Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

martedì 29 giugno 2010

341 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA – LUGLIO 2010

Generale: perché in tutte le nazioni del mondo le elezioni dei governanti si svolgano secondo giustizia, trasparenza e onestà, rispettando le libere decisioni dei cittadini.

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Missionaria: perché i cristiani si impegnino ad offrire dappertutto, specialmente nei grandi centri urbani, un valido contributo alla promozione della cultura, della giustizia, della solidarietà e della pace.

340 - QUALI SONO NELLA SACRA SCRITTURA I PRINCIPALI TESTIMONI DI OBBEDIENZA DELLA FEDE?

Ci sono molti testimoni, in particolare due: Abramo, che, messo alla prova, «ebbe fede in Dio» (Rm 4,3) e sempre obbedì alla sua chiamata, e, per questo è diventato « padre di tutti quelli che credono» (Rm 4, 11,18); e la Vergine Maria, che realizzò nel modo più perfetto, durante tutta la sua vita, l'obbedienza della fede: «Fiat mihi secundum Verbum tuum - Avvenga di me quello che hai detto» (Lc 1,38).

(dal Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, nr.26).

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Who are the principal witnesses of the obedience of faith in the Sacred Scriptures?

There are many such witnesses, two in particular: One is Abraham who when put to the test “believed in God” (Romans 4:3) and always obeyed his call. For this reason he is called “the Father of all who believe” (Romans 4:11-18). The other is the Virgin Mary who, throughout her entire life, embodied in a perfect way the obedience of faith: “Let it be done to me according to your word” (Luke 1:38).

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, nr.26)

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¿Cuáles son en la Sagrada Escritura los principales modelos de obediencia en la fe?

Son muchos los modelos de obediencia en la fe en la Sagrada Escritura, pero destacan dos particularmente: Abraham, que, sometido a prueba, «tuvo fe en Dios» (Rm 4, 3) y siempre obedeció a su llamada; por esto se convirtió en «padre de todos los creyentes» (Rm 4, 11.18). Y la Virgen María, quien ha realizado del modo más perfecto, durante toda su vida, la obediencia en la fe: «Fiat mihi secundum Verbum tuum – hágase en mi según tu palabra» (Lc 1, 38).

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.26)

339 - COME IO HO AMATO VOI

Dico spesso che l'amore comincia a casa. C'è prima la famiglia, poi la propria città. È facile pretendere di amare coloro che sono lontano, ma molto meno facile è amare coloro che vivono con noi o accanto a noi. Diffido dei grandi progetti impersonali, perché solo conta ogni persona. Per riuscire ad amare qualcuno, bisogna rendersi vicino a lui. Tutti hanno bisogno di amore. Ognuno di noi ha bisogno di sapere che conta per gli altri e che ha un valore inestimabile agli occhi di Dio.
Cristo ha detto : « Come io vi ho amato, così amatevi anche voi gli uni gli altri ». E anche : « Ciò che fate a uno solo di questi miei fratelli umani più piccoli, lo fate a me » (Mt 25, 40). In ogni povero, amiamo lui, e ogni uomo sulla terra è povero di qualche cosa. Egli ha detto « Ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ero forestiero e mi avete ospitato » (Mt 25, 35). Ricordo spesso alle mie sorelle e ai nostri fratelli che la nostra giornata è fatta di ventiquattro ore con Gesù.

Un Cammino tutto semplice, Beata Teresa di Calcutta

338 - COME RISPONDE L'UOMO A DIO CHE SI RIVELA?

L'uomo, sostenuto dalla grazia divina, risponde con l'obbedienza della fede, che è affidarsi pienamente a Dio e accogliere la sua Verità, in quanto garantita da Lui, che è la Verità stessa.

(dal Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, nr.25).

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How does man respond to God who reveals himself?

Sustained by divine grace, we respond to God with the obedience of faith, which means the full surrender of ourselves to God and the acceptance of his truth insofar as it is guaranteed by the One who is Truth itself.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, nr.25)

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¿Cómo responde el hombre a Dios que se revela?

El hombre, sostenido por la gracia divina, responde a la Revelación de Dios con la obediencia de la fe, que consiste en fiarse plenamente de Dios y acoger su Verdad, en cuanto garantizada por Él, que es la Verdad misma.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.25)

martedì 22 giugno 2010

337 - INTERVISTA A PADRE GIACOMO MARIETTI

Padre Giacomo, vittima di una aggressione in Mozambico un mese fa, è tornato nel paese natio di Malegno, dopo alcuni giorni di ricovero all'ospedale Civile di Brescia, ospite della sorella Caterina.

