Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

lunedì 29 novembre 2010

447 - SANT’ANDREA - 30 NOVEMBRE

Tra gli apostoli è il primo che incontriamo nei Vangeli: il pescatore Andrea, nato a Bethsaida di Galilea, fratello di Simon Pietro. Il Vangelo di Giovanni (cap. 1) ce lo mostra con un amico mentre segue la predicazione del Battista; il quale, vedendo passare Gesù da lui battezzato il giorno prima, esclama: "Ecco l’agnello di Dio!". Parole che immediatamente spingono Andrea e il suo amico verso Gesù: lo raggiungono, gli parlano e Andrea corre poi a informare il fratello: "Abbiamo trovato il Messia!". Poco dopo, ecco pure Simone davanti a Gesù; il quale "fissando lo sguardo su di lui, disse: “Tu sei Simone, figlio di Giovanni: ti chiamerai Cefa”". Questa è la presentazione. Poi viene la chiamata. I due fratelli sono tornati al loro lavoro di pescatori sul “mare di Galilea”: ma lasciano tutto di colpo quando arriva Gesù e dice: "Seguitemi, vi farò pescatori di uomini" (Matteo 4,18-20).


Troviamo poi Andrea nel gruppetto – con Pietro, Giacomo e Giovanni – che sul monte degli Ulivi, “in disparte”, interroga Gesù sui segni degli ultimi tempi: e la risposta è nota come il “discorso escatologico” del Signore, che insegna come ci si deve preparare alla venuta del Figlio dell’Uomo "con grande potenza e gloria" (Marco 13). Infine, il nome di Andrea compare nel primo capitolo degli Atti con quelli degli altri apostoli diretti a Gerusalemme dopo l’Ascensione.


E poi la Scrittura non dice altro di lui, mentre ne parlano alcuni testi apocrifi, ossia non canonici. Uno di questi, del II secolo, pubblicato nel 1740 da L.A. Muratori, afferma che Andrea ha incoraggiato Giovanni a scrivere il suo Vangelo. E un testo copto contiene questa benedizione di Gesù ad Andrea: "Tu sarai una colonna di luce nel mio regno, in Gerusalemme, la mia città prediletta. Amen".


Lo storico Eusebio di Cesarea (ca. 265-340) scrive che Andrea predica il Vangelo in Asia Minore e nella Russia meridionale. Poi, passato in Grecia, guida i cristiani di Patrasso. E qui subisce il martirio per crocifissione: appeso con funi a testa in giù, secondo una tradizione, a una croce in forma di X; quella detta poi “croce di Sant’Andrea”. Questo accade intorno all’anno 60, un 30 novembre.


Nel 357 i suoi resti vengono portati a Costantinopoli; ma il capo, tranne un frammento, resta a Patrasso. Nel 1206, durante l’occupazione di Costantinopoli (quarta crociata) il legato pontificio cardinale Capuano, di Amalfi, trasferisce quelle reliquie in Italia. E nel 1208 gli amalfitani le accolgono solennemente nella cripta del loro Duomo. Quando nel 1460 i Turchi invadono la Grecia, il capo dell’Apostolo viene portato da Patrasso a Roma, dove sarà custodito in San Pietro per cinque secoli. Ossia fino a quando il papa Paolo VI, nel 1964, farà restituire la reliquia alla Chiesa di Patrasso. (www.santiebeati.it)


domenica 28 novembre 2010

446 - ANNIVERSARIO DELLA NASCITA DI PADRE PIAMARTA

La parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano ricorda oggi con una solenne concelebrazione eucaristica il 168° anniversario della nascita di Padre Giovanni Piamarta, fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth.

La comunità parrocchiale si unisce ai sacerdoti della parrocchia in questo momento di festa.

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Giovanni Battista Piamarta nasce a Brescia il 26 novembre 1841 da una famiglia povera. Orfano di madre a 9 anni, cresce vivacissimo nei vicoli dei rioni popolari della città, trovando un sostegno educativo nel nonno materno e nell'oratorio, che affinano la sua sensibilità e la sua straordinaria generosità. La sua adolescenza è difficile ma, grazie al parroco di Vallio Terme (Bs), che ne scopre la vocazione, può incominciare il cammino verso il sacerdozio.

Ordinato sacerdote il 24 dicembre 1865, svolge dapprima il suo ministero sacerdotale a Carzago Riviera, a Bedizzole e nella parrocchia di Sant’Alessandro a Brescia. In seguito diventa parroco di Pavone Mella. Le prime esperienze oratoriane sono per lui una preziosa possibilità di conoscere da vicino la gioventù alle prese con il duro mondo delle fabbriche della nascente industria bresciana. Nei 13 anni di fecondo apostolato coglie risultati ammirabili e la grande ammirazione dei suoi ragazzi.

Nel 1886 lascia la parrocchia di Pavone Mella, per tornare a Brescia e dedicarsi a realizzare un’opera da tempo pensata e sognata: colpito dall'abbandono spirituale e dalla perdita della fede di tanti giovani e ragazzi che confluivano in città a cercare lavoro, egli, poverissimo ma fiducioso nell'aiuto di Dio, per offrire loro una sicura preparazione professionale e cristiana, il 3 dicembre avvia l’Istituto Artigianelli con l’aiuto di monsignor Pietro Capretti, figura eminente del clero bresciano.

Seppur con enormi difficoltà, dal 1888 la crescita degli “artigianelli” non si ferma più, si moltiplicano i fabbricati ed i laboratori e i giovani ricevono una preparazione tecnica, religiosa e umana ovunque riconosciuta. Pochi anni dopo, rivolge la sua sollecitudine anche al mondo dell'agricoltura, dando origine, con padre Giovanni Bonsignori, alla Colonia Agricola di Remedello (Brescia), allo scopo di ridare vitalità e dignità al mondo agricolo e rimediare alla piaga dell'emigrazione.

Attorno a padre Piamarta si radunano presto alcuni religiosi, che condividono gli ideali e le fatiche della sua missione. Nel marzo del 1900 nasce così la Famiglia Religiosa, composta da sacerdoti e laici dediti all’educazione dei giovani: Padre Piamarta diventa il fondatore della Congregazione della Sacra Famiglia di Nazareth, che continua ancora oggi la sua opera.

Giovanni Piamarta muore il 25 aprile 1913 a Remedello, al termine di una vita tutta spesa al servizio di Dio e dei giovani.

Dal 1926 la sua salma riposa nella chiesa dell’Istituto Artigianelli, da lui stesso costruita. Nel 1986 la Chiesa ne ha riconosciuto l'eroicità delle virtù e il 12 ottobre 1997 Papa Giovanni Paolo II lo ha dichiarato "beato". La celebrazione liturgica è il 26 aprile.

Per conoscere maggiormente la figura di padre Piamarta e la Congregazione da lui fondata: http://www.piamarta.org/missioni.c/chi-siamo.html


445 - IL FIGLIO DELL’UOMO VERRA’

Siamo nell'attesa dell'anniversario della nascità di Cristo... Si levi dunque il nostro spirito con vivida gioia, e corra incontro al suo Salvatore... La scrittura sembra esigere da noi un gaudio tale che anche il nostro spirito, elevandosi al di sopra di sé, brami di andare incontro in qualche modo a Cristo che viene, si protenda col desiderio e, non sopportando indugi, si sforzi di vedere già l'evento promesso... Prima della sua venuta nel mondo, il Signore venga da voi. Prima di apparire al mondo intero, venga a visitarvi intimamente. Infatti ha detto : « Non vi lascerò orfani, ritornerò da voi » (Gv 14,18).

