Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

lunedì 31 ottobre 2011

608 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA NOVEMBRE 2011

Generale: Per le Chiese orientali cattoliche, affinché la loro venerabile tradizione sia conosciuta e stimata quale ricchezza spirituale per tutta la Chiesa.
Missionaria: Perché il continente africano trovi in Cristo la forza di realizzare il cammino di riconciliazione e di giustizia, indicato dal secondo Sinodo dei Vescovi per l'Africa. 
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L'Africa è il continente chiamato dal Papa alla speranza: “Col Cristo Gesù, che ha calpestato il suolo africano, l’Africa può diventare il continente della speranza” (Benedetto XVI, omelia a Yaoundé, 19 marzo 2009). In questa linea, il Santo Padre Benedetto XVI ha esortato i cristiani africani a continuare a sperare contro ogni speranza, nonostante le difficoltà nei settori della politica e della società. Non si possono certo trascurare i problemi reali presenti in questo giovane continente. Ci sono molte situazioni di ingiustizia, povertà, malattia, sfruttamento, intolleranza, violenza e guerra. La speranza cristiana non si basa su un atteggiamento che rifiuta di vedere i problemi o che intende ignorarli. La Chiesa è convinta che deve annunciare Cristo, la Buona Novella del Padre, cosìcché gli uomini possano trovare in Lui la speranza, la riconciliazione e la pace.
Affinché possa esistere lo sviluppo economico, come quello culturale o sociale, è necessario un clima di pace che sappia superare le divisioni e le ferite attraverso la riconciliazione. Cristo crocifisso ci ha riconciliati con Dio, ha distrutto la nostra condanna inchiodandola con Lui sulla croce. Accettando Lui, che è fonte di pace e di giustizia per tutti, costruiamo la riconciliazione. La vera riconciliazione con Dio ha luogo solo quando c'è riconciliazione tra gli uomini.
Il Beato Papa Giovanni Paolo II, nella sua esortazione apostolica post sinodale “Ecclesia in Africa”, ha presentato la Chiesa come “famiglia di Dio”. Il Papa ha riconosciuto come particolarmente adatto per la situazione del continente, questo modello ecclesiale. Ha affermato che “l'immagine pone, in effetti, l'accento sulla premura per l'altro, sulla solidarietà, sul calore delle relazioni, sull'accoglienza, il dialogo e la fiducia. La nuova evangelizzazione tenderà dunque ad edificare la Chiesa come famiglia, escludendo ogni etnocentrismo e ogni particolarismo eccessivo, cercando invece di promuovere la riconciliazione e una vera comunione tra le diverse etnie, favorendo la solidarietà e la condivisione per quanto concerne il personale e le risorse tra le Chiese particolari, senza indebite considerazioni di ordine etnico” (Ecclesia in Africa, n.63).
La Chiesa in Africa deve essere per tutti un luogo di autentica riconciliazione. Così, perdonati e riconciliati tra loro, gli africani potranno portare a tutti il perdono e la riconciliazione che Cristo offre. I fedeli del continente devono essere lievito di riconciliazione che fa fermentare la pasta, per far estendere il Regno di Dio che è giustizia e pace. Ricordino ai loro concittadini, come proposto dai Lineamenta del secondo Sinodo per l'Africa, che gli uomini sono veramente fratelli. In caso contrario, il mondo sembrerà sempre più un campo di battaglia, dove contano solo gli interessi egoistici e dove regna la legge della forza, che allontana l'umanità dalla desiderata civiltà dell'amore.
Papa Giovanni Paolo II ha affidato a Maria il continente africano. Ha chiesto la sua intercessione perchè una nuova Pentecoste abbia luogo sulla Chiesa in Africa. E così, “l'effusione dello Spirito Santo faccia delle culture africane luoghi di comunione nella diversità, trasformando gli abitanti di questo grande continente in figli generosi della Chiesa, che è Famiglia del Padre, Fraternità del Figlio, Immagine della Trinità, germe e inizio in terra di quel Regno eterno che avrà la sua pienezza nella Città il cui costruttore è Dio: Città di giustizia, di amore e di pace.” (Ecclesia in Africa, n.144).