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D. Padre Giacomo, come si sente in questo momento, come sta?

R. Sto abbastanza bene, mi sento ancora debole, ma sento che le forze stanno recuperando, sono contento, poi l’aria del paese mi dà vigore, mi dà aiuto.

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D. Qual è il sentimento che prevale in lei in questo momento?

R. Il sentimento che prevale in me è di ringraziamento al Signore, ringraziamento non solo per come sono andate le cose, dal punto di vista della vita, ma proprio per l’occasione che mi dà di riflettere ancora di più sul significato del mio servizio laggiù (in Mozambico) in mezzo a quella gente.

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D. C’è stato un momento nel quale ha temuto di non potercela fare?

R. Mah … l’insicurezza … quando ho visto che c’era questo buco nella pancia, vediamo un po’, non so …forse è ora di morire… ma vediamo un po’ … poi riesco ancora ad andare avanti … facciamo quello che possiamo.

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D. Lei naturalmente non sta dimenticando nemmeno in questo momento la sua missione in Mozambico

R. Assolutamente, anzi, subito dopo, il giorno dopo, mi sono interrogato proprio se il Signore mi ha salvato la vita, vuole dire che questa vita la devo spendere ancora maggiormente per questa gente. Devo ringraziare il Signore perché è motivo di riflessione.

(video intervista a cura di Teletutto, 21 giugno 2010, pubblicata nella Rassegna Stampa del sito di SCAIP, http://www.scaip.it/5b.htm)

venerdì 18 giugno 2010

336 - MA IO VI DICO ...

Il brano evangelico inaugura la serie di antitesi: “Avete inteso che fu detto agli antichi… Ma io vi dico” che caratterizza il capitolo quinto del grande “discorso sul monte” (Matteo 5-7). Esso rappresenta, in pratica, la “legge” promulgata da Gesù e la cui osservanza mantiene il popolo da lui acquistato, nell’”alleanza nuova ed eterna” con Dio. In particolare i vv 21-22 presentano l’antitesi tra ciò che prescrive la Legge e, più precisamente, il quinto comandamento del Decalogo: “Non uccidere” con la conseguente sanzione data dal tribunale terreno, e ciò che afferma Gesù con tre specifici enunciati di tipo giuridico che prima riferiscono il “reato” e quindi, la rispettiva punizione. Il primo dei reati è il sentimento dell’”ira” covato contro il “proprio fratello”, un membro cioè della comunità. Di tale sentimento si dovrà rendere conto in “tribunale”, quello divino s’intende! Il secondo e il terzo reato sono manifesti e riguardano gli insulti e le ingiurie rivolte al “fratello” puniti rispettivamente nel tribunale della comunità e nel “fuoco della Geénna” luogo deputato nella concezione apocalittica giudaica al giudizio degli empi.

Con ciò il Signore vuole far capire che si dovrà rendere conto a Dio dei sentimenti e degli atteggiamenti gli uni verso gli altri. Egli vuole che la sua Chiesa risplenda già da ora, in questo mondo dominato dagli istinti feroci che contrappongono gli uomini come nemici, come un segno del raduno celeste di tutti nell’unica casa di Dio. Per questo egli dà ai suoi la “legge” dell’amore che non annulla certo i Comandamenti, ma li porta al loro esito finale già previsto nel volere di Dio. In questa luce va perciò compreso anche il “detto” originale di Gesù relativo al vero culto da rendere a Dio (vv 23-24).

L’Epistola, al riguardo, afferma che esso va compiuto “per fede” sull’esempio di Abele che «offri a Dio un sacrificio migliore di quello di Caino» e ottenne così di essere dichiarato “giusto” (Ebrei 11,4). Per Gesù il “sacrificio migliore” che Dio mostra di gradire è quello offerto da chi è in pace con tutti i suoi “fratelli” o almeno è disponibile a fare gesti concreti di “riconciliazione”.

È ciò che abbiamo ripetuto nel ritornello al Salmo 49: «Sacrificio gradito al Signore è l’amore per il fratello» ed è quanto viene autorevolmente ricordato e richiesto a chi partecipa al sacrificio eucaristico nel rito liturgico dello scambio di pace «prima di presentare i nostri doni all’altare».

Il brano evangelico, proclamato nel tempo “dopo la Pentecoste” che, alla luce della Pasqua, ci fa rileggere e rivivere gradatamente l’intera storia della salvezza, mostra come nella legge del Signore Gesù che esige il consapevole “sacrificio” di sé per vivere nel perdono e nella carità verso tutti, viene neutralizzato il tentativo del male di stravolgere il disegno di Dio sull’uomo e sull’intero creato.