E certamente, a seconda del merito e dell'amore, tale visita del Signore in ogni anima è frequente, in questo tempo che intercorre fra la prima e l'ultima venuta, tempo che ci rende conformi alla prima e ci prepara all'ultima. Egli viene in noi ora per non rendere vana per noi la sua prima venuta, e per non tornare adirato contro di noi nella seconda. Con queste visite, tende a riformare la nostra mentalità superba per renderla conforme alla sua umiltà, che ci dimostrò venendo la prima volta; e lo fa per poi « trasfigurare il nostro misero corpo e conformarlo al suo corpo glorioso » (Fil 3,21), che ci manifesterà al suo ritorno. Per questo dobbiamo desiderare con tutte le nostre forze, e chiedere con fervore tale venuta intima che ci da la grazia della prima venuta e ci promette la gloria della seconda...

La prima venuta fu umile e nascosta, l'ultima sarà folgorante e magnifica ; quella di cui parliamo è nascosta, e nello stesso tempo, magnifica. Dico che è nascosta, non perché sia ignota da colui che la riceve, ma perché avviene in lui nel segreto ... Avviene senza essere vista e si allontana senza che se ne accorga. La sua sola presenza è luce dell'anima e dello spirito. In essa vediamo l'invisibile e conosciamo l'inconoscibile. Questa venuta del Signore mette l'anima di chi la contempla in una dolce e beata ammirazione. Allora dall'intimo dell'uomo scoppia questo grido : « Signore, chi è come te ? » (Sal 34, 10). Lo sanno quanti hanno fatto tale esperienza, e voglia Dio che coloro che non l'hanno ancora fatta ne provino il desiderio.
Beato Guerrico d'Igny (circa 1080-1157), abate cistercense

venerdì 26 novembre 2010

444 - 3 DOMENICA DI AVVENTO AMBROSIANO

Lettura: Isaia 35,1-10: I segni della salvezza, per ciechi, sordi, zoppi sono gli stessi che Gesù mostrerà al Battista a conferma della sua identità. In lui tutte le profezie si adempiono. E’ vinta la paura: Dio viene a salvarci e noi possiamo percorrere la via della santità.

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Salmo 84: Mostraci Signore la tua misericordia e donaci la tua salvezza!

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Epistola: Romani 11,25-36: I doni di Dio sono irrevocabili: la sua misericordia non conosce pentimenti né confini. Che “Dio abbia rinchiuso tutti nella disobbedienza” non significa che sia lui a volere il nostro peccato, ma che sa comunque integrarlo nel suo progetto di misericordia.

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Vangelo: Matteo 11,2-15: Nel dubbio di Giovanni riconosciamo i dubbi della nostra fede:come Dio si manifesta nella storia? Come giudica la nostra vita? Gesù risponde che il Regno viene come benedizione per tutti,soprattutto per i piccoli e i poveri, che sanno accoglierlo.

443 - CHE COSA SIETE ANDATI A VEDERE?

Il brano evangelico di Matteo 11,2-15 mostra come Gesù, concluso il discorso missionario e l’invio dei Dodici (9,36-10,42), è il primo a intraprendere la predicazione. Con ciò si vuol evidenziare che è lui “l’Inviato”, è lui il “Messia” annunziato dai Profeti.

I versetti 1-6 riportano la domanda rivolta a Gesù dai discepoli di Giovanni Battista incarcerato da Erode e riguardante la sua identità messianica (v 3). A essa Gesù risponde enumerando le opere da lui compiute (vv 4-6) e che, secondo i Profeti, identificano proprio il Messia.

Nella seconda parte (vv 7-15) viene riportata la “testimonianza” data da Gesù a Giovanni Battista, il suo Precursore, di cui riconosce l’autenticità come Profeta (vv 7-9) e soprattutto di essere “quell’Elia” che nella tradizione biblica sarebbe ritornato al momento dell’arrivo del Messia.

Questa terza domenica di Avvento vuole mettere in evidenza come in Gesù si sono adempiute le profezie che hanno tenuto viva in Israele e, tramite esso, nel cuore dell’umanità l’attesa della salvezza come inaugurazione del regno di Dio destinato, come sappiamo, a realizzarsi in pienezza e definitivamente con il ritorno “glorioso” del Signore. La “salvezza” è annunziata dai Profeti come effettiva liberazione del popolo d’Israele dalla triste condizione dell’esilio ed è cantata come un intervento diretto di Dio che procura una reazione gioiosa nel popolo specialmente nei più poveri e tribolati: «Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto» (Lettura: Isaia 35,6).

Tale reazione contagia tutto il creato e in particolare il “deserto” e la “terra arida” destinata a «diventare una palude e il suolo riarso sorgenti d’acqua» (v 7).

Non a caso, perciò, il Signore Gesù ai messi del Battista, che intendono accertarsi su di lui come inviato da Dio per la salvezza, ovvero come Messia, risponde: «Andate e riferite a Giovanni ciò che udite e vedete: i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciato il Vangelo» (Vangelo: Matteo 11,4-5).

Si tratta cioè di gesti molto concreti e a tutti comprensibili come segnali che finalmente le profezie si sono adempiute! Dare la vista ai ciechi, risuscitare i morti, sono infatti cose che solo Dio può operare. In Gesù che le compie, dunque, agisce la divina potenza che interviene in modo concreto liberando da condizioni di malattia, di menomazione, addirittura di morte e di marginalità: «ai poveri» infatti «è annunciato il Vangelo», la bella e la buona notizia che li trasforma da “ultimi” e da “più piccoli” in più «grandi nel regno dei cieli», più grandi, addirittura, del Precursore del Signore (v 11).

L’Epistola paolina s’incarica di aiutarci a valutare in tutta la sua portata la “salvezza” che le profezie annunziano e che in Cristo si adempiono. Tutti gli uomini, a cominciare dagli appartenenti al popolo che Dio ama e i cui doni e la cui chiamata «sono irrevocabili» (Romani 11,29), sono di fatto “rinchiusi” «nella disobbedienza» ovvero nell’empietà e nel peccato che è essenzialmente l’incredulità e l’idolatria di sé.

È questa la vera schiavitù, è questa la malattia che precipita l’umanità nella morte, quella eterna, da cui nulla e nessuno la può liberare se non la libera sovrana decisione di Dio di «essere misericordioso verso tutti» (Romani 11,39).

L’Avvento, mentre ci dispone a celebrare la prima venuta nell’umiltà della carne del Figlio di Dio, ravviva nel cuore della Chiesa anzitutto la consapevole e forte fede in Cristo quale unico e definitivo portatore della divina salvezza. In lui, perciò, si sono adempiute tutte le divine promesse. Non ne «dobbiamo aspettare un altro» (Matteo 11,3).

L’orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica interpreta in modo sintetico e chiaro tutto ciò: «O Dio, che nella venuta del tuo Figlio unigenito hai risollevato l’uomo, caduto in potere della morte, a noi che ne proclamiamo con gioia l’incarnazione gloriosa dona di entrare in comunione di vita con il Redentore, nostro Signore e nostro Dio».

All’antica universale implorazione: «O cieli, stillate rugiada, dalle nubi discenda giustizia; si schiuda la terra e germogli il Salvatore» (Canto All’Ingresso) Dio risponde nel Bambino di Betlemme, nell’Uomo della croce, e ora, nel “pane” della mensa eucaristica.

(A. Fusi)

giovedì 25 novembre 2010

442 - 200 MILIONI DI CRISTIANI PERSEGUITATI NEL MONDO

Il Rapporto sulla Libertà Religiosa nel Mondo 2010, presentato ogni due anni dall'organizzazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS), rivela che il numero dei cristiani perseguitati nel mondo è di 200 milioni, e quello dei discriminati per la loro religione di 150 milioni.

Il Rapporto di ACS indica che in Europa i cattolici non sono perseguitati, pur essendo oggetto di scherno.