venerdì 28 ottobre 2011

607 - II DOMENICA DOPO LA DEDICAZIONE

Il testo evangelico di Matteo 13,47-52conclude la serie delle parabole del regno dei cieli che occupano l’intero tredicesimo capitolo. Quella oggi proclamata, vale a dire la parabola della rete, occupa i vv. 47-48, ai quali fa seguito la spiegazione ai vv. 49-50. I vv. 51-52 rappresentano la conclusione dell’intero discorso in parabole, che interpella la comprensione dei discepoli (v. 51) ed esorta quanti si mettono alla scuola di Gesù per diventare suoi discepoli a fare come lo scriba capace di attualizzare “oggi” gli insegnamenti del Maestro.
La parabola prende spunto da ciò che avviene nel mestiere dei pescatori dove, una volta tirata a riva la rete precedentemente calata in acqua, si opera una cernita tra i pesci commestibili e quelli che non lo sono sia perché ritenuti cattivi sia perché proibiti dalle prescrizioni della Legge: «Tutto ciò che non ha né pinne né squame nelle acque sarà per voi obrobrioso» (Levitico 11,12).
Proprio questo gesto dei pescatori che separano i pesci buoni da quelli cattivi che stavano insieme nella stessa rete è colto dalla spiegazione della parabola fatta con il ricorso a immagini proprie al genere letterario dell’apocalittica giudaica del tempo di Gesù. Essa allude al giudizio finale «alla fine del mondo», che vede come protagonisti gli angeli, sempre presenti nel linguaggio apocalittico riguardante il giudizio. Esso viene in pratica descritto come una separazione il cui esito qui sembra riguardare soltanto «i cattivi», che sono destinati alla rovina eterna significata nell’immagine della «fornace ardente» e dello «stridore dei denti» (v. 50).
Nella parabola, invece, i pescatori mettono i pesci buoni «nei canestri» (v. 48) che, verosimilmente, rappresentano la sicurezza della salvezza e della felicità eterna per gli uomini giudicati “buoni” perché fedeli a Dio e alla sua Legge, che il Signore Gesù ha tutta racchiusa nella carità. La domanda conclusiva ai discepoli: «Avete compreso tutte queste cose?» (v. 51) riguarda la comprensione dei «misteri del regno» (cfr. Matteo 13,11) ovvero delle «cose nascoste» (13,35) che soltanto chi si fa discepolo può capire.
Questi, come insegna la breve parabola dello «scriba divenuto discepolo del regno dei cieli», è in grado di estrarre dal deposito prezioso che dimora in lui come ascoltatore del Maestro divino «cose nuove e cose antiche» (v. 52), ossia di attualizzare l’insegnamento del Signore nelle mutevoli circostanze dei tempi e dei luoghi. Proclamata nel tempo liturgico segnato dalla contemplazione del mistero della Chiesa, l’odierna pagina evangelica ci dice il carattere universale di essa che, come «la rete gettata nel mare» è destinata ad accogliere in sé tutti gli uomini senza curarsi di emettere su di essi giudizi e “separazioni” preventivi.
Questi, come abbiamo imparato dalla spiegazione della parabola, sono rimandati agli ultimi tempi e sono riservati a Dio stesso. Ora la rete deve essere piena! Del resto già nella pagina profetica di Isaia è annunciato con evidente chiarezza l’universale chiamata dei popoli all’unica salvezza donata dal solo unico Dio: «Non sono forse io il Signore? Fuori di me non c’è altro dio; un dio giusto e salvatore non c’è all’infuori di me» (Lettura: Isaia 45,21). Di qui il pressante invito rivolto da Dio a tutte le genti: «Volgetevi a me e sarete salvi» (v. 22).
Queste parole profetiche si sono realizzate effettivamente nella persona del Signore Gesù che è venuto nel mondo ad abbattere i muri di separazione e a raccogliere l’umanità dispersa in una sola famiglia: quella dei figli di Dio. Ed è ciò che egli continua a fare tramite la Chiesa i singoli fedeli e, dunque, ciascuno di noi, esortati dall’Apostolo a rimanere «saldi nel Signore» (Epistola: Filippesi 4,1) e a rifuggire da sentimenti e da atteggiamenti propri a quanti «si comportano da nemici della croce di Cristo… e si vantano di ciò di cui dovrebbero vergognarsi e non pensano che alle cose della terra» (Filippesi 3,18.19) incuranti del Regno e della salvezza. In questo caso, nell’ora del giudizio, come i pesci ritenuti “cattivi”, saremo “gettati via” (Matteo 13,48) ovvero andremo incontro “alla perdizione” (Filippesi 3,19).
Per questo così preghiamo nell’orazione All’Inizio dell’Assemblea liturgica: «Abbi misericordia, o Dio, dei tuoi servi ed effondi su noi la varietà dei tuoi doni; tieni viva e ardente nel nostro cuore la fiamma delle fede, della speranza, della carità, perché ci sia dato di perseverare con vigile impegno nell’osservanza della tua legge» che è l’amore che ha fatto della Chiesa il segno visibile della partecipazione delle genti alla salvezza in Cristo Signore.
A. Fusi

