il giudizio e il castigo sul suo popolo peccatore (vv. 16-17); egli invece vuole sanarlo, guidarlo, consolarlo (vv. 18-19). I primi quattro versetti del cap. 58 avviati dal comando del Signore al Profeta di «dichiarare al mio popolo i suoi delitti» (v. 1), riguardano l’urgenza di dare spessore interiore alle pratiche religiose come quella del digiuno, delle quali si parlerà diffusamente nei vv. 5-7.

Seconda lettera di san Paolo apostolo ai Corinzi (4,16b-5,9)
Il brano riprende la parte conclusiva (vv. 16-18) del cap. IV, nella quale l’Apostolo parla delle speranze e delle tribolazioni che deve affrontare nello svolgimento del suo ministero, che consiste essenzialmente nell’annuncio del Vangelo del Signore Gesù Cristo.
Qui, in particolare, si mette in parallelo il progressivo inarrestabile decadimento della vita fisica (uomo esteriore), motivato anche dalle fatiche apostoliche e, al contrario, il contemporaneo progresso dell’uomo interiore (v. 16), vale a dire dell’uomo che si è rivestito di Cristo e nel quale abita il suo Spirito.
Di conseguenza l’Apostolo è pronto ad affrontare la tribolazione, che sa di breve durata e consistenza se messa in raffronto alla «gloria smisurata ed eterna» (v. 17) che attende ogni fedele ministro del Vangelo che concentra tutta la sua vita sulle realtà invisibili, vale a dire sulla partecipazione al trionfo del Signore crocifisso e risorto (v. 18). Il discorso viene esteso nei vv. 1-9 del cap. V a tutti i credenti, in attesa anch’essi di ricevere «una dimora non costruita da mani d’uomo» (v. 1), ossia un corpo e un’esistenza celeste conforme a quella del Signore Risorto.
Si comprende allora il desiderio di «rivestirci della nostra abitazione celeste» (v. 2) ma senza essere “spogliati” di quella terrena, ossia senza passare attraverso la morte (v. 4). Del resto l’anelito alla vita è stato posto in noi da Dio con il dono dello Spirito al pari di una caparra (v. 5).
Di qui la concezione della vita terrena come un esilio che ci tiene separati dal Signore (vv. 6-8); comunque, occorre fare di tutto per essere trovati da lui graditi (v. 9) e stare così per sempre con lui.