Dal Rapporto precedente la situazione non è migliorata, sostiene questa associazione che presta aiuto ai cristiani di tutto il mondo.

Per ACS, la tendenza crescente alla persecuzione e alla discriminazione per la religione che si professa è dovuta sia alla radicalizzazione del mondo islamico che alla “cristianofobia”, e alla facilità con cui si ridicolizza la Chiesa in alcuni Paesi del mondo sviluppato.

Nella presentazione del Rapporto in Spagna, Javier Menéndez Ros, direttore di ACS in Spagna, e il missionario salesiano in Pakistan Miguel Ángel Ruiz hanno citato le parole di Benedetto XVI alla vigilia della beatificazione del Cardinale John Henry Newman: “Nella nostra epoca, il prezzo da pagare per la fedeltà al Vangelo non è tanto quello di essere impiccati, affogati e squartati, ma spesso implica l’essere additati come irrilevanti, ridicolizzati o fatti segno di parodia”.

La fede cristiana è la più diffusa e anche la più perseguitata. Secondo quanto ha spiegato Menéndez, il numero totale è simile a quello del Rapporto di due anni fa, anche se i ricercatori e gli esperti che hanno partecipato a quello di quest'anno hanno assicurato che la situazione per i cristiani è peggiorata.

Il Rapporto analizza 194 Paesi, con problemi in circa 90, tra cui vari dei più popolati al mondo: Cina, India, Indonesia, Russia e Pakistan. Il peggioramento della situazione, ha sottolineato Menéndez, è dovuto soprattutto a una maggiore radicalizzazione nell'ambito musulmano, con più fanatismo, intolleranza e vessazioni.

I Paesi in cui si verificano le maggiori violazioni alla libertà religiosa sono Arabia Saudita, Bangladesh, Egitto, India, Cina, Uzbekistan, Eritrea, Nigeria, Vietnam, Yemen e Corea del Nord.

Menéndez ha osservato che “dove non esiste la libertà religiosa non esiste la libertà democratica”, e ha rimarcato “il dovere di qualsiasi essere umano di rispettare il diritto al culto, evangelizzare e vivere in base alla propria fede”.

In Egitto vige una legge di libertà religiosa, ma i cristiani subiscono discriminazioni e attacchi, permessi, secondo ACS, dal Governo di Hosni Mubarak.

Il missionario salesiano Miguel Ángel Ruiz ha descritto dal canto suo la situazione in Pakistan, affermando che il terrorismo islamico non colpisce solo i cristiani, ma “tutti coloro che non la pensano come i fondamentalisti”.

“Se il terrorismo si concentrasse solo sui cristiani, staremmo molto peggio di ora”, ha affermato. In base alla sua esperienza nel trattare con i musulmani, il missionario ha sottolineato che “bisogna porre limiti molto chiari ogni volta che si lavora con l'islam”.

Ha anche richiamato l'attenzione sulla disobbedienza civile pacifica. Quando lo Stato pakistano ha cercato di approvare leggi ingiuste o discriminatorie, come quella che pretendeva di includere nella carta d'identità la religione, i cristiani sono scesi in strada per bloccarla, e ci sono riusciti. “Siamo pochi, ma sappiamo far rumore”, ha affermato.

Padre Ruiz ha indicato che se la persecuzione non è maggiore si deve al fatto che i mezzi di comunicazione prestano molta attenzione agli attacchi ai cristiani.

A suo avviso, sia gli Stati Uniti che l'Europa hanno sbagliato molto, e ha raccomandato “che gli europei diano il seguente messaggio agli immigrati di altre religioni e culture: 'Siete i benvenuti qui, ma rispettateci'”.

Il missionario, che dirige un centro di formazione professionale per giovani a Lahore, ha riconosciuto di aver scoperto “una fede profonda” tra i cristiani pakistani, visto che “alla fine della giornata ci si domanda perché questa gente non diventi musulmana per evitare una vita di pressioni e discriminazione”.

(24/11/2010 . ZENIT.org).

mercoledì 24 novembre 2010

441 - LA FEDE NEL DIO VIVENTE

Noi vogliamo vivere questo inizio di Avvento come una chiamata alla conversione e all’adesione al Vangelo.

Viviamo in un mondo sempre più secolarizzato, e tuttavia, paradossalmente, attraversato dal “religioso”, cioè da un’inquietudine, un’aspirazione religiosa diffusa e fragile, assai spesso più effervescente che profonda.

Ma non ci si illuda: questa effervescenza del religioso non è affatto più favorevole al cristianesimo di quanto non lo sia la secolarizzazione. Ecco perché è necessario affermare che il cristianesimo è fede, è adesione personale al Dio vivente, il Dio di Abramo, di Isacco e di Giacobbe, rivelatoci e spiegatoci da Gesù il Messia.

Occorre essere vigilanti: in un mondo in cui ritorna il “religioso” (“Religione sì, Cristo no!” sintetizza il teologo Mertz), occorre ribadire più che mai, anche a costo di causare un urto con il comune sentire, la necessità di “ripartire da Dio”, come dice il Cardinale Martini, cioè di ridare il primato alla fede.

Occorre ritrovare la radice della fede come esperienza di un Dio invisibile ma vivente. E tenere vivo il primato della fede in mezzo agli uomini di oggi significa soprattutto non accettare la facile interpretazione del cristianesimo come etica, come morale, e vigilare perché non avvenga tale riduzione.

(Enzo Bianchi, Come evangelizzare oggi)

lunedì 22 novembre 2010

440 - VEGLIARE

E' necessario studiare da vicino la parola "vegliare"; bisogna studiarla perché il suo significato non è così evidente come si potrebbe credere a prima vista e perché la Scrittura la adopera con insistenza. Dobbiamo non soltanto credere, ma vegliare; non soltanto amare, ma vegliare; non soltanto obbedire, ma vegliare.

Vegliare perché? Per questo grande evento: la venuta di Cristo.

Cos'è dunque vegliare? Credo lo si possa spiegare così. Voi sapete cosa significa attendere un amico, attendere che arrivi e vederlo tardare? Sapete cosa significa essere in compagnia di gente che trovate sgradevole e desiderare che il tempo passi e scocchi l'ora in cui potrete riprendere la vostra libertà? Sapete cosa significa essere nell'ansia per una cosa che potrebbe accadere e non accade; o di essere nell'attesa di qualche evento importante che vi fa battere il cuore quando ve lo ricordano e al quale pensate fin dal momento in cui aprite gli occhi?

Sapete cosa significa avere un amico lontano, attendere sue notizie e domandarvi giorno dopo giorno cosa stia facendo in quel momento e se stia bene?

Sapete cosa significa vivere per qualcuno che è vicino a voi a tal punto che i vostri occhi seguono i suoi, che leggete nella sua anima, che vedete tutti i mutamenti della sua fisionomia, che prevedete i suoi desideri, che sorridete del suo sorriso e vi rattristate della sua tristezza, che siete abbattuti quando egli è preoccupato e che vi rallegrate per i suoi successi?

Vegliare nell'attesa di Cristo è un sentimento di rassomiglianza a questo, per quel tanto che i sentimenti di questo mondo sono in grado di raffigurare quelli dell'altro mondo.

Veglia con Cristo chi non perde di vista il passato mentre sta guardando all'avvenire, e completando ciò che il suo Salvatore gli ha acquistato, non dimentica ciò che egli ha sofferto per lui.

Veglia con Cristo chi fa memoria e rinnova ancora nella sua persona la croce e l'agonia di Cristo, e riveste con gioia questo mantello di afflizione che il Cristo ha portato quaggiù e ha lasciato dietro a sé quando è salito al cielo.