mercoledì 26 ottobre 2011

606 - NON TEMERE

sabato 22 ottobre 2011

605 - TESTIMONIANZA DALLA TANZANIA

Un pomeriggio, insieme a due compagne, anche loro appena maggiorenni, ho capito quanto poco sapessi del mondo, quando ci fosse da conoscere, da vedere, ma soprattutto, ora, posso dire da comprendere: così è cominciato il nostro safari in Africa. Siamo partite come volontarie, per stare un mese al Villaggio della Gioia, al “kijiji cha furaha”, situato alla periferia di Dar Es Salaam, di fronte all’isola di Zanzibar. La grande piaga della Tanzanìa è il virus dell’Aids/Hiv, che ogni anno strappa alla vita migliaia di africani e lascia altrettanti bambini orfani, abbandonati a soccombere in un’indicibile miseria. Ebbene, padre Fulgenzio Cortesi, sacerdote passionista, ha fondato qui una piccola oasi felice, che ogni anno, grazie all’aiuto di tanti volontari cresce sempre di più, e oggi accoglie centinaia di bambini offrendo loro la speranza di un futuro migliore grazie all’amore e all’istruzione che ricevono.Il villaggio della Gioia è nato come casa famiglia, e a occuparsi dei bambini, oltre al “Baba”- papà in swahili- soprannominato così padre Fulgenzio, vi sono le mamme degli orfani, un nuovo ordine di suore fondato dallo stesso Cortesi, e le “Aunty”, così chiamate delle giovani signore africane che sono un po’ le “tate” di tutti questi bimbi!Tutti i “figli” di padre Fulgenzio frequentano la scuola inglese del villaggio, e vi è l’idea di fondare delle scuole professionali che accompagnino gli studenti anche negli studi universitari. Sappiamo, infatti, che il grande sogno del Baba è che un giorno, uno di questi bambini possa diventare il presidente della Tanzanìa, realizzando per tutto il paese, la piccola-grande opera del kijiji cha Furaha!Tornando al nostro volontariato:cosa facevano dei giovani del ricco occidente nel cuore dell’Africa nera? Nulla di straordinario,nulla che non potesse essere sopportato senza un grande sorriso. Ogni cosa per noi era una novità,con i suoi pro e i suoi contro: ma l’entusiasmo e la gioia che ci hanno travolto, sin dal primo momento vissuto in Terra Africana, ci hanno dato la forza di vivere in pieno quest’esperienza, assaporando una felicità per noi del tutto nuova. Ci svegliavamo all’alba, lavoravamo nei campi, tagliavamo la legna,andavamo a prendere l’acqua al pozzo, ma tutto “pole pole”- piano piano e “hakuna matata”- nessun problema, queste cose ci ripeteva la gente del posto sempre sorridente. Ecco, la cosa più straordinaria dell’ Africa, che più ci ha colpito e ha lasciato un segno indelebile nel nostro cuore e nella nostra memoria, è il sorriso meraviglioso di quelle persone spensierate, sempre allegre, appagate. Il sorriso di quei bambini, perle dell’ Africa nera. Al contrario di noi, che vivendo nel lusso del primo mondo, ignari di cosa sia veramente la miseria, desiderando sempre di più, non sapendo cosa voglia dire accontentarsi, camminiamo imbronciati per le nostre strade, nemmeno immaginando quanto valore possa avere un semplice sorriso. E tornate in Italia, abbiamo conosciuto il mal d’Africa, come dice P. Rumiz, tratto da “ Il bene ostinato” : “Persino la casa di famiglia non era più quella di prima:gli spazi sembravano compressi;la gente per strada musona.Venivamo da un mondo di poverissimi col sorriso, ci ritrovammo di colpo in una civiltà di ricchi depressi. Un paese di matti, cupi, frettolosi, tremendamente soli e con pochi bambini accanto. Ma la cosa che più mi impressionò di più furono le carrozzine, aggeggi costosissimi costruiti al solo scopo di tenere il bambino lontano dalla mamma...." .
Posso dire che il villaggio della gioia è davvero un’oasi felice, non solo per quei bambini, ma anche, e soprattutto, per tutti coloro che hanno voglia di riflettere, di mettersi in gioco e di trovare la felicità.
Abbiamo trovato un meraviglioso gruppo di tanti giovani entusiasti,tutti italiani, perché all’estero è ancora poco conosciuto questo onlus. Ma c’erano volontari di tutte le età, addirittura una coppia volenterosissima di 72 anni e lavori per tutti!
Abbiamo vissuto per un mese come una grande famiglia, ma avendo anche il tempo per ritagliarci il nostro spazio e organizzare bellissime gite, che per quanto brevi, senz’altro spettacolari!
Nei giorni trascorsi in Africa abbiamo imparato a riflettere, a osservare e a non giudicare, a confrontarci con una cultura molto diversa dalla nostra, assaporandola nel massimo rispetto. Abbiamo toccato con mano cosa significa essere poveri e non avere quei beni che riteniamo essenziali: a partire dalla mancanza dell’acqua, della corrente elettrica, accontentandoci di cibo frugale, fino ai semplici vizi, e proprio nella mancanza di questi ultimi, ci siamo rese conto con quanta leggerezza e superficialità, soddisfiamo di solito i nostri sfizi.
A noi è servito attraversare l’oceano, essere catapultate in una drammatica realtà, per comprendere a fondo che i confini del mondo non sono quelli della nostra quotidianità, che basta poco per fare del bene e donare felicità. Spero che con la nostra vivida testimonianza, possiate anche voi godere in parte di ciò che ci ha donato questa meravigliosa esperienza.
Invito tutti a riflettere anche su queste parole, che ho letto sulla porta del “nostro” villaggio:
Conoscono la verità ma essa è sepolta sotto uno strato aromatico di materialismo, interesse, insicurezza e paura.Possiedono inoltre una cosa chiamata glassa.Ciò sembrerebbe indicare che sprecano quasi tutta la vita assaggiando esperienze superficiali, artificiali ed effimere, inseguendo progetti dall'aspetto gradevole e dedicando pochissimi secondi dell'esistenza allo sviluppo del loro essere eterno.Non giudichiamo i Mutanti. Preghiamo per loro.Preghiamo perché esaminino con attenzione le loro azioni e i loro valori, e imparino, prima che sia troppo tardi, che tutte le esistenze sono una soltanto. Preghiamo perché smettano di distruggere la terra e di distruggersi fra loro. Preghiamo perché ci siano abbastanza Mutanti prossimi a manifestarsi per cambiare le cose…..". Anziano Cigno Reale Nero
Per saperne di più : www.ilvillaggiodellagioia.it
(Liyenne)

venerdì 21 ottobre 2011

604 - LA DOMENICA DEL “MANDATO MISSIONARIO”