Lettura del Vangelo secondo Matteo (4,1-11)
Il presente brano segue immediatamente il racconto del battesimo al Giordano (Mt 3,13-17) e ad esso si riallaccia ponendo in primo piano l’azione dello Spirito nel condurre Gesù nel deserto per andare incontro alla tentazione da parte del diavolo, una parola greca che significa “colui che divide o distoglie” da Dio (v. 1).
Il v. 2, con allusione all’esperienza di Mosè al Sinai (Es 24,18; 34,28) e del profeta Elia nel deserto (1Re 19,8), riferisce che Gesù: «dopo aver digiunato quaranta giorni e quaranta notti, alla fine ebbe fame». Su tale constatazione si iscrive la prima tentazione (vv. 3-4), che potremmo chiamare quella del pane.
Essa riguarda il “vero nutrimento” di cui l’uomo ha davvero bisogno per “vivere” e che, stando alla risposta di Gesù al tentatore, presa da Deuteronomio 8,3, consiste in «ogni parola che esce dalla bocca di Dio» e che è contenuta nelle Scritture.
La seconda è la tentazione del punto più alto del tempio (vv. 5-7) di Gerusalemme, dal quale Gesù viene invitato a gettarsi mettendo alla prova Dio stesso che, stando al Salmo 91,11-12 parzialmente citato dal diavolo, dovrebbe intervenire a sua protezione e custodia. La risposta di Gesù, presa da Deuteronomio 6,16, esclude di attendere da Dio un segno prodigioso per credere e obbedirgli.
La terza tentazione è quella del monte altissimo (vv. 8-10), dal quale il satana mostra a Gesù il suo regno, ovvero il mondo intero, e si dichiara disposto a cederlo a lui ad una condizione: che egli volti le spalle a Dio interrompendo così il suo rapporto filiale con lui!
Con la sua decisa risposta, presa da Deuteronomio 6,13, Gesù allontana da sé il tentatore e ribadisce la sua piena e definitiva obbedienza al Padre nella quale consiste l’adorazione e il vero culto a Dio. Il racconto si chiude al v. 11 con il satana che abbandona, sconfitto, il campo e con l’intervento degli angeli che si prendono cura di Gesù fornendogli il cibo.
La lettura annuale del Vangelo delle tentazioni caratterizza la domenica di avvio della Quaresima e, di conseguenza, illumina l’intero cammino quaresimale verso la Pasqua di morte e risurrezione da compiere tenendo lo sguardo su Gesù, il Figlio obbediente, e vivendo di «ogni parola che esce dalla bocca di Dio».
È il programma per i giorni quaresimali ed è il programma di vita per quanti desiderano «abitare presso il Signore» (Epistola: 2Corinzi 5,8b), ossia rivestirsi di lui per prendere definitivamente parte della sua gloria di cui abbiamo ricevuto la caparra nella rigenerazione battesimale.
Occorre però aver chiaro in mente che il cammino in vista del traguardo finale che la solenne celebrazione della Pasqua ogni anno ci fa intravedere, è un cammino contrassegnato da tribolazioni e da prove, dalle quali non è facile per noi uscire indenni e vincitori.
Bisogna riconoscere che non pochi soccombono sotto il peso anche momentaneo delle tribolazioni e delle tentazioni, come può essere l’esperienza drammatica della progressiva distruzione della «nostra dimora terrena» ossia della sofferenza, del decadimento fisico e, in ultimo, della morte.
Non pochi inoltre soccombono al male cedendo al fascino perverso del peccato che impedisce la comunione con Dio fonte della nostra vita. La pagina evangelica indica nel Signore Gesù la via per superare tribolazioni e prove. È la via dell’accoglienza autentica e profonda della Parola di Dio come norma del nostro vivere e agire in ogni situazione e in ogni esperienza che la vita ci presenta.
La Quaresima è perciò il tempo “favorevole” perché reimpostiamo l’intera nostra esistenza in base alla “giustizia”, ossia nell’ascolto attento e nell’obbedienza alla Parola. Dio stesso ci incoraggia a fare ciò rivelandosi come un Dio che non vuole «contendere sempre, né sempre essere adirato» (Lettura, Isaia 57,16) ma è deciso a sanarci, a guidarci e a offrirci consolazioni (cfr. Isaia 57,18).
Una simile consapevolezza deve mettere in moto nei singoli credenti e nell’intera Comunità ecclesiale la decisione di non camminare più per le strade del nostro cuore malvagio (cfr. Isaia 58), ma di volgere i nostri passi sulla via tracciata e percorsa per primo dal suo Figlio obbediente, così declinata dalla preghiera liturgica: «Prepariamoci con molta pazienza, con molte rinunce, con armi di giustizia,per grazia di Dio. Nessuno si faccia trovare, nel giorno della redenzione, ancora schiavo del vecchio mondo del peccato» ( Canto Dopo il Vangelo).
È la via che propone l’ascolto della Parola come “cibo” in grado di sostenerci fino al momento in cui saremo definitivamente “rivestiti” di Cristo, partecipi cioè della sua Risurrezione. Con l’ascolto della Parola viene inoltre proposto il digiuno, da intendere non tanto come privazione di alimenti materiali, ma come privazione e mortificazione del cuore cattivo chiuso nell’egoistica ricerca di sé e che ci estranea da Dio e ci rende alieni gli uni verso gli altri.
L’itinerario quaresimale contraddistinto dall’ascolto della Parola e dal digiuno in vista della carità, è reso possibile dalla sosta eucaristica domenicale. In essa «ritroviamo il Pane vivo e vero che, quaggiù, ci sostenta nel faticoso cammino del bene e, lassù, ci sazierà della sua sostanza nell’eternità beata del cielo» (Prefazio).
(Alberto Fusi)

sabato 18 febbraio 2012

654 - PADRE GIOVANNI BATTISTA PIAMARTA - PRESTO SANTO!

Papa Benedetto XVI, oggi 18 Febbraio 2012, ha pubblicato la data della Canonizzazione del Beato Padre Giovanni Piamarta. La Canonizzazione avrà luogo a Roma nella Basilica Vaticana Domenica 21 Ottobre 2012.
Ringraziamo il Signore per questo dono che ci fa e lo preghiamo perchè ci dia forza per imitarne gli esempi.