(John Henry Newman)

venerdì 19 novembre 2010

439 - II DOMENICA DI AVVENTO AMBROSIANO

Predicazione di San Giovanni,
di Bottalla Giovanni Maria, detto il Raffaellino, XVII secolo
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Lettura: Baruc 4,36-5,9: dopo la tragica esperienza dell’esilio Dio promette a Gerusalemme di radunare in essa tutti i suoi figli. Gerusalemme diviene così profezia della Gerusalemme celeste, annunciata dall’Apocalisse, luogo di comunione di tutti i popoli tra loro e con Dio.

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Salmo 99: Popoli tutti acclamate al Signore!

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Epistola: Romani 15,1-13: Non piacere a se stessi è il criterio che rende possibile accogliersi gli uni gli altri, oltre ogni divisione, perché tutti figli di Dio. Paolo pensa alla separazione tra i circoncisi e le genti, ma ogni altra divisione deve riconciliarsi in Cristo.

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Vangelo: Luca 3,1-18: Ogni uomo vedrà la salvezza di Dio. L’annuncio del Battista suscita l’attesa del popolo e la orienta verso il solo Salvatore. Prepararsi ad accogliere il suo battesimo che ci salva esige una conversione da vivere nelle condizioni ordinarie della vita.

438 - I FIGLI DEL REGNO

Il brano evangelico odierno (Luca 3,1-18) segue immediatamente i primi due capitoli del racconto di Luca altrimenti detti il Vangelo dell’infanzia del Signore. Il brano può essere così suddiviso: vv 1-6 narrano la chiamata di Giovanni come precursore del Messia; i vv 7-14 riportano il ruolo essenziale della sua predicazione, mentre i vv 15-18 tratteggiano la figura del Messia che sta per venire con i tratti di colui che viene per il “giudizio”.

Al cuore del messaggio di questa II domenica di Avvento è posta la manifestazione del mirabile disegno divino che nel suo Figlio, inviato in questo mondo come vero uomo, chiama tutte le genti della terra ad accogliere la salvezza che consiste nella trasformazione di tutti gli uomini in autentici figli di Dio, candidati a entrare nel suo Regno. Si tratta di una grandiosa prospettiva che dice il senso nascosto dell’incarnazione e della venuta nel mondo del Figlio di Dio e che il canto “All’ingresso” liricamente così esprime: «Il suo frutto si innalzerà come il cedro del Libano. Il Signore sarà benedetto per sempre, davanti al sole ascenderà il suo nome; in lui saranno benedette tutte le genti della terra».

Tale prospettiva cozza contro la mentalità mondana deformata dal peccato e, perciò, votata alla divisione, alla contrapposizione tra gli uomini. A essa L’Apostolo reagisce predicando l’accoglienza e la reciproca carità «perché con un solo animo e una voce sola rendiate gloria a Dio, Padre del Signore nostro Gesù Cristo» (Epistola: Romani 15,6).

Anche la parola profetica parla di un ritorno e di un raduno di tutti i figli d’Israele nella città di Gerusalemme che Dio vuole fare brillare di splendore davanti «a ogni creatura sotto il cielo» come luogo, cioè, di attrazione per tutte le genti e dove si manifesta la «pace di giustizia» e la «gloria di pietà» (Lettura: Baruc 5,4) di Dio per tutti.

Gerusalemme, in questo caso, diventa un annunzio profetico della Città celeste, del Regno “della misericordia e della giustizia” (Baruc 5,9) che è storicamente apparso in questo mondo in Gesù e che è destinato a rivelarsi in pienezza e definitivamente nella “parusia”, nel ritorno glorioso del Signore alla fine dei tempi come ci ricordava la prima domenica di Avvento.

Di qui l’appello rivolto indistintamente a tutti a entrare nel Regno assumendo, mediante la conversione del cuore e l’immersione battesimale nel fuoco trasformante dello Spirito Santo (Luca 3,16), la nuova condizione di “figli” in tutto simili all’unico Figlio di Dio che è il Signore Gesù, nato a Betlemme da Maria, morto sulla croce, risorto per donare il suo Spirito.

Il Battista aveva già indicato percorsi concreti di conversione di cui tutti siamo bisognosi così come lo erano le “folle”, i “pubblicani” e i “soldati” che accorrevano a lui (cfr. Luca 3,10-14). Si tratta, a ben guardare, di un concreto cambiamento di vita essenzialmente nei riguardi del nostro prossimo.

Ci viene chiesto dal Precursore un atteggiamento di condivisione, di rettitudine, di rispetto che prelude a quella che Paolo chiama “accoglienza”, ovvero disponibilità nei confronti dell’altro, chiunque esso sia, sull’esempio di Cristo che «accolse anche voi per la gloria di Dio» (Romani 15,7).

In tale capacità di “accoglienza” che in realtà è un dono divino (cfr. Romani 15,5) si rende a tutti evidente la concretezza del progetto divino di chiamare tutte le genti, nel suo Figlio, a fare parte come “figli” del suo Regno.

“Accoglienza” e anelito incessante al Regno sono doni ricevuti alla mensa eucaristica imbandita dall’amore del Signore. Così, infatti, preghiamo nell’orazione “Dopo la Comunione”: «La forza ricevuta nei tuoi misteri, o Dio onnipotente, ci aiuti a vincere il nostro egoismo e ci confermi nel desiderio del tuo regno».

(A. Fusi)

martedì 16 novembre 2010

437 - IN PREGHIERA CON I CRISTIANI DELL’IRAQ

I vescovi italiani hanno invitato le nostre comunità a vivere, questa domenica 21 novembre, una giornata di preghiera straordinaria per i cristiani dell’Iraq, colpiti nuovamente in questi giorni. La rivista Mondo e Missione aderisce all’iniziativa presentando una versione del Padre Nostro della liturgia caldea e alcune voci raccolte tra i cristiani iracheni. È un modo per pregare con le parole di chi rischia la vita per mantenersi fedele al Vangelo. E diventare davvero anche noi testimoni coraggiosi e trasparenti dell’unica Parola che salva.

Padre nostro invisibile che sei nei cieli

sia santificato in noi il tuo Nome

perché tu ci hai santificato

attraverso il tuo Spirito Santo.

Venga su di noi il tuo regno,

regno promesso agli amanti del tuo Amore.

La tua forza e le tue benevolenze

risposino sui tuoi servi

qui nel mistero e là nella tua misericordia.

Dalla tua tavola inesauribile

dona il cibo alla nostra indigenza

e accordaci la remissione delle colpe

perché tu conosci la nostra debolezza.

Noi ti preghiamo:

salva coloro che hai plasmato

e liberali dal maligno che cerca chi divorare.

A te appartengono il regno

e la potenza e la gloria, o Signore:

non privare della tua bontà i tuoi santi.

Dal Breviario Caldeo

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ALCUNE VOCI DALL’IRAQ

«Oggi pregheremo anche per coloro che sette giorni fa in questa chiesa hanno ucciso i nostri fratelli.

Compiremo questo strano genere di preghiera perché Cristo ci dice: "Amate i vostri nemici". Pregheremo anche per coloro che hanno assaltato la nostra chiesa e sparso il sangue dei nostri martiri. Nessun politico, nessuno Stato e nessun altro possono proteggerci. Solo Dio lo può fare».

Padre Mukhlis, alla Messa nella chiesa di Nostra Signora del Perpetuo Soccorso la settimana dopo l’attacco del 31 ottobre

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«La storia dei cristiani d’Iraq è una lunga storia di persecuzione, di martiri, di cristiani cacciati e mandati via.

Pensiamo alla frase del salmo 69: “Più numerosi dei capelli della testa sono coloro che mi odiano senza causa” e noi pensiamo soprattutto a Gesù, odiato senza ragione, mentre passava e faceva del bene. Terminiamo questa lettera con il grido di un bambino di tre anni che ha visto uccidere suo padre e che gridava “basta, basta” prima di essere ucciso anche lui. Sì, veramente con il nostro popolo gridiamo anche noi: basta!».