È il titolo con cui il Lezionario ambrosiano contraddistingue questa domenica che ha il compito di mettere in luce ciò che la Chiesa è chiamata essenzialmente a fare: predicare a tutti il Vangelo di salvezza.
Le lezioni bibliche oggi proposte sono: Lettura: Atti degli Apostoli 10,34-48a; Salmo 95; Epistola: 1 Corinzi 1,17b-24; Vangelo: Luca 24,44-49a. Nella messa vigiliare del sabato viene proclamato Giovanni 21,1-14 quale Vangelo della Risurrezione.
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I versetti evangelici oggi proclamati (Lc. 24,44 -49a) sono ambientati negli avvenimenti successivi ai fatti centrali della morte e della risurrezione del Signore e, in particolare, fanno parte del più ampio racconto dell’ultima apparizione del Signore risorto ai suoi discepoli (Luca 24,36-49). Ad essi seguono immediatamente i versetti relativi all’ascensione di Gesù al Cielo.
Nella sua apparizione tra i suoi il Signore non solo fa constatare ai discepoli che colui che sta loro davanti è proprio il loro maestro crocifisso, ma addirittura mangia con loro del «pesce arrostito» (Luca 24,42).
Sono due gesti che intendono preparare i discepoli a diventare «testimoni» autorevoli di ciò che hanno udito e visto e che introducono efficacemente gli ultimi «insegnamenti» impartiti dal Signore risorto. Essi riguardano anzitutto il significato autentico dei ripetuti annunci a essi fatti e riguardanti essenzialmente la sofferenza e la morte a cui dovrà andare incontro come adempimento di «tutte le cose scritte su di me nella Legge di Mosè, nei Profeti e nei Salmi» (v. 44).
Con queste parole il Signore dice ai suoi discepoli, e soprattutto a quelli che crederanno in lui lungo i secoli, che nelle Scritture potranno sempre rintracciare l’annunzio profetico del Cristo e, dunque, di Gesù e di ciò che a lui sarebbe accaduto.
È la familiarità con le divine Scritture a farci scorgere in esse essenzialmente una “profezia” del Signore Gesù, ma a nulla varrebbe scrutare le pagine bibliche e studiarle a fondo se il Signore non “apre” a noi, come già ai discepoli, «la mente per comprendere le Scritture» (v. 45). Solo così sarà possibile comprendere fino in fondo il significato e la portata di ciò che la Scrittura annuncia: «Il Cristo patirà e risorgerà dai morti il terzo giorno» (v. 46), che si è effettivamente verificato nella morte e nella risurrezione del Signore.
Questi fatti, dunque, rientrano in un disegno divino di salvezza profeticamente annunciato nella Legge e nei Profeti e di fatto avverato negli eventi pasquali del Signore crocifisso e risorto. Contenendo questi eventi il disegno salvifico e l’effettiva salvezza, si comprende come questi dovranno essere «predicati a tutti i popoli», compreso il popolo della prima Alleanza rappresentato dalla città di Gerusalemme mediante l’intrinseco appello alla “conversione” della mente e della condotta al fine di ottenere «il perdono dei peccati» (v. 47). Espressione, questa, che sintetizza il frutto di quegli avvenimenti salvifici.
Seguono al v. 48 le solenni parole rivolte ai discepoli: «Di questo voi siete testimoni». Essi infatti hanno visto, udito e compreso tutte le cose “scritte” su Gesù ed effettivamente “avvenute” in lui. Sono perciò “testimoni” affidabili e autorevoli nella predicazione di quelle “cose” a tutti i popoli resi tali dal fatto che il Risorto, prima di congedarsi dai suoi, manda su di essi «colui che il Padre mio ha promesso», vale a dire lo Spirito Santo (v. 49a), che terrà sempre viva in essi la sua Parola e i suoi gesti portatori di salvezza.
Il testo evangelico fornisce così tutti gli elementi indispensabili perché la Chiesa, di cui domenica scorsa abbiamo celebrato il mistero nel segno visibile del nostro Duomo, obbedisca fedelmente al mandato missionario che il Signore Gesù, tramite gli Apostoli, le ha affidato e che è stato espresso nel ritornello al Salmo: «Annunciate a tutti i popoli le opere di Dio».
Per questo la Chiesa dovrà sempre stare alla “scuola della Parola” per interiorizzare nell’illuminazione dello Spirito Santo quanto essa annunzia e rivela circa la salvezza universale che è in Cristo crocifisso e risorto. L’annunzio missionario universale ha come un cuore: «Cristo crocifisso» (Epistola : 1Corinzi 1,23). Ciò non deve sorprendere e impaurire la Chiesa ma, convinta che «è piaciuto a Dio salvare i credenti con la stoltezza della predicazione» (v. 21) predichi la «parola della croce» (v. 18) nella quale si dispiega la sapienza e l’irresistibile potenza divina di salvezza. Il continuo contatto con la Parola e l’esperienza del “mangiare” con il Signore, vale a dire, l’Eucaristia memoriale ripresentativo della sua morte e risurrezione, fa della Chiesa e dei fedeli “testimoni” veritieri di ciò che annunziano «a tutti i popoli» (Luca 24,47) senza preclusioni di sorta. Ciò che ha cominciato a fare, superata qualche incertezza, la Chiesa delle origini come leggiamo nella Lettura a proposito dell’esperienza missionaria dell’Apostolo Pietro: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a qualunque nazione appartenga» (Atti degli Apostoli 10,34-35). Il Prefazio svela e proclama l’eccezionale intento che soggiace a tutto ciò: «Il Signore Gesù da tutte le genti trasse un’unica Chiesa e a lei misticamente si unì con amore sponsale», avvertendo inoltre che «questo mistero mirabile, raffigurato nel corpo di Cristo, in questa celebrazione efficacemente si avvera».
(A. Fusi)