Per conoscere la vita e le opere di padre Piamarta clicca qui:
http://danilop-passalaparola.blogspot.com/2009/01/beato-giovanni-battista-piamarta.html

653 - ULTIMA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

È la domenica detta “del perdono” e precede immediatamente la Quaresima. Essa, pertanto, chiude, con il tempo dopo l’Epifania, il tempo liturgico avviato dall’Avvento e incentrato sul mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore.
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Isaia 54,5-10: Il brano si riferisce alla volontà di Dio di ristabilire Gerusalemme dopo la sua distruzione a opera dei Persiani (597 a.C.) e la deportazione del popolo. Il ristabilimento è qui indicato nella rappresentazione di Dio come Sposo del suo popolo (v. 5) che a causa della sua perversione viene abbandonato per «un breve istante». L’amore di Dio però è più grande e, perciò, torna a mostrarsi e a prendersi cura di esso «con affetto» perenne (vv. 7-8). Un affetto a cui Dio non verrà mai più meno per nessuna ragione (vv. 9-10).
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Lettera di san Paolo apostolo ai Romani 14,9-13: Il contesto dal quale è preso il brano è quello riguardante l’esortazione rivolta dall’Apostolo ai fedeli di Roma ad avere carità gli uni verso gli altri accogliendosi nelle diversità di osservanza di alcune pratiche ascetiche come ad esempio il digiuno o l’astinenza da alcuni alimenti. La regola dunque è la rinuncia al giudizio e al disprezzo dell’altro (v. 10) nella consapevolezza che chi giudica tutti è solo Dio (vv. 11-12, cfr. Is 45,23; 49,18).
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Lettura del Vangelo secondo Luca :18,9-14: Il v. 9 dice la motivazione della parabola con la quale Gesù stigmatizza il modo di pensare di alcuni nei quali, come si vedrà al v. 10, è facile riconoscere i farisei convinti di essere giusti davanti a Dio a motivo della formale e presunta osservanza della Legge. Per questo erano portati a sentirsi superiori e, quindi, al disprezzo degli altri.
A ben guardare la preghiera del fariseo (vv. 11-12) a partire dalla posizione eretta, è in realtà un’autoglorificazione e celebrazione della devota osservanza di alcuni precetti quali il digiuno e il pagamento assai generoso delle decime dovute al Tempio (cfr. Deuteronomio 14,22-29).
La preghiera del pubblicano (v. 13), appartenente a una categoria di gente con la quale il fariseo non aveva nessun contatto perché ritenuti legalmente peccatori, denota a partire dagli atteggiamenti esterni: la distanza che pone tra sé e Dio, la faccia a terra, il percuotersi il petto, la verità delle sue parole con le quali riconosce la sua condizione di peccatore e dunque l’abbandono alla misericordia di Dio.
La conclusione di Gesù al v. 14 ribalta le posizioni iniziali: chi stava eretto viene ora abbassato mentre chi si era posto in tutta umiltà viene esaltato ricevendo la giustificazione, ossia la gratuita certificazione del perdono datagli da Dio.
Nel mistero del suo Natale il Signore si è manifestato nel mondo come il Figlio unico rivelatore di Dio e portatore del suo disegno di universale salvezza. Ciò che egli ha effettivamente compiuto nell’ora della sua Pasqua nella quale ha rivelato Dio stesso nel cui cuore arde l’amore per tutti gli uomini a lui sottratti dal potere del male che li soggioga.
Nella Lettura il profeta non esita a paragonare Dio a uno sposo che, a motivo dell’infedeltà della sua sposa, ossia Israele suo popolo, «in un impeto di collera» l’ha «abbandonata», le «ha nascosto il suo volto». Per poco, però, per un breve istante (Isaia 54,5-10). Al suo popolo Dio stesso rivela di sentire per lui «un affetto perenne» (v. 8) che lo porta ad avere pietà di lui sempre e comunque. Un affetto così grande che «Anche se i monti si spostassero e i colli vacillassero, non si allontanerebbe da te il mio affetto» (v. 10).
È questo incredibile affetto di Dio per il suo popolo come rappresentante dell’intero genere umano a indurlo a mostrare a tutti visibilmente il suo volto in Cristo suo Figlio: il volto di un Dio che largamente perdona e che a tutti vuole usare misericordia rinunziando a far ricadere, come ai tempi di Noè (Isaia 54,5-10) il meritato castigo.
Misericordia di cui ha bisogno ogni uomo senza eccezione dal momento che nessuno è in grado, con la sua forza, di ristabilire con Dio, tre volte Santo, quell’alleanza e quel rapporto di amore spezzato dall’infedeltà e dal peccato.
È quanto ha esemplarmente compreso il pubblicano protagonista della pagina evangelica che, pienamente consapevole della condizione infelice in cui si trova, non ha appigli, non ha giustificazioni a cui aggrapparsi ma, stando a debita e reverenziale distanza, con la faccia a terra, battendosi il petto si pone nelle mani della Misericordia. «O Dio, abbi pietà di me peccatore» (Vangelo: Luca 18,9-14).
Non così il fariseo che ama ostentare davanti a Dio e agli uomini la sua presunta giustizia, che lo porta addirittura a sostituirsi a Dio stesso in ciò che gli appartiene in esclusiva: il giudizio! Un atteggiamento questo da rifuggire all’interno dei rapporti interpersonali come ci insegna l’Apostolo avvertendoci che «tutti ci presenteremo al tribunale di Dio» davanti al quale «ciascuno di noi renderà conto di sé stesso a Dio» (Epistola: Romani 14,9-13).
Nell’imminenza della Quaresima, il tempo che ci spalanca davanti i divini misteri della nostra salvezza condensati nella Croce e nella Risurrezione del Signore, orientiamo il cuore, la mente e la vita di ogni giorno a lui, rivelatore del Padre che perdona. Impariamo così a riconoscere con tutta verità che al pari di ogni uomo, senza eccezione, siamo bisognosi del suo perdono segno del suo perenne affetto.
Un perdono che ci sorprende per generosità e assoluta gratuità e che mette più facilmente in moto il cammino di conversione e di ritorno a lui al quale ci invita proprio la Quaresima oramai vicina. Un cammino che ci vede al fianco di ogni uomo che, grazie all’autentica nostra testimonianza di fede e alla rinuncia di ogni pretesa di giudizio, si aprirà forse più facilmente alla indicibile meravigliosa certezza dell’amore sempre vivo e bruciante di Dio per tutti noi reso visibile nel Figlio.
È la testimonianza che hanno dato le nostre labbra all’avvio della celebrazione eucaristica domenicale: «Sperate in Dio, popoli di ogni luogo, aprite al suo cospetto il vostro cuore, egli è il nostro rifugio».
A.Fusi