Alice e Martina, Piccole Sorelle di Gesù di Baghdad

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«Cristo, con il suo amore senza fine, sfida il male e ci tiene uniti. Attraverso l’Eucaristia ci ridona la vita che i terroristi cercano di toglierci».

Padre Ragheed Ganni, sacerdote caldeo ucciso a Mosul nel 2007

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«La mia missione pastorale consiste nel mostrare che non bisogna avere paura della morte. Ma per non avere paura della morte bisogna sapere come vivere. Di fronte a questa gente che soffre da sette anni, è importante mostrare loro come possono vivere».

Monsignor Amil Nona, vescovo caldeo di Mosul, successore del vescovo martire Paulos Faraj Rahho, ucciso nel 2008.

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Vuoi leggere altre testimonianze sulle sofferenze e sulla fede dei cristiani iracheni?

Visita la sezione a loro dedicata sul sito di Mondo e Missione www.missionline.org e le notizie riportate quotidianamente dall’agenzia www.asianews.it

domenica 14 novembre 2010

436 - VIENI SIGNORE GESU'

Signore Gesù,
amico e fratello,
accompagna i giorni dell'uomo
perché ogni epoca del mondo,
ogni stagione della vita
intraveda qualche segno del tuo Regno
che invochiamo in umile preghiera,
e giustizia e pace s'abbraccino
a consolare coloro
che sospirano il tuo giorno.
Ogni età della vita degli uomini
può celebrare la vita
perché tu sei la Vita.
Tu sai che l'attesa logora,
che la tristezza abbatte,
che la solitudine fa paura:
Tu sai che abbiamo bisogno di te
per tenere accesa la nostra piccola luce
e propagare il fuoco
che tu sei venuto a portare sulla terra.
Riempi di grazie
il tempo che ci doni di vivere per te!
Signore Gesù,
giudice ultimo del cielo e della terra, vieni!
La nostra vita sia come una casa
preparata per l'ospite atteso,
le nostre opere
siano come i doni da condividere
perché la festa sia lieta,
le nostre lacrime
siano come l'invito a fare presto.
Noi esultiamo
nel giorno della tua nascita,
noi sospiriamo il tuo ritorno:
vieni, Signore Gesù!

(Card. Carlo Maria Martini)

venerdì 12 novembre 2010

435 - LA VENUTA DEL SIGNORE

Il brano evangelico odierno di Matteo 24,1-31 riporta buona parte del discorso escatologico, cioè, relativo alle “cose ultime” che devono accadere (24,1-25,46) e che, nel Vangelo secondo Matteo coincidono con la parusia, ovvero il ritorno del Signore Gesù «con grande potenza e gloria». I vv 1-3 relativi alla distruzione del Tempio di Gerusalemme segnano come l’avvio di “queste ultime cose” illustrate da Gesù interrogato esplicitamente su di esse dai suoi discepoli. Tale distruzione segna perciò l’avvio dei “dolori” (vv 4-14) attraverso il ricorso a immagini di realtà ben conosciute quali: guerre, rivoluzioni, carestie… Esse, però, non sono la “fine” la quale è dilazionata in vista della predicazione di «questo Vangelo del regno in tutto il mondo» (v 14). Persino la “grande tribolazione” (vv 15-28), ovvero la terribile persecuzione scatenata dall’Impero romano non rappresenta ancora la fine. In quella circostanza, poi, occorrerà guardarsi dai “falsi messia” dai “falsi profeti” che cercheranno di sedurre anche i credenti.

La fine (vv 29-31) coincide, invece, con la venuta del Signore, significata dal suo “segno” e descritta con perturbazioni cosmiche, a indicare che tutto il creato è in essa coinvolto, con la sua apparizione sulle “nubi del cielo” e con il raduno degli “eletti”. Le pagine della Scrittura, oggi proclamate, e soprattutto la pagina evangelica di Matteo caratterizzano l’Avvento come tempo in cui la Chiesa, la comunità dei discepoli del Signore, mentre si prepara a celebrare il suo Natale, è sollecitata a considerare di essere incamminata, con l’intera umanità e il cosmo, verso le “cose ultime”. Si tratta, cioè, di tenere vivo nel cuore della Chiesa la domanda rivolta un giorno dai discepoli a Gesù: «quando accadranno queste cose, e quale sarà il segno della tua venuta e della fine del mondo?» (v 3). È una domanda di capitale importanza per tutti noi. Essa ci dice che di tutte le realtà di questo mondo non rimarrà «pietra su pietra» e, pertanto, ci mette in guardia dal cadere vittima del materialismo dilagante che chiude gli occhi e i cuori e li ripiega sulle cose quali il potere, il piacere, il successo, illudendosi sulla loro reale capacità di dare vita e felicità durature.

È decisivo, in una parola, tenere viva in noi la certezza di fede che questo mondo è destinato a finire e che la sua fine coincide con la seconda definitiva venuta del Signore. La prospettiva dunque è il ritorno “glorioso” del Signore che è venuto nel mondo nell’umiltà e nella piccolezza del Bambino, che ha sofferto la croce per la salvezza. Il Vangelo perciò ci aiuta a comprendere come la “gloriosa venuta del Signore” è dilazionata nel tempo perché a tutte le genti sia predicato il suo nome nel quale c’è salvezza. Nel frattempo la comunità è esortata a non farsi sviare dagli accadimenti e dai fenomeni tragici che scandiscono tale attesa. Tra questi accadimenti, come già per la Chiesa delle origini è da mettere in conto anche la “grande tribolazione” ovvero la persecuzione a cui dovrà andare incontro. Soprattutto la Chiesa deve guardarsi dal lasciarsi sedurre dai falsi profeti o dagli anti-cristi che si impegnano a togliere dal cuore dei credenti la fede nel Signore Gesù e la carità vicendevole e verso tutti per depositarvi i semi malvagi dell’odio e del tradimento (cfr. v 10).

Anche l’Apostolo mette in guardia la giovane comunità cristiana di Tessalonica dal lasciarsi sedurre dalla «venuta dell’empio» forte della «potenza di Satana, con ogni specie di miracoli e segni e prodigi menzogneri e con tutte le seduzioni dell’iniquità» (Epistola: 2Tessalonicesi 2,9-10). Ciò che apprendiamo in questa I domenica di Avvento va tenuto costantemente presente nel nostro cammino. Abbiamo capito che il mondo, la storia, il cosmo e ognuno di noi ha come prospettiva finale un evento salvifico: il Figlio dell’uomo che porta con sé il suo “segno” ossia la sua croce, l’emblema di ciò che egli ha compiuto per nostro amore e attorno al quale tutti saranno radunati dagli angeli ministri del Signore.

Si tratta perciò di una prospettiva di per sé piena di luce e non di tenebre già annunziata dall’oracolo profetico e dove trova compimento la divina promessa: «la mia salvezza durerà per sempre, la mia giustizia non verrà distrutta» (Lettura: Isaia 51,6). Per questo occorre trascorrere questa esistenza terrena “perseverando sino alla fine” nella fedeltà al Signore e al suo Vangelo: in concreto rifiutando le ingannevoli seduzioni del mondo, non ”scandalizzandoci” per le umiliazioni e le persecuzioni subite a causa del Vangelo, e soprattutto vivendo integralmente e dando piena testimonianza al Vangelo stesso che è tutto racchiuso nel comandamento della carità, sulla quale tutti saremo giudicati allorché verremo radunati davanti al trono del grande re e giudice.