martedì 18 ottobre 2011

603 - PADRE TENTORIO MARTIRE DELLA GIUSTIZIA

Grave lutto per il PIME, che piange un altro suo missionario a Mindanao. Questa mattina, nell'isola del Sud delle Filippine, è stato ucciso padre Fausto Tentorio, 59 anni, originario del lecchese.
Questa sera, alle 20.30, padre Fausto verrà ricordato nella parrocchia di Santa Maria Hoè (Lecco) con la recita del Rosario e la santa Messa.
«Padre Fausto - si legge sul blog dei missionari del Pime delle Filippine - è stato assassinato davanti alla sua parrocchia di Arakan, North Cotabato, Mindanao. Verso le 8 stava salendo sulla sua auto per recarsi a Kidapawan, 60 km dalla missione, per un incontro diocesano, quando un killer con casco in motocicletta si è avvicinato e gli sparato diversi colpi».
Da oltre 32 anni padre Fausto lavorava a stretto contatto con gli indigeni del luogo, i Manobos, nella formazione e organizzazione delle loro piccole comunità montane. Ma questo impegno voleva dire anche affrontare forze molto potenti, interessate a spazzare via gli indigeni dalle loro terre. Alcuni anni fa, padre Tentorio era già sfuggito alle minacce di un gruppo armato, grazie alla protezione degli stessi indigeni. Stamattina, invece, gli assassini hanno portato a termine l'orribile crimine. 

Padre Fausto era nato il 7 gennaio 1952 a Santa Maria di Rovagnate e cresciuto in Santa Maria Hoe', Lecco. Ordinato nel 1977 era partito per le Filippine l'anno seguente. Prima della missione in Arakan aveva lavorato in quella di Columbio, Sultan Kudarat, abitata da cristiani, musulmani e indigeni B'lang.
La morte di padre Tentorio è un nuovo capitolo in quel volto del martirio che da tanti anni ormai contraddistingue la presenza del Pime a Mindanao. Prima di lui qui hanno donato la loro vita per il Vangelo già altri due missionari del Pime: padre Tullio Favali, ucciso nel 1985, e padre Salvatore Carzedda, ucciso nel 1992. Altri due missionari del Pime, in anni ancora più recenti, hanno subito un rapimento: padre Luciano Benedetti nel 1998 e padre Giancarlo Bossi nel 2007. Padre Tentorio stesso era già sfuggito a un agguato nel 2003.
Come la morte di padre Favali, quella di padre Tentorio non è legata al fondamentalismo islamico, ma alla difesa delle popolazioni indigene di Mindanao. L'isola del Sud delle Filippine è infatti un microcosmo dei drammi che attraversano il pianeta. «Padre Fausto - racconta padre Luciano Benedetti, anche lui missionario del Pime nelle Filippine da poco rientrato in Italia - era minacciato da tempo per il lavoro che svolgeva da tempo nella difesa delle terre dei manobo. Terre che fanno gola in una zona ricca di risorese minerarie. Già otto anni fa, protetto dalle. popolazione locali, si era salvato solo stando nascosto mezza giornata in un armadio. E ancora due anni fa era stato fatto oggetto di nuove minacce».