sabato 11 febbraio 2012

652 - PENULTIMA DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

E' la domenica detta “della divina clemenza” destinata, con la prossima, a fare da ponte tra il mistero dell’Incarnazione e quello della Pasqua avviato dal tempo di Quaresima. 

Lettura del profeta Osea (6, 1-6)
Il testo profetico di Osea si apre ai vv. 1-3 con l’esortazione di Dio al suo popolo a ritornare a lui pronto a “guarirlo” e a “fasciarlo” subito dopo averlo castigato. I vv: 4-5 riportano il lamento di Dio che vede l’instabilità del suo popolo, la cui adesione a lui è paragonata alla «nube del mattino» e alla «rugiada che all’alba svanisce» (v. 4). Per questo Dio lo “uccide” non con la spada ma con la sua parola, che rivela un Dio che vuole l’amore del suo popolo. 

Lettera di san Paolo apostolo ai Gàlati (2,19-21 – 3,7)
I vv. 19-21 concludono la parte della lettera nella quale san Paolo si difende dalle accuse di non essere un vero apostolo in quanto, al contrario di essi, non ha conosciuto e non è stato con Gesù. In particolare ai vv. 19-21 ribadisce che la Legge ha cessato il suo compito dal momento che Cristo, con la sua morte in croce, «ha consegnato sé stesso per me».
Da questo momento chi aderisce con fede al Signore Gesù, vive di lui, ed è dichiarato “giusto” agli occhi di Dio. Con i vv. 1-7 del cap. III l’Apostolo affronta con decisione proprio il problema della “giustificazione” e lo fa con un forte rimprovero ai fedeli della Galazia ai quali ha annunciato con tutta efficacia Gesù Cristo crocifisso, autore della giustificazione.
Com’è dunque possibile che essi, dopo aver ascoltato la parola della fede e aver così ricevuto lo Spirito (v. 2), tornino a confidare nel “segno della carne” ovvero alle prescrizioni della Legge?

