Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

mercoledì 12 gennaio 2011

485 - A UN ANNO DAL TERREMOTO DI HAITI

«LA MIA VITA NUOVA NELL'HAITI DEL TERREMOTO

È partito per la missione a 70 anni, e ad accoglierlo ha trovato subito il terremoto. E poi la ricostruzione che non c'è, il colera, i disordini. Ma padre Thomas Moore continua a vedere i segni della speranza

«La domanda non è "Padre, lei come fa a mantenere un senso di ottimismo e di speranza in una situazione in cui sono successe tali terribili cose?", ma è "come fanno loro?". Perché per la gente di Haiti la vita, semplicemente, continua. Gente magnifica e, a mio giudizio, invincibile. Il numero dei morti dall'inizio dell'anno è impressionante - 230mila per il terremoto, più quelli per l'uragano e ora quelli per il colera - tuttavia non sono riportati casi di suicidio. Sarebbe interessante fare un paragone con i suicidi negli Stati Uniti solo nelle ultime settimane. Forse è San Paolo che può aiutare a capire, in questo passo della Lettera ai Romani: "Noi ci vantiamo anche nelle tribolazioni, ben sapendo che la tribolazione produce pazienza, la pazienza una virtù provata e la virtù provata la speranza. La speranza poi non delude, perché l'amore di Dio è stato riversato nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo che ci è stato dato"».

Così scriveva il 28 novembre padre Thomas Moore nel suo blog. Piccolo rifugio nei ritagli di tempo, quando c'è la corrente, e mezzo per far conoscere la vita sull'isola e ai parenti e amici lasciati negli Usa.

Padre Tom è un religioso della provincia di Detroit-Toledo degli Oblati di San Francesco di Sales. Avrebbe potuto finire tranquillamente in patria il suo ministero sacerdotale. Due anni fa, alla veneranda età di 70 anni, ha invece chiesto di essere mandato ad Haiti per dare una mano nel nuovo noviziato dell'isola. «Per un'ispirazione divina», dice. Un paio di giorni dopo il terremoto, con la casa crollata, due religiosi morti e altri feriti, l'avevano dato per defunto. I confratelli avevano preparato un necrologio. E invece padre Tom è riapparso, deciso a condividere fino in fondo la tragedia di un popolo a cui la sua parabola si è legata misteriosamente.

«In questo momento abbiamo 18 postulanti che stanno studiando filosofia e teologia - racconta via mail -, viviamo tutti molti stretti sotto lo stesso tetto. Abbiamo iniziato le lezioni in aprile, continuiamo a farle nelle tende. La nostra biblioteca è andata distrutta. Abbiamo salvato qualcosa, ma abbiamo bisogno di libri e altro materiale didattico che qui non si trova. Per questi ragazzi che iniziano la vita religiosa, condividere le sofferenze del loro popolo è un'esperienza formativa in sé. È un tempo di profonda preghiera, per discernere la volontà di Dio, e di carità, portando aiuto a coloro che hanno più bisogno».

Dopo la catastrofe e l'epidemia, adesso sono arrivati anche gli incidenti e la rabbia per i risultati delle ultime elezioni, pochi giorni fa. Il giudizio di padre Tom sulla corruzione e il malgoverno ad Haiti è netto: «A parte i generosissimi aiuti medici e la distribuzione di acqua e cibo degli inizi, dopo quasi un anno non ho visto veri tentativi di ricostruire Port-Au-Prince. Non ho sentito di piani per radere al suolo gli edifici inabitabili o per ricostruire le infrastrutture. Non vedo camion portare via le macerie. Vedo gente che cerca di tirare giù a mano le case pericolanti e altri che trascinano pezzi di cemento in mezzo alla strada, dove restano bloccando il traffico».

Quello che rifulge tra le macerie è la vita cristiana, la fede nuda di chi può far affidamento quasi solo su Dio. «Posso citare la mia parrocchia, Saint Louis Roi de France, a Turgeau - Port-Au-Prince - racconta sempre questo figlio americano di san Francesco di Sales - dopo il terremoto, che ha distrutto la bella chiesa eretta 125 anni fa, il parroco è stato il primo a organizzare gli aiuti, ha portato cibo, ha trovato alcuni dottori e del personale infermieristico per curare centinaia di persone della zona. La ‘clinica', sotto un telone di plastica, è ancora in funzione. Abbiamo iniziato a celebrare la Messa all'aperto e lo spazio attorno alle rovine della chiesa è diventato un luogo di ritrovo per chi aveva perso tutto. In quaresima abbiamo organizzato delle via Crucis, meditando alle varie stazioni sugli effetti del terremoto».

Questa, per padre Tom, è anche la Chiesa per cui vale pena diventare missionari quando gli altri se ne vanno in pensione: «Vivere il terremoto è stato vivere l'orrore. Morte e sofferenza ovunque, con un senso di impotenza. Oggi posso dire che il mio spirito è contento di essere qui, con questo popolo meraviglioso, anche se il mio corpo lo è meno. Ci sono piccole cose - l'elettricità, l'acqua corrente calda o fredda, lo spazio personale, la privacy - che in un Paese come gli Usa sono scontate. Qui sono un lusso. Per fortuna ho il dono della salute: ho 72 anni ma è come se ne sentissi 45. Un'altra grazia».

di Andrea Galli

http://www.missionline.org/