giovedì 13 ottobre 2011

602 - LA DOMENICA DELLA DEDICAZIONE DEL DUOMO, CHIESA MADRE DI TUTTI I FEDELI AMBROSIANI

Fa memoria, ogni anno, delle varie dedicazioni succedutesi nei secoli del Duomo di Milano che è la Chiesa Cattedrale per i fedeli della diocesi ambrosiana e Chiesa madre per tutti i fedeli che, pur appartenendo ad altre diocesi, seguono per antica consuetudine la Liturgia ambrosiana Questa domenica inaugura, nel più ampio contesto del Tempo “dopo Pentecoste”, una serie si domeniche e settimane dette “dopo la dedicazione” destinate a concludere l’Anno liturgico con la solennità di Cristo Re dell’universo.
Il Lezionario prevede i seguenti brani biblici: Lettura: Baruc 3,24-38 oppure Apocalisse 1,10;21,2-5; Salmo 86; Epistola: 2 Timoteo 2,19-22; Vangelo: Matteo 21.10-18.
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L’odierno brano evangelico si presenta composto dai versetti conclusivi (10-11) del racconto fatto dall’evangelista Matteo dell’ingresso “messianico” di Gesù in Gerusalemme e da quelli riguardanti la “purificazione” del Tempio (vv. 12-17). In particolare nei versetti 10-11 leggiamo la reazione all’ingresso trionfale in Gerusalemme di “tutta la città” e dunque dei suoi abitanti che si pongono la domanda: «Chi è costui?» (v. 10) alla quale risponde la folla che lo aveva accompagnato nel cammino di avvicinamento e di ingresso in città: «Questi è il profeta Gesù, da Nàzaret di Galilea», alludendo forse alla realizzazione della promessa fatta da Dio a Israele di mandare “un profeta” pari a Mosè (Deuteronomio 18,15).
Gesù, dunque, fa il suo ingresso nel Tempio e, proprio nella sua veste di Profeta, ovvero di Messia, compie il gesto sorprendentemente violento descritto al v. 12 cacciando fuori «tutti quelli che nel tempio vendevano e compravano» dando spiegazione del suo gesto con il ricorso ad alcuni passi della Scrittura come Isaia 56,7: «La mia casa sarà chiamata casa di preghiera» e Geremia 7,11 che aveva parlato già del Tempio ridotto «a un covo di ladri».Il v. 14 registra un altro gesto rivelatore della messianicità di Gesù: «Gli si avvicinarono nel tempio ciechi e storpi, ed egli li guarì».La novità non è certo nelle guarigioni, da sempre operate da Gesù, ma nel luogo dove queste ora si compiono: nel Tempio.
Tutto ciò sembra entrare in contrasto con le disposizioni fatte risalire al re Davide che vietavano proprio al “cieco” e allo “zoppo” di entrare nella casa del Signore (cfr. 2 Samuele 5,8). Possiamo dire al riguardo che in Gesù viene abbattuta ogni barriera, ogni ostacolo per accedere a Dio. Con i malati anche i pagani non potevano accedere al Tempio. Con il suo gesto Gesù ci rivela che in lui, Tempio di Dio non costruito dalla mano dell’uomo, tutti senza eccezione, a cominciare dai malati nel corpo e nello spirito, possono trovare “guarigione” e salvezza e in lui, vera Casa di Dio, far salire la loro preghiera fino al suo trono. Il v. 15 riporta la reazione ostile dei «capi dei sacerdoti e gli scribi» suscitata, si badi bene, dalle “meraviglie” compiute da Gesù.
Come capi e guide del popolo, esperti dottori della Legge e dei Profeti, avrebbero almeno dovuto porsi degli interrogativi come quello iniziale degli abitanti di Gerusalemme: «Chi è costui?» (v. 10) che fa cose che la Scrittura attribuisce all’Inviato di Dio. La loro indignazione riguarda specialmente l’acclamazione entusiastica rivolta dai “fanciulli” a Gesù proprio nel Tempio: «Osanna al figlio di Davide».Capi dei sacerdoti e scribi sanno molto bene che si tratta di un’acclamazione che riconosce in Gesù il compimento della regalità senza fine fatta da Dio a Davide e alla sua discendenza.
Gesù quindi quale Re-Messia! A essi, ancora una volta, Gesù risponde con la citazione scritturistica del Salmo 8,3: «Con la bocca di bambini e di lattanti: hai posto una difesa contro i tuoi avversari, per ridurre al silenzio nemici e ribelli».Il brano si chiude al v. 17 con l’“uscita” di Gesù da Gerusalemme. Egli si reca a Betania, verosimilmente a casa di Maria, Marta e Lazzaro. Nella città santa aveva trovato gente pronta a riconoscerlo come il Messia di Dio: le folle, i malati, i bambini così come gente perplessa davanti a lui, come gli abitanti di Gerusalemme, o addirittura ostili come i capi dei sacerdoti e gli scribi. Ostilità che preannunzia come Gesù, il Messia, avrebbe operato la salvezza e la “guarigione” del mondo come “servo sofferente” del Signore.
Proclamato in questa domenica della dedicazione del Duomo il testo evangelico ci dice di andare oltre ciò che i nostri occhi vedono per scorgere nella grande, meravigliosa costruzione il “mistero” che esso racchiude ed esprime. Il “mistero” di Cristo quale nuovo e definitivo Tempio e Casa di Dio e il “mistero” della Chiesa che in esso si raduna. Il Duomo ci dice che in Cristo e da Cristo che associa a sé la sua Chiesa salgono a Dio le preghiere e le suppliche per il popolo santo dei fedeli ma anche per l’intera umanità. Il Duomo ci dice che in Cristo tutti trovano accesso a Dio senza distinzioni o preclusioni di sorta. In esso è offerto a Dio il culto spirituale che dà a Dio la lode a lui gradita e che ottiene da lui salvezza e “guarigione” per il mondo intero.
Il Duomo ci dice che il popolo che in esso si raduna è segno del raduno di tutte le genti in Cristo che è in verità la «grande casa di Dio» (Lettura: Baruc 3,24), la “sapienza” vivente di Dio che «è apparsa sulla terra e ha vissuto fra gli uomini» (v. 38) per rivelare e attuare il mirabile disegno divino di universale salvezza. Il Duomo con la sua mole possente ci dice che la Chiesa è stata fondata da Dio su solide fondamenta (cfr. Epistola: 2 Timoteo 2,19) vale a dire sul sacrificio pasquale del suo Figlio e con le meraviglie che esso racchiude ci esorta a essere tutti «come un vaso nobile, santificato, utile al padrone di casa, pronto per ogni opera buona» (v. 21), lontani ed estranei, perciò, ad ogni “iniquità” (v. 19) ma dediti alla «giustizia, la fede, la carità e la pace, insieme a quelli che invocano il Signore con cuore puro» (v. 22). In adorazione davanti alla “sapienza” divina che ha voluto porre la sua dimora tra gli uomini nella persona stessa del suo Figlio Gesù attivo e presente nella Chiesa, suo Corpo, sua Sposa, contempliamo nel Duomo, nostra Chiesa madre, il “mistero” che tutti ci coinvolge quello di formare, ognuno per la nostra parte, la Casa di Dio tra gli uomini.
Ci viene incontro, per questo, la preghiera liturgica espressa nel Prefazio:«Il Signore Gesù ha reso partecipe la sua Chiesa della sovranità sul mondo che tu gli hai donato e l’ha elevata alla dignità di sposa e di regina. Alla sua arcana grandezza si inchina l’universo perché ogni suo giudizio terreno è confermato nel cielo. La Chiesa è la madre di tutti i viventi, sempre più gloriosa di figli generati ogni giorno a te, o Padre, per virtù dello Spirito Santo. È la vite feconda che in tutta la terra prolunga i suoi tralci e, appoggiata all’albero della croce, si innalza al tuo regno. È la città posta sulla cima dei monti, splendida agli occhi di tutti, dove per sempre vive il suo Fondatore».
(A. Fusi)