Lettura del Vangelo secondo Luca (7,36-50)
Il brano può essere così suddiviso: i vv.36-38 ambientano la scena a casa di uno dei farisei dove Gesù è stato invitato a pranzo durante il quale «una donna, una peccatrice di quella città», intollerabile per un fariseo, entra in casa con un vaso di profumo e con esso, compie sui piedi di Gesù, alcuni gesti che dicono con piena evidenza la sua fede e soprattutto il suo amore per lui.
I vv. 39-40 riportano la negativa reazione interiore del fariseo, non certo favorevole nei confronti di Gesù, e le parole dello stesso Signore capace di leggere nel cuore del suo ospite. Segue una breve parabola (vv. 41-43) su due debitori, nei quali è facile scorgere tutti gli uomini in credito davanti a Dio.
Con la sua spiegazione (vv. 44-46) Gesù fa capire al fariseo che, a differenza della peccatrice, non si è voluto aprire con fede entrando in rapporto con lui. Per questo le parole di assoluzione (v. 47) riguardano soltanto la donna peccatrice che «ha molto amato» e lei, a cui viene perdonato “molto” è anche capace, al contrario del fariseo, di amare “molto”.
Il v. 48 certifica il perdono dei peccati accordato da Gesù alla donna come salvezza.
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Va anzitutto considerata la sapiente organizzazione delle letture bibliche di questa e della prossima domenica, che ci permettono di cogliere la continuità nel dispiegarsi nel tempo dell’opera della salvezza ideata nel cuore inaccessibile della Trinità, gradualmente realizzata nella preparazione vetero-testamentaria fino al suo compimento nella persona di Gesù di Nazaret, il Figlio Unigenito di Dio.
Si tratta della continuità salvifica tra il mistero dell’Incarnazione e della Natività del Signore e quello centrale della sua Pasqua di morte e di risurrezione. In particolare il tempo dopo l’Epifania ci ha permesso di vedere nella venuta nel mondo del Figlio di Dio il manifestarsi in lui e grazie a lui del progetto divino di salvezza che riguarda non solo Israele, il popolo della prima alleanza, ma anche l’intera umanità.
Veniamo oggi a comprendere, dall’ascolto delle Scritture, come il Signore Gesù ha manifestato la volontà salvifica di Dio verso tutti gli uomini nel suo “stare a mensa” con i farisei osservanti dalla Legge così come con i peccatori di cui è rappresentante la donna peccatrice. Con questo suo atteggiamento, in verità, Gesù ha mostrato il volto autentico di Dio, che è buono, misericordioso, paziente, accogliente, pronto sempre al perdono più largo e generoso.
Un volto di Dio, questo, già rivelato dai Profeti. Un Dio che conosce fino in fondo il cuore del suo popolo e di ogni uomo e sa che esso è instabile e contraddittorio nei suoi confronti. Non a caso per questo si lamenta: «Il vostro amore è come una nube del mattino, come la rugiada che all’alba svanisce» (Lettura: Osea, 6, 4). L’amore di Dio per il suo popolo invece è stabile e immutabile e si rivela nel sollecitarlo e trafiggerlo con le parole della sua bocca (cfr. v. 5) che proclama: «Voglio l’amore e non il sacrificio, la conoscenza di Dio più degli olocausti» (v. 6).
Queste parole di rivelazione si fanno gesto concreto in Gesù che offre il perdono pieno e senza riserve alla donna peccatrice (Vangelo: Luca 7,47-50) e la trasforma in una donna capace di amare molto, ossia di consegnarsi senza riserve a lui come dimostrano le lacrime che bagnano i piedi del Signore; i baci e l’olio profumato profuso in abbondanza sui suoi piedi.
Gesù, dunque, è la “clemenza” di Dio in persona che chiede a tutti gli uomini, rappresentati dal fariseo che lo ha invitato a pranzo e dalla donna peccatrice, di rivolgersi a lui con l’animo desideroso di accogliere l’amore rigenerante di Dio. La pagina evangelica ci dice che la donna peccatrice si è rivolta a Gesù con quell’atteggiamento a tutti suggerito dal ritornello al Salmo 50(51): «Tu gradisci, o Dio, gli umili di cuore» e riconoscendo lui come sorgente di amore che perdona e ridà vita.
Di questi atteggiamenti si fa interprete il canto all’Ingresso: «Dalla mia angoscia ho invocato il Signore ed egli mi ha ascoltato. Ho gridato dal fondo dell’abisso e tu, o Dio, hai udito la mia voce. So che tu sei un Dio clemente, paziente e misericordioso, e perdoni i nostri peccati». Non così il fariseo, scrupoloso osservante della Legge e dunque chiuso nella convinzione di essere giusto agli occhi di Dio, rendendo così per lui vana la grazia di Dio racchiusa, come avverte l’Apostolo, nel gesto d’amore del Figlio di Dio «che mi ha amato e ha consegnato sé stesso per me» (Epistola: Gàlati 2,20).
Partecipando con fede all’Eucaristia veniamo totalmente immersi nell’amore del Signore che «ha consegnato sé stesso» per tutti noi perché, dall’accoglienza del perdono che scaturisce proprio dalla sua Croce, anche noi veniamo trasformati in gente capace di un amore non passeggero come la «nuvola del mattino», ma di un amore grande come grande è quello che lui, per primo, ci ha donato.
È ciò che chiediamo nell’orazione Dopo la Comunione: «In virtù del sacrificio che abbiamo compiuto, purificaci, o Dio da ogni contaminazione del cuore e donaci desideri giusti perché tu ci possa sempre esaudire».
A. Fusi