(A. Fusi)

434 - PREGHIERA DI INIZIO AVVENTO

Siamo, Padre, davanti a te
all'inizio di questo Avvento.
E siamo davanti a te insieme,
in rappresentanza anche
di tutti i nostri fratelli e sorelle
di ogni parte del mondo.
In particolare delle persone che conosciamo;
per loro e con loro, Signore,
noi ti preghiamo.
Noi sappiamo che ogni anno si ricomincia
e questo ricominciare
per alcuni è facile, è bello, è entusiasmante,
per altri è difficile,
è pieno di paure, di terrore.
Pensiamo a come si inizia questo Avvento
nei luoghi della grande povertà,
della grande miseria;
con quanta paura la gente guarda
al tempo che viene.
O Signore, noi ci uniamo a tutti loro;
ti offriamo la gioia che tu ci dai di incominciarlo,
ti offriamo anche la fatica,
il peso che possiamo sentire nel cominciarlo.
Questo tempo che inizia nel tuo nome santo,
vissuto sotto la potenza dello Spirito,
sia accoglienza della tua Parola.
Te lo chiediamo per Gesù Cristo,
tua Parola vivente che viene in mezzo a noi
e viva qui,
insieme con Maria, Madre del tuo Figlio,
che con lo Spirito Santo e con te
vive e regna per tutti i secoli dei secoli. Amen.
(Cfr Carlo Maria Martini, Quotidianità luogo di Dio, Paoline 2006)

433 - LA FEDE


mercoledì 10 novembre 2010

432 - RENDERE GLORIA A DIO

Onnipotente, santissimo, altissimo e sommo Dio,
Padre santo e giusto, Signore, re del cielo e della terra,
per te stesso ti rendiamo grazie,
perché per la tua santa volontà,
e mediante il Figlio tuo unico con lo Spirito Santo,
hai creato tutte le cose, spirituali e corporali.
E noi, fatti a tua immagine e somiglianza,
hai posto in paradiso ;
e noi, per colpa nostra, siamo caduti.

Ti rendiamo grazie perché,
come tu ci hai creati per mezzo del Figlio tuo,
così, nel santo amore con cui ci hai amati,
hai fatto nascere tuo Figlio, vero Dio e vero uomo,
dalla gloriosa sempre Vergine Beatissima santa Maria,
e, mediante la sua croce, il suo sangue e la sua morte,
hai voluto riscattarci dalla nostra schiavitù.

E ti rendiamo grazie perché lo stesso tuo Figlio
tornerà nella gloria della sua maestà,
per mandare i reprobi
che hanno rifiutato di pentirsi e di riconoscerti,
nel fuoco eterno
e per dire a tutti coloro che ti conobbero,
adorarono e servirono nella penitenza :
« Venite, benedetti del Padre mio, entrate in possesso del
regno preparato per voi fin dalla fondazione del mondo » (Mt 25, 34).

Noi tutti, miseri e peccatori,
non siamo degni di nominarti ;
supplici, ti preghiamo,
che il nostro Signore Gesù Cristo,
il Figlio tuo prediletto in cui ti sei compiaciuto,
con lo Spirito Santo Paraclito,
ti renda grazie, lui stesso, per tutto,
come a te, e a lui, piace
lui che sempre ti basta in tutto,
e per il quale a noi hai fatto cose tanto grandi. Alleluia !

(San Francesco)

venerdì 5 novembre 2010

431 - QUANDO IL FIGLIO DELL'UOMO VERRA' ...

Monastero di Rila - Bulgaria
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In quel tempo. Il Signore Gesù disse: «Quando il Figlio dell’uomo verrà nella sua gloria, e tutti gli angeli con lui, siederà sul trono della sua gloria. Davanti a lui verranno radunati tutti i popoli. Egli separerà gli uni dagli altri, come il pastore separa le pecore dalle capre, e porrà le pecore alla sua destra e le capre alla sinistra. Allora il re dirà a quelli che saranno alla sua destra: “Venite, benedetti del Padre mio, ricevete in eredità il regno preparato per voi fin dalla creazione del mondo, perché ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi”. Allora i giusti gli risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato e ti abbiamo dato da mangiare, o assetato e ti abbiamo dato da bere? Quando mai ti abbiamo visto straniero e ti abbiamo accolto, o nudo e ti abbiamo vestito? Quando mai ti abbiamo visto malato o in carcere e siamo venuti a visitarti?”. E il re risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che avete fatto a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l’avete fatto a me”. Poi dirà anche a quelli che saranno alla sinistra: “Via, lontano da me, maledetti, nel fuoco eterno, preparato per il diavolo e per i suoi angeli, perché ho avuto fame e non mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e non mi avete dato da bere, ero straniero e non mi avete accolto, nudo e non mi avete vestito, malato e in carcere e non mi avete visitato”. Anch’essi allora risponderanno: “Signore, quando ti abbiamo visto affamato o assetato o straniero o nudo o malato o in carcere, e non ti abbiamo servito?”. Allora egli risponderà loro: “In verità io vi dico: tutto quello che non avete fatto a uno solo di questi più piccoli, non l’avete fatto a me”. E se ne andranno: questi al supplizio eterno, i giusti invece alla vita eterna».

(Vangelo di Matteo, 25,31-46)

430 - NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

L’odierno brano evangelico fa parte della sezione “escatologica” del Vangelo secondo Matteo (24,1-25,46) quella che attiene, cioè, alle ultime cose che precedono la “parusia” ovvero la seconda definitiva “venuta” del Signore.
È immediatamente preceduto dalle tre parabole della “vigilanza” (24,45-25,30), le quali vogliono esortare a farsi trovare preparati nell’ora della “venuta” del Signore. Oggi tale “venuta” ci viene presentata come “venuta” per il “giudizio universale”.

Il brano si apre al v 31 con l’entrata in scena del “Figlio dell’uomo” (cfr. Daniele 7,13) ossia di Gesù giudice escatologico circondato dagli “angeli suoi assistenti” (Zac 14,5). Il v 32 descrive il raduno universale davanti al Giudice, il quale da subito divide gli uni dagli altri recuperando l’immagine biblica del pastore che separa le pecore a destra e i capri a sinistra (cfr. Ezechiele 37,16-17).

Seguono poi le due parti rispettivamente: 34-40 e 41-45 costruite però in stretto parallelismo. Di fatto entrambe sono avviate dall’emissione della sentenza: favorevole per quelli posti alla “sua destra” (vv 34-36) e di condanna per quelli posti “alla sinistra” (vv 41-43), così come dalla replica meravigliata dei “benedetti” (vv 37-39) e quella dei “maledetti” (v 44) si concludono con la motivazione della stessa sentenza da parte del Giudice (v 40 e v 45) fondata sull’aver fatto o sul non aver fatto queste cose, ossia le opere di misericordia (vv 35-36; vv 42-43) «a uno di questi miei fratelli più piccoli» nei quali si identifica lui stesso.

In questa ultima domenica dell’anno liturgico ambrosiano le pagine della Scrittura pongono in particolare rilievo una delle prospettive essenziali per la nostra fede: quella “escatologica”.

Si vuole, con questo, tener viva nella Chiesa mandata ad annunciare il Vangelo di salvezza a tutti i popoli, l’attenzione alle cose “ultime” che coincidono con la “parusia” ovvero il ritorno del Signore alla fine dei tempi nello splendore della sua “gloria” intravista dal profeta Daniele «nelle visioni notturne» e così descritta: «ecco venire con le nubi del cielo uno simile a un figlio d’uomo; … Gli furono dati potere, gloria e regno; tutti i popoli, nazioni e lingue lo servivano: il suo potere è un potere eterno, che non finirà mai, e il suo regno non sarà mai distrutto» (Lettura: Daniele 7,14).