martedì 11 ottobre 2011

601 - PREGHIERE DI FATIMA


PREGHIERE DELL’ ANGELO
«Mio Dio, io credo, adoro, spero e Ti amo. Ti chiedo perdono per quelli che non credono, non adorano, non sperano e non Ti amano».
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«Santissima Trinità, Padre e Figlio e Spirito Santo, io Ti adoro profondamente e Ti offro il Preziosissimo Corpo, Sangue, Anima e Divinità di nostro Signore Gesù Cristo, presente in tutti i Tabernacoli dei mondo, in riparazione degli oltraggi, sacrilegi ed indifferenze con cui Egli stesso è offeso. E per i meriti infiniti dei Suo Cuore Santissimo e dei Cuore Immacolato di Maria, Ti domando la conversione dei poveri peccatori».
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PREGHIERE DELLA MADONNA
Suor Lucia nella 4ª Memoria scrive, come la Madonna il 13 luglio dei 1917 abbia raccomandato:
«Sacrificatevi per i peccatori e dite molte volte, specialmente ogni volta che fate qualche sacrificio: o Gesu, è per Vostro amore, per la conversione dei peccatori e in riparazione dei peccati commessi contro il Cuore Immacolato di Maria!»
Nella stessa apparizione la Madonna disse:
«Quando recitate la corona dei rosario, dite dopo ogni decina: Gesù mio, perdona le nostre colpe, preservaci dai fuoco dell´inferno, porta in cielo tutte le anime, specialmente le più bisognose della Tua misericordia»
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CONSACRAZIONE AL CUORE IMMACOLATO DI MARIA
Vergine Maria, Madre di Dio e Madre nostra, ai Tuo Cuore Immacolato noi ci consacriamo, in atto di totale abbandono ai Signore.
Da Te saremo condotti a Cristo. Da Lui e con Lui saremo condotti ai Padre.
Cammineremo alla luce della fede e tutto faremo perché il mondo creda che Gesù Cristo è l’inviato dal Padre.
Con Lui noi vogliamo portare l´Amore e la Salvezza fino ai confini del mondo.
Sotto la protezione dei Tuo Cuore Immacolato, saremo un solo Popolo con Cristo. Saremo testimoni della Sua risurrezione. Da Lui saremo condotti al Padre, a gloria della Santissima Trinità, che adoriamo, lodiamo e benediciamo.
Amen. 

600 - FATIMA 13 OTTOBRE


Cappella delle apparizioni – è il vero cuore del santuario. Fu la prima costruzione fatta nella Cova da Iria, sul luogo delle apparizioni della Madonna. Il posto esatto è indicato da una colonna di marmo sulla quale è posta l’immagine della Madonna. Qui convergono i quattro milioni di pellegrini che annualmente visitano il Santuario. La prima Messa è stata celebrata il 13 ottobre 1921.


Basilica – iniziata nel 1928 e consacrata il 7 ottobre 1953. i 15 altari laterali sono dedicati ai 15 misteri del Rosario. Nella navata si trovano le statue dei grandi apostoli del Rosario e della devozione al Cuore Immacolato di Maria: Sant’Antonio Maria Claret, San Domenico di Guzman, San Giovanni Eudes, e santo Stefano di Ungheria. La Basilica custodisce le tombe dei veggenti Francesco e Giacinta e Lucia.

Il quadro dell’altar maggiore rappresenta il messaggio della Madonna ai veggenti, preparati dall’Angelo del Portogallo attraverso il loro incontro con Cristo nell’Eucarestia. Si vede il Vescovo della Diocesi in ginocchio al lato sinistro e le figure di Pio XII (che consacrò il nondo al Cuore immacolato di Maria nel 1942), di Giovanni XXIII e di Paolo VI.