venerdì 10 febbraio 2012

651 - NOSTRA SIGNORA DI LOURDES


Maria, tu sei apparsa a Bernardetta nella fenditura di questa roccia.
Nel freddo e nel buio dell’inverno,
hai fatto sentire il calore di una presenza,
la luce e la bellezza.
Nelle ferite e nell’oscurità delle nostre vite,
nelle divisioni del mondo dove il male è potente,
porta speranza
e ridona fiducia!

Tu che sei l’Immacolata Concezione,
vieni in aiuto a noi peccatori.
Donaci l’umiltà della conversione,
il coraggio della penitenza.
Insegnaci a pregare per tutti gli uomini.

Guidaci alle sorgenti della vera Vita.
Fa’ di noi dei pellegrini in cammino dentro la tua Chiesa.
Sazia in noi la fame dell’Eucaristia,
il pane del cammino, il pane della Vita.

In te, o Maria, lo Spirito Santo ha fatto grandi cose:
nella sua potenza, ti ha portato presso il Padre,
nella gloria del tuo Figlio, vivente in eterno.
Guarda con amore di madre
le miserie del nostro corpo e del nostro cuore.
Splendi come stella luminosa per tutti
nel momento della morte.

Con Bernardetta, noi ti preghiamo, o Maria,
con la semplicità dei bambini.
Metti nel nostro animo lo spirito delle Beatitudini.
Allora potremo, fin da quaggiù, conoscere la gioia del Regno
e cantare con te:
Magnificat!

Gloria a te, o Vergine Maria,
beata serva del Signore,
Madre di Dio,
Tempio dello Spirito Santo!

Amen!

domenica 5 febbraio 2012

650 - BENEDITE, GHIACCI E NEVI, IL SIGNORE

Milano, Parco Lambro 4 febbraio 2012
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Benedite, freddo e caldo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, rugiada e brina, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, gelo e freddo, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Benedite, ghiacci e nevi, il Signore,
lodatelo ed esaltatelo nei secoli.
Dn. 3,67 - 71