Tra le “cose ultime” concomitanti alla “parusia” gloriosa del Signore, viene oggi evidenziata quella del giudizio che è una delle prerogative del Figlio dell’Uomo, ossia del Signore Gesù esaltato “alla destra del Padre”. La scena evangelica, in verità, non parla di un giudizio diretto alla singola persona, bensì mostra il raduno universale dell’umanità davanti al Giudice divino per la irreformabile sentenza di beatitudine e di condanna.

Nell’ora solenne del giudizio universale il Signore, venuto una prima volta dal Cielo per radunare in un unico gregge l’umanità dispersa e divisa a causa del peccato, continua ora nel suo compito “pastorale” interpretato, adesso, come un «separare gli uni dagli altri» (v 32) in due greggi distinti.

Il primo è quello dei “benedetti”, di quanti, cioè, nella loro esistenza terrena hanno seguito il Signore, uniformandosi a lui nel tratto distintivo della sua vita: la carità. Egli, fattosi l’ultimo e il “più piccolo” nel mistero della sua continua umiliazione e spogliazione di sé, si è preso personalmente cura dei più umili, dei più emarginati, identificandosi in essi diventati così come il “sacramento” della sua stessa continuata presenza nel mondo.

Sono pertanto “benedetti” e dunque salvi per sempre nel regno di Dio, perché hanno sentito di doversi comportare con gli altri come si è comportato il Signore Gesù! La carità dunque come regola suprema dell’agire dell’uomo che si rifà in tutto a colui che è carità! I “maledetti” che ricevono la sentenza definitiva di condanna sono perciò coloro che, di fatto, hanno idolatrato il proprio “io” e quindi non hanno mai accettato di ascoltare e di convertirsi al Vangelo del regno che ha come sua regola, appunto, la carità.

L’Anno liturgico che va verso la conclusione attiva ogni anno in tutti noi l’attenzione verso le “cose ultime”, quali appunto la fine della nostra esistenza su questa terra e il “giudizio” che tutti ci aspetta davanti al tribunale del grande re.

Alla fine saremo giudicati sull’amore! È questo il potente messaggio che ci viene dal nostro re crocifisso per amore e che a lui domandiamo di saper accogliere con tutta sincerità così da trasformare la nostra esistenza in una vita “data”, come la sua, per amore.

A lui così ci rivolgiamo: «Ave, re nostro, che solo avesti pietà dei nostri errori: obbediente al volere del Padre, ti lasciasti condurre sulla croce come agnello mansueto destinato al sacrificio. A te sia gloria, osanna, trionfo e vittoria, a te la più splendente corona di lode e di onore» (Canto dopo il Vangelo).

(A.Fusi)

429 - DOMENICA DI CRISTO RE

Lettura: Daniele 7,9-10.13-14: Daniele vede un vegliardo assiso sul trono. Il trono non è vuoto: c’è un Signore che guida la sua storia verso il suo compimento. La figura misteriosa del Figlio dell’uomo, nel quale riconosciamo una profezia del Risorto, condivide la sua signoria salvifica.

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Salmo 109: Tu sei mio figlio, io oggi ti ho generato.

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Epistola: 1Corinzi 15,20-26.28: Quella di Gesù è una signoria solidale. I potenti della terra opprimono, il Risorto condivide con noi la sua risurrezione e la sua relazione con il Padre. Egli tutto riceve dal Padre e ci libera dal male e dalla morte, perché Dio sia tutto anche in noi.

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Vangelo: Matteo 25,31-46: La signoria di Gesù si esprime come servizio. Egli è presente sia in coloro che servono sia nei piccoli di cui ci facciamo servi (diaconi in greco). Riconosce la signoria di Gesù sulla propria vita chi riconosce anche la signoria del fratello nel bisogno.

428 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - NOVEMBRE 2010

Generale: perchè quanti sono vittime della droga e di ogni altra forma di dipendenza, grazie al sostegno della comunità cristiana trovino nella potenza di Dio salvatore la forza di cambiare radicalmente la loro vita.
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Missionaria: perchè le Chiese dell'America Latina proseguano la missione continentale proposta dai loro Vescovi inserendola nell'universale compito missionario del Popolo di Dio.

martedì 2 novembre 2010

427 - RISCOPRIRE SAN CARLO BORROMEO

San Carlo Borromeo - Duomo di Milano
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Per sostenersi nella sua intensa attività pastorale. San Carlo sentiva un grande bisogno di pregare. In particolare, almeno una volta l’anno si recava a Varallo, sul Sacro Monte, dove per alcuni giorni (e anche notti…) meditava la Passione di Cristo tra preghiere e lacrime. Proprio a Varallo, il 22 ottobre 1584, lo colse la violenta febbre che lo avrebbe portato alla morte la sera del 3 novembre 1584.

Subito acclamato santo dal popolo, vennero attribuiti alla sua intercessione non pochi eventi miracolosi, il 4 novembre 1602 veniva proclamato beato, mentre la canonizzazione è avvenuta il 1° novembre 1610.

Ricordare la vita e le opere di San Carlo significa riscoprire, oltre che i tesori di fede e di arte racchiusi nel nostro Duomo, anche la centralità e la singolarità proprie della Cattedrale da lui consacrata il 20 ottobre 1577 e che, oltre alle sue spoglie mortali, ne conserva e ancora ne rivela i «lineamenti» dell’instancabile azione pastorale.

Riscoprire San Carlo significa quindi riproporre l’importanza del legame e del pellegrinaggio alla chiesa Cattedrale, non solo per le sue innumerevoli testimonianze artistiche, quanto piuttosto per il cammino di fede di ogni singolo credente che - nella Cattedrale, chiesa madre della diocesi - è chiamato a riconoscere un segno della propria storia di fede.

Conoscere San Carlo diventa pertanto un momento privilegiato per riscoprire le radici della propria fede, del proprio cammino di credente, come singolo e come comunità. Conoscere San Carlo, ripresentarlo come modello ancora oggi attuale, è un’opportunità non solo per i pastori della Chiesa, ma per ogni cristiano che sinceramente cerca, con il cuore e con la vita, l’unico, universale e necessario Salvatore del mondo. Riscoprire San Carlo è una via per ritrovare il senso più vero del nostro essere Chiesa, Chiesa di Milano.

Renzo Marzorati, Canonico del Duomo di Milano

426 - SAN CARLO BORROMEO - 4 NOVEMBRE

Quella che oggi ci giunge dalla pagina del Calendario, è la voce di uno dei più grandi Vescovi nella storia della Chiesa: grande nella carità, grande nella dottrina, grande nell'apostolato, ma grande soprattutto nella pietà e nella devozione.

"Le anime - dice questa voce, la voce di San Carlo Borromeo - si conquistano con le ginocchia ". Si conquistano cioè con la preghiera, e preghiera umile. San Carlo Borromeo fu uno dei maggiori conquistatori di anime di tutti i tempi.

Era nato nel 1538 nella Rocca dei Borromeo, padroni e signori del Lago Maggiore e delle terre rivierasche. Era il secondo figlio del Conte Giberto e quindi, secondo l'uso delle famiglie nobiliari, fu tonsurato a 12 anni. Il giovane prese la cosa sul serio: studente a Pavia, dette subito prova delle sue doti intellettuali. Chiamato a Roma, venne creato Cardinale a soli 22 anni. Gli onori e le prebende piovvero abbondanti sul suo cappello cardinalizio, poiché il Papa Pio IV era suo zio. Amante dello studio, fondò a Roma un'Accademia secondo l'uso del tempo, detta delle " Notti Vaticane ". Inviato al Concilio di Trento vi fu, secondo la relazione di un ambasciatore, " più esecutore di ordini che consigliere ". Ma si rivelò anche un lavoratore formidabile, un vero forzato della penna e della carta.