domenica 9 ottobre 2011

599 - HO PAURA DI DIRE DI SÌ

Ho paura di dire di si, o Signore. Dove mi condurrai?
Ho paura di avventurarmi, di firmare in bianco,
ho paura del sì che reclama altri sì.
Eppure non sono in pace: mi insegui, o Signore,
sei in agguato da ogni parte.
Cerco il rumore perché temo di sentirti,
ma ti infiltri in un silenzio.
Signore, mi hai afferrato e non ho potuto resisterti.
Sono corso a lungo, ma tu mi inseguivi.
Mi hai raggiunto.Mi sono dibattuto, hai vinto.
I miei dubbi sono spazzati, i miei timori svaniscono.
Perché Ti ho riconosciuto senza vederTi,
Ti ho sentito senza toccarTi,
ti ho compreso senza udirTi.
(Michel Quoist)

venerdì 7 ottobre 2011

598 - LA SESTA DOMENICA “DOPO IL MARTIRIO” DEL PRECURSORE

Ha il compito nella serie delle domeniche dopo il martirio del Battista di testimoniare con l’annuncio della Parola e la celebrazione della Pasqua del Signore qual è la fisionomia della Chiesa: una Comunità di discepoli del Signore. Il Lezionario riporta i seguenti brani della Scrittura: Lettura: Giobbe 1,13-21; Salmo 16; Epistola: 2 Timoteo 2,6-15; Vangelo: Luca 17,7-10.
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Il breve brano di Luca 17,7-10 che viene oggi proclamato fa parte di una serie di insegnamenti impartiti da Gesù ai suoi discepoli (Luca 17,1-10) allo scopo di far comprendere loro ciò che in effetti comporta l’essere discepolo: evitare lo scandalo dei piccoli, ovvero degli ultimi della Comunità (vv. 1-2); la piena disponibilità al perdono vicendevole (vv. 3-4) e la necessità di aver fede (vv. 5-6).I versetti oggi letti, prendendo lo spunto dalla realtà sociale del tempo in cui era praticata la schiavitù insegnano, a quanti seguono il Signore, a non pensare di poter vantare qualche pretesa davanti a lui per il fatto di essere suoi discepoli: non hanno compiuto altro che il loro dovere!
Per questo viene messo in campo il rapporto padrone/servo (=schiavo) abituale nell’antichità. Un rapporto dove il servo adibito per i lavori agricoli e per la cura del gregge non pensa neppure di avere diritto di sedersi a mensa per sfamarsi ma, al contrario, sa che la sua dura condizione di schiavitù, che lo relega nell’infimo gradino della scala sociale, lo obbliga a prendersi cura del suo padrone servendolo a tavola (v. 8).
Le parole del Signore diventano ancora più dure nel sottolineare come il padrone non è nemmeno sfiorato dall’idea di esprimere in qualche modo la sua «gratitudine verso quel servo». Egli ha solo «eseguito gli ordini ricevuti» (v. 10).
La parola conclusiva del Signore diretta ai suoi discepoli, se possibile, è ancora più difficile da capire e da accettare: dopo aver fedelmente ottemperato ai suoi insegnamenti i discepoli devono ritenersi semplicemente «servi inutili», gente facilmente sostituibile, quasi dei “buoni a nulla” (v. 10). Si tratta di una lezione quasi scoraggiante che Gesù rivolge ai suoi discepoli di un tempo e dunque anche a noi.
Letta e ascoltata nel tempo liturgico che prende avvio dal martirio del Battista e che sfocia nella grande domenica, quella prossima, della Dedicazione del Duomo, Chiesa madre per tutti i fedeli ambrosiani, vuole far comprendere con estrema chiarezza a tutti noi come si sta nella Chiesa, nella compagnia di Gesù che ha per regola unica la carità messa in luce domenica scorsa.
Ci viene detto che, nella Chiesa, tutti siamo “servi” e per di più non indispensabili. D’altra parte il Signore stesso è venuto dal Cielo come “servo” e ha portato a compimento l’antica profezia del “servo di Dio” umiliato e messo a morte.
È la via obbligata per i discepoli, che sopprime nei nostri cuori la smania del potere, del successo, della presunzione, del dominio che rallenta non poco il nostro passo sulle vie del Vangelo da annunziare e da testimoniare al mondo.
È la via dello svuotamento di sé e della consegna totale alla volontà di Dio sulla quale ci ha preceduto il santo Giobbe che, spogliato di tutto, compreso l’affetto dei figli, esclama: «Nudo uscii dal grembo di mia madre, e nudo vi ritornerò. Il Signore ha dato, il Signore ha tolto, sia benedetto il nome del Signore!» (Lettura: Giobbe 1,21).
Non diversamente l’apostolo Paolo, che a causa del Vangelo soffre «fino a portare le catene come un malfattore» (Epistola: 2 Timoteo 2,9) che «sopporta ogni cosa per quelli che Dio ha scelto» (v. 10) pronto a morire con il Signore e a dare la vita per lui. Egli non reclama per sé onori e ricompense, ma insegna al suo discepolo a fare come lui ha fatto: «Sforzati di presentarti a Dio come una persona degna, un lavoratore che non deve vergognarsi e che dispensa rettamente la parola della verità» (v. 15).
A questa scuola occorre mettersi come discepoli del Signore, ma soprattutto come sua Comunità, sua Chiesa, consapevoli che si tratta di abbandonare vie e pensieri umani per mettersi sulle vie di Dio. Cosa questa che ottiene chi si affida a lui nella preghiera come l’antico orante: «Tendi a me l’orecchio, (o Dio) ascolta le mie parole, mostrami i prodigi della tua misericordia» (Salmo 16) e quanti aprono il loro cuore per assumere gli stessi sentimenti e gli stessi atteggiamenti del Signore Gesù, “il servo di Dio”, resi al vivo nella celebrazione dei divini misteri.
A. Fusi

martedì 4 ottobre 2011

597 - TUTTO E SUBITO