venerdì 3 febbraio 2012

649 - V DOMENICA DOPO L'EPIFANIA

Il brano evangelico di Matteo 15,21-28 oggi proclamato fa seguito alla discussione sulle tradizioni farisaiche e in particolare sull’insegnamento di Gesù circa ciò che è da considerarsi puro o impuro secondo la Legge (15,10-20). Risulta ambientato fuori Genèsaret, sulla strada verso Tiro e Sidone, due città in territorio fenicio e, dunque, pagano, così com’è pagana la donna cananèa che va incontro a Gesù, sorprendentemente denominato con l’appellativo messianico “figlio di Davide” (v. 22) e al quale chiede pietà per la propria figlia.
La reazione di Gesù è di completa indifferenza, diversamente dai suoi discepoli che lo invitano a intervenire liberandosi così dal suo fastidioso gridare (v. 23). Nella sua risposta Gesù dichiara l’ambito della sua missione messianica: le «pecore perdute della casa di Israele» (v. 24).
I vv. 25-28 riportano il dialogo tra la donna cananèa che manifesta la sua fede con l’avvicinarsi e il prostrarsi davanti a Gesù e questi che ribadisce la destinazione della sua opera di salvezza e di vita, significata dal pane, ai soli membri del popolo d’Israele (cioè i figli) con l’esclusione quindi dei pagani (i cagnolini) (v. 26).
La fede della donna è così forte che dice la sua convinzione che la salvezza, paragonata a un banchetto, è così sovrabbondante che chiunque potrà trarre beneficio, fossero soltanto briciole (v. 27). Gesù non può che prendere atto della fede della donna cananèa ed esaudirla.
A partire dalla solennità del 6 gennaio e per tre domeniche l’ascolto delle Scritture ci ha condotti a penetrare nel grande evento epifanico rappresentato dalla venuta nel mondo di Gesù, il Figlio Unigenito di Dio. Tale ascolto ci ha permesso di comprendere che quella venuta avviene secondo i prestabiliti disegni divini gradualmente rivelati e attuati negli eventi e nei personaggi dell’Antico Testamento.
L’ascolto ci ha dato modo di contemplare in Gesù il Figlio Unico, amato dal Padre, portatore dello Spirito, lo Sposo che unisce a sé la sua Sposa, la Chiesa, alla quale trasmette la sua stessa vita nel banchetto del suo Corpo e del suo Sangue. In questa domenica viene ulteriormente sviluppato il messaggio racchiuso nell’adorazione del Bambino da parte dei Magi, rappresentanti e primizia di tutte le genti che, per la fede, giungono a credere nel Signore Gesù.
L’Epifania apre i nostri cuori a uno scenario davvero esaltante e che fa salire spontanea la lode, l’adorazione e il ringraziamento a Dio che è autore nel Figlio di un disegno mirabile sintetizzato nel ritornello al Salmo 86 (87) oggi proclamato: «Verranno tutti i popoli alla città del Signore». Un simile disegno e progetto è già annunziato dai profeti che parlano dell’accorrere nel Tempio di Gerusalemme, dove Dio «poggia i suoi piedi» (Lettura: Isaia 60, 13-14), di gente prima ostile e nemica.
In ciò è messa in luce l’inesauribile ricchezza e grandezza della salvezza offerta da Dio a tutti indistintamente, sia ai meritevoli della sua ira e della perdizione sia a quelli meritevoli della sua grazia. E questo senza alcuna distinzione di razza, lingua e appartenenza (Epistola: Romani 9, 21-26). Unica condizione richiesta è credere che la salvezza, dono del tutto gratuito della misericordia di Dio, è offerta nella persona di Gesù, il suo Figlio.
La donna cananèa che, pur pagana, dice parole e fa gesti espliciti di chiara fede in Gesù, rappresenta l’avverarsi del volere di Dio che chiama tutti, in Cristo, alla salvezza come partecipazione della sua Vita. Pur non appartenendo al popolo dei “figli”, vale a dire d’Israele, essa riconosce in Gesù il “figlio di Davide”, il Messia portatore di tutti i doni di salvezza e a lui si rivolge con incrollabile fiducia sapendo che, comunque, potrà almeno usufruire di una “briciola” dalla tavola di salvezza da lui imbandita.
Ora questa tavola di salvezza, imbandita per tutte le genti, è efficacemente annunziata nel nostro raduno liturgico e specialmente nel banchetto eucaristico del Corpo e del Sangue del Signore. In esso egli riversa su quanti vi partecipano l’abbondanza senza misura di quei doni salvifici destinati in verità a tutti gli uomini, ai quali Dio ha liberamente deciso di usare misericordia.
Sedendoci alla mensa del banchetto eucaristico teniamo di conseguenza ben viva la consapevolezza che ad esso sono chiamati tutti, a cominciare da quelli che ai nostri occhi possono essere considerati nemici, oppressori (cfr. Lettura, Isaia) o votati alla perdizione (“cani” come la donna cananèa).
Perciò mentre riceviamo la pienezza della salvezza divina domandiamo con umile convinzione che alla verità dello sguardo di Dio «non abbiamo mai ad apparire indegni e ingrati dei benefici» della sua misericordia (cfr. Orazione A Conclusione della Liturgia della Parola) e operiamo concretamente perché la sparsa moltitudine delle genti si raduni per abbellire con la loro presenza il luogo del santuario di Dio che è la Chiesa, Corpo santo del Signore.
(A.Fusi)

mercoledì 1 febbraio 2012

648 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA FEBBRAIO 2012

Generale: Perché tutti i popoli abbiano pieno accesso all'acqua e alle risorse necessarie al sostentamento quotidiano.
Missionaria: Perché il Signore sostenga lo sforzo degli operatori sanitari delle regioni più povere nell'assistenza ai malati e agli anziani.

