Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

venerdì 2 luglio 2010

344 - LA NUOVA ALLEANZA

Miniatura inglese del secolo XIII
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Il testo evangelico riporta al v 30 la scena solenne della morte del Signore da lui stesso intesa, con le ultime parole: “È compiuto!”, quale compimento dell’”opera” che il Padre gli ha affidato: la salvezza del mondo. La sua morte è significata dal gesto di “chinare il capo” e di “consegnare lo spirito” quale preludio all’effusione dello Spirito Santo estensore della salvezza sino alla fine dei tempi.

I vv 31-32 relativi alla richiesta fatta a Pilato dai capi del popolo di rimuovere i corpi dei crocifissi, a motivo dell’avvio delle celebrazioni pasquali, preparano l’evento della trafittura del “fianco” di Gesù e della misteriosa fuoriuscita di “sangue e acqua” (vv 33-34), particolari, questi, riferiti dal solo Giovanni, con il dichiarato intento di condurre il lettore e l’ascoltatore a “credere” (v 35).

Particolari che, a ben guardare, vengono illustrati dall’evangelista sulla base di precisi riferimenti biblici. A Gesù, infatti, i soldati “non spezzarono le gambe” compiendo in tal modo ciò che la Scrittura prescriveva a riguardo dell’agnello pasquale (Esodo 12,46), ma con una lancia Gesù viene colpito al fianco nella direzione del cuore e, da quella apertura uscì “sangue e acqua” e verso di essa, commenterà l’evangelista al v 37: «volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (cfr. Zaccaria 12,10) indicando con ciò l’adesione di tutte le genti a Gesù.

Circa la fuoriuscita del sangue e dell’acqua essa ha dato origine a varie interpretazioni anche simboliche. Il “sangue” simbolo della vita dice il dono che Gesù fa di sé, della sua vita, come vero agnello pasquale per la salvezza del mondo. L’acqua significa il dono dello Spirito promesso da Gesù per condurre tutti a credere in lui, e così potersi immergere nella salvezza racchiusa nella sua morte.

Nel ripercorrere l’intero cammino della storia della salvezza scaturita dal cuore della Trinità la presente domenica pone in risalto la figura e l’opera di Mosè quale guida scelta da Dio non solo per condurre fuori dalla schiavitù d’Egitto il suo popolo, ma soprattutto per fare di quella gente da lui stesso liberata, il “suo” proprio popolo, quello che gli appartiene e al quale egli vuole legarsi con un vincolo indistruttibile qual è l’Alleanza.

Con essa Dio si impegna a essere sempre “con” il suo popolo, al quale dona una “Legge” con precetti e norme che lo distinguono tra tutti i popoli della terra. Il popolo da parte sua è tenuto a mantenere fede all’alleanza mediante l’obbedienza alla Legge data da Dio: «Tutti i comandamenti che il Signore ha dato, noi li eseguiremo» (Esodo 24,3).

Mosè, sigilla l’alleanza con l’offerta “di olocausti e sacrifici di giovenche” il cui sangue versa sull’altare e con il quale asperge il popolo a indicare il suggello perenne e infrangibile del loro legame. «Ecco il sangue dell’alleanza che il Signore ha concluso con voi sulla base di tutte queste parole» (Esodo 24,8).

Questo evento carico di conseguenze per la storia di Israele, è in realtà come un annuncio profetico dell’”alleanza migliore” (Epistola: Ebrei 8,6), immutabile e definitiva, stipulata tra Dio e l’intera umanità per la “mediazione” non di un uomo per quanto grande qual è Mosè, ma di Gesù Cristo, il Figlio stesso di Dio!

Diversamente da Mosè che stabilì l’alleanza nel sangue di animali inconsapevoli, Gesù la sancì, con piena consapevolezza, nel suo sangue: “Sangue dell’Alleanza” (cfr. Matteo 26,28; Marco 14,24). Per questo il suo sangue, sparso sulla croce e fuoriuscito dal suo costato aperto dalla lancia del soldato (Giovanni 19,34), insieme con l’acqua, simbolo dello Spirito Santo è, perciò, il vincolo nuovo e indistruttibile che, da ora in poi, legherà per sempre Dio al suo popolo, quello raggiunto dal sangue vivificante del suo Figlio e che porta impresso “nella mente e nel cuore la nuova Legge” (cfr. Ebrei 8,10), lo Spirito dell’amore!

Gesù dunque è il “vero” Mosè, l’unico intermediario o “mediatore” tra Dio e gli uomini che egli unisce in un vincolo “nuovo ed eterno”, che ha come segno perenne ed efficace il suo “sangue”, vale a dire la sua vita offerta in obbedienza al Padre e per l’amore bruciante per gli uomini suoi fratelli.

Nella partecipazione all’Eucaristia, bevendo al calice, quello del sangue “per la nuova ed eterna Alleanza”, tutti avvertiamo la bellezza di appartenere al popolo il cui unico Dio è il Signore. A lui, perciò, la Chiesa in preghiera così si rivolge: «Tu sei, o Dio, la mia protezione, il mio rifugio, la salvezza della mia vita. Tu sei la mia forza e la mia difesa; nel tuo nome mi guidi e mi sostieni» (canto All’Ingresso).

Nello stesso tempo, avvertiamo la responsabilità di tale appartenenza e il conseguente impegno di “fedeltà”. Per questo preghiamo: «Larga scenda, o Dio, la tua desiderata benedizione e confermi i cuori dei credenti, perché non si allontanino mai dal tuo volere e si allietino sempre dei tuoi doni generosi» (orazione A conclusione della Liturgia della Parola).

(A. Fusi)