Nel 1562, morto il fratello maggiore, avrebbe potuto chiedere la secolarizzazione, per mettersi a capo della famiglia. Restò invece nello stato ecclesiastico, e fu consacrato Vescovo nel 1563, a 25 anni.

Entrò trionfalmente a Milano, destinata ad essere il campo della sua attività apostolica. La sua arcidiocesi era vasta come un regno, stendendosi su terre lombarde, venete, genovesi e svizzere. Il giovane Vescovo la visitò in ogni angolo, preoccupato della formazione del clero e delle condizioni dei fedeli. Fondò seminari, edificò ospedali e ospizi. Profuse, inoltre, a piene mani, le ricchezze di famiglia in favore dei poveri.

Nello stesso tempo, difese i diritti della Chiesa contro i signorotti e i potenti. Riportò l'ordine e la disciplina nei conventi, con un tal rigore da buscarsi un colpo d'archibugio, sparato da un frate indegno, mentre pregava nella sua cappella. La palla non lo colpì, e il foro sulla cappamagna cardinalizia fu la più bella decorazione dell'Arcivescovo di Milano.

Durante la terribile peste del 1576 quella stessa cappa divenne coperta dei miti, assistiti personalmente dal Cardinale Arcivescovo. La sua attività apparve prodigiosa, come organizzatore e ispiratore di confraternite religiose, di opere pie, di istituti benefici.

Milano, durante il suo episcopato, rifulse su tutte le altre città italiane. Da Roma, i Santi della riforma cattolica guardavano ammirati e consolati al Borromeo, modello di tutti i Vescovi.

Ma per quanto robusta, la sua fibra era sottoposta a una fatica troppo grave. Bruciato dalla febbre, continuò le sue visite pastorali, senza mangiare, senza dormire, pregando e insegnando.

Fino all'ultimo, continuò a seguire personalmente tutte le sue fondazioni, contrassegnate dal suo motto, formato da una sola parola: Humilitas.

Il 3 novembre dei 1584, il titanico Vescovo di Milano crollò sotto il peso della sua insostenibile fatica. Aveva soltanto 46 anni, e lasciava ai Milanesi il ricordo di una santità seconda soltanto a quella di un altro grande Vescovo milanese, Sant'Ambrogio.

(www.santiebeati.it)

lunedì 1 novembre 2010

425 - ARRIVEDERCI IN CIELO

Prendere congedo da una persona amata fa male. Anche se tu ti dici spesso che dovevi pur fare i conti con la sua morte, che un bel giorno ella sarebbe morta, non puoi sottrarti al dolore dell' addio. Deve essere sopportato e vissuto. Non puoi più parlare con la persona defunta, come accadeva in tanti bei dialoghi. Non puoi più guardarla negli occhi. Non puoi più abbracciarla, e sentire l'odore della sua pelle. Lei non ci sarà più, quando tu ti sentirai solo/a, quando cercherai sostegno. Non entrerà più nella tua stanza, non si avvicinerà più a te. La sua camera, nella quale ha abitato, ora è vuota.

Congedo significa separazione. Tante cose ti hanno legato/a alla persona amata. In tante siete cresciuti insieme. Ora ti è stata sottratta. Ed è come se una parte del tuo corpo, del tuo stesso cuore, sia stata separata da te.

Molte persone in lutto provano la sensazione che, con la morte della persona amata, sia stato loro tolto il terreno sotto i piedi. La vita ha perso ogni significato. Restano intrappolate nelle sabbie mobili del loro lutto, annegano in un mare di lacrime. li salmista ha così espresso questa esperienza:

«Salvami, o Dio: l'acqua mi giunge alla gola. Affondo nel fango e non ho sostegno;

sono caduto in acque profonde e l'onda mi travolge. Sono sfinito dal gridare,

riarse sono le mie fauci; i miei occhi si consumano nell'attesa del mio Dio»

(Salmo 69,2-4).

Alcuni temono di toccare il fondo della loro tristezza e cercano di trovare un solido appiglio rivolgendo la loro attenzione alle emergenze, organizzando il funerale e lasciandosi assorbire dalle necessità materiali. Ma, subito dopo la sepoltura, cadono in una voragine. Quando rientrano nella quotidianità vengono sopraffatti da una profonda afflizione. Qualcuno cerca allora di uscire da questo dolore, altri invece non vogliono ammetterlo perché lo avvertono come una minaccia. Ma il lutto rimosso sarà simile a una palude insidiosa che, sotto la superficie di realtà esteriori apparentemente in grado di reggere, in qualche modo erode la terraferma e la trascina sul fondo.

Anche se ti fa paura, non ignorare l'abisso del tuo dolore. Anche se le lacrime sono inesauribili, anche se non ti senti più la terra sotto i piedi, non sprofonderai al di sotto delle mani di Dio. Puoi abbandonarti alle tue lacrime, nella certezza che le sue mani ti tratterranno amorevolmente. Non andrai a fondo.

Lascia che il tuo lutto si prenda tutto il tempo necessario. Non c'è una norma che preveda quanto tempo deve durare. Il lutto può trasformare il dolore, può trasformare te stessa, te stesso. Può farti conoscere la profondità della tua anima, può rivelarti che cosa potrebbe germogliare e fiorire in te. Ma, finché ti trovi nel lutto, ti senti male. E ritornano continuamente le stesse domande: «Perché doveva succedere così? Perché proprio questa morte? Come può Dio permettere questo? Perché mi ha fatto questo?».

Non meravigliarti se nel periodo del lutto affiorano anche sentimenti di rabbia e collera: «Perché mi ha lasciata? Lo sapeva bene com' è difficile per me vivere da sola. Adesso devo farmi strada da sola. Sono sola a combattere con i figli, sola a dover prendere tutte le decisioni. Avrei avuto ancora tanto bisogno di lui».

Non spaventarti per i tuoi sentimenti. Nel lutto devi ancora chiarire il tuo rapporto con la persona defunta. E affiorerà anche qualche tratto che non era ideale. Lascia che sia così! Allora la relazione potrà fondarsi su una nuova base. Da' spazio anche alla disperazione che qualche volta ti assale. Ma esprimila! Parlane con le persone che ti sono vicine, offrila a Dio nella preghiera. Porgi a Dio il tuo cuore ferito perché possa essere guarito dalla sua amorevole vicinanza.

(Anselmo Grun, Arrivederci in cielo)

424 - COMMEMORAZIONE DI TUTTI I FEDELI DEFUNTI

La commemorazione di tutti i fedeli defunti segue immediatamente alla solennità di Tutti i Santi quasi formando un’unica celebrazione: infatti è sempre il mistero di Cristo che si celebra, della cui santità partecipano i santi del cielo e della terra, nella cui resurrezione vivono tutti i morti che hanno creduto in lui, del cui corpo siamo parte anche noi vivi, ancora pellegrini verso il regno.

In questa universale comunione, la commemorazione di oggi non è una memoria triste, ma è la celebrazione pasquale di una circolazione di grazia che, alimentata dalla sorgente inesauribile dell’Amore che ha trionfato sulla morte, supera ogni barriera e unisce il cielo e la terra nella lode al Signore e nell’invocazione della sua misericordia, tenendo accesa la speranza nella vita senza fine per tutti.

La commemorazione dei defunti appare già nel IX secolo, in continuità con l’uso monastico più antico di consacrare un giorno alla preghiera per i defunti. Fu l’abate di Cluny, Odilone, a fissare la data al 2 novembre e istituire un ufficio liturgico proprio, per ricordare i fratelli della comunità che avevano già terminato il loro pellegrinaggio terreno. Grazie alla grande influenza dei monaci cluniacensi questa celebrazione si estese rapidamente fino a diventare prassi comune in tutta la Chiesa latina.

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Letture: Gb 19,1.23-27; Sal 26; Rm 5,5-11; Gv 6,37-40.