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Ero malato e mi avete visitato” (Mt 25,36). Queste parole del Signore hanno portato i credenti ad avere una sensibilità particolare per coloro che soffrono a causa di malattie o della vecchiaia, riconoscendo in loro la presenza viva di Cristo. Se nei paesi poveri la vita è difficile per tutti, lo è molto di più per coloro che soffrono il dolore fisico o l’abbandono nell’età avanzata.
Probabilmente ancora più doloroso del dolore fisico è il dolore morale per l'abbandono che vivono molti nostri fratelli. Chi non si è sentito toccato nel suo cuore vedendo in alcuni reportage sul lavoro missionario, le religiose raccogliere esseri umani che giacciono per strada e divorati dalla miseria? Non sono forse loro, e molti altri come loro, una testimonianza vivente di Cristo, il Buon Samaritano?
Corriamo il pericolo di essere contagiati dall’individualismo egoistico che impera ovunque nella nostra società. Ognuno tende a pensare solo a se stesso, sostenendo che la sofferenza degli altri non è un suo problema. Secondo Benedetto XVI, la grandezza dell'umanità si determina essenzialmente nel rapporto con la sofferenza e con colui che soffre, e “questo vale per il singolo come per la società. Una società che non riesce ad accettare i sofferenti e non è capace di contribuire mediante la com-passione a far sì che la sofferenza venga condivisa e portata anche interiormente è una società crudele e disumana" (Spe salvi, 38).
In qualche modo, le persone che si dedicano al compito bello e difficile della cura dei malati e degli anziani sono una sorta di incarnazione di Cristo misericordioso e compassionevole. Costoro estendono nel mondo la Sua tenerezza per i sofferenti. In molti passi dei Vangeli vediamo che il Signore si commosse profondamente dinanzi al dolore degli altri, alla sofferenza fisica o mentale. Ma, ancor di più, Cristo ha preso sulle sue spalle il dolore e le ferite fisiche e morali dell'uomo, di ogni uomo, e le ha portate con Lui sulla croce. Come afferma san Pietro: "Dalle sue piaghe siete stati guariti" (1 Pt 2, 24). Dio manifesta la sua grandezza perché si china fino a prendere su di sé il dolore e la sofferenza degli uomini. Nelle parole del Papa: "Solo un Dio che ci ama fino a prendere su di sé le nostre ferite e il nostro dolore, soprattutto quello innocente, è degno di fede" (Messaggio Urbi et Orbi, Pasqua 2007).
Coloro che sanno prendere sulle proprie spalle il dolore dei malati e degli abbandonati, diventano presenza viva di Cristo, testimoni del suo amore per gli uomini. E insieme alla testimonianza del servizio della carità, i missionari devono svolgere un servizio ancora più grande: aiutare chi soffre a trovare il significato e il perchè del loro dolore. Il Papa ha detto ai giovani che vivono l'esperienza della malattia: “spesso la Croce ci fa paura, perché sembra essere la negazione della vita. In realtà, è il contrario! Essa è il ‘sì’ di Dio all’uomo, l’espressione massima del suo amore e la sorgente da cui sgorga la vita eterna. Infatti, dal cuore di Gesù aperto sulla croce è sgorgata questa vita divina, sempre disponibile per chi accetta di alzare gli occhi verso il Crocifisso" (Messaggio per la Giornata Mondiale della Gioventù 2011, n. 3).
Maria è la Madre del Crocifisso, che stava con speranza e forza nella fede, ai piedi della croce del Figlio. Lei è sempre accanto alla croce e al dolore di tutti i suoi figli, verso i quali esercita la nuova missione materna ricevuta sul Calvario. Come Madre della Speranza ci insegna a trasformare il dolore in gioia senza fine, dal momento che le sofferenze del tempo presente sono niente di fronte alla gloria che un giorno ci sarà svelata.