La Lettura ci presenta la pagina drammatica dell’uccisione di Abele da parte di suo fratello Caino, intesa come tragico epilogo di sentimenti malvagi nutriti da questi nei confronti di Abele e che la Scrittura descrive efficacemente, quasi personalizzando il “peccato”, come un intruso “accovacciato alla tua porta” (Genesi 4,7).

Il racconto biblico dell’uccisione del “fratello” diviene così il paradigma nel quale va letta e interpretata ogni uccisione, ogni violenza, ogni crudeltà, malvagità, ingiustizia dell’uomo contro un altro uomo. Si uccide, dunque, la propria “carne” e il “proprio sangue” qual è l’uomo, ogni uomo, nei confronti di un altro uomo, chiunque egli sia.

Si tocca così con mano l’opera devastante del male che si insinua nel mondo, nel cuore dell’uomo e lo perverte fino al punto da alzare la mano contro il proprio “fratello” magari “minore”, ovvero più debole, umile e indifeso.

Nell’ora della sua passione, facendosi inghiottire dal potere tenebroso del male e del peccato, Gesù lo ha come spezzato, e ha promulgato nel dono di sé, la Legge che porta a compimento ogni Legge: quella dell’amore. Una Legge promulgata non solo e non tanto con le parole “sul monte” ma nel suo sangue, nel dare cioè la sua vita per i suoi “fratelli”, vale a dire tutti gli uomini, e che, se osservata, è in grado di vanificare l’opera mortifera del male e del peccato.

Questo il Signore chiede a quanti, nel mistero eucaristico partecipano al sacrificio che ha ottenuto ogni dono di grazia sul mondo, sulla storia, sull’umanità. Mangiare il “pane” della mensa eucaristica comporta disporsi a vivere concretamente ciò che esso significa. Per questo preghiamo umilmente il Padre che «tanta pietà ha provato per noi da mandare il suo Unigenito come redentore» (Prefazio) di «infondere nei nostri cuori il disgusto per ogni forma di male» (orazione All’inizio dell’Assemblea Liturgica), di liberare «il nostro cuore da ogni nascosta ombra di colpa» e di difenderci «dalle insidie di ogni avverso potere» (orazione Dopo la Comunione).

(A.Fusi)

335 - IV ° DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Nella vicenda di Caino e Abele è presentata l’esperienza del peccato che accompagna la vita dell’uomo quando si lascia vincere dal proprio egoismo e dal proprio orgoglio. Chiaro, invece, l’insegnamento di Gesù: “Va’ prima a riconciliarti con tuo fratello e poi torna ad offrire il tuo dono”. La liturgia di questa quarta domenica dopo Pentecoste è invito a rinnovare la nostra adesione di fede a Cristo e alla sua Parola: “La fede è fondamento di ciò che si spera”. Mediante la fede siamo chiamati a superare una semplice accoglienza formale dei comandamenti, per camminare in novità di vita nel “desiderio ardente del bene”.

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Lettura: Genesi 4,1-16: Caino fa della differenza dal fratello lo spazio della gelosia e dell’invidia, anziché dell’incontro e della comunione. L’invidia acceca l’occhio, rendendolo incapace di riconoscere e di gioire per il modo personale e diverso con cui Dio ama ogni suo figlio.

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Salmo 49: Sacrificio gradito al Signore è l’amore per il fratello.

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Epistola: Ebrei 11,1-6: La Lettera agli Ebrei cerca una giustificazione al perché Dio gradisca il sacrificio di Abele e non quello di Caino. La nostra relazione con Dio dipende non da ciò che noi facciamo per lui, ma dal vivere in un vero affidamento al suo amore.

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Vangelo: Matteo 5,21-24: Si può uccidere il fratello non solo con la violenza fisica, come fa Caino, ma con l’atteggiamento del cuore che, anche con parole d’ira o il rifiuto di riconciliarsi, manifesta il desiderio che l’altro non ci sia o che io non abbia nulla a che fare con lui.

lunedì 14 giugno 2010

334 - VIVERE DI AMORE

Vivere di amore, è dare senza misura
Senza esigere il compenso quaggiù.
Ah! Senza contare io dono, essendo sicura
Che chi ama non conta!
Al Cuore divino, traboccante di tenerezza,
ho dato tutto... leggera corro
non ho più nulla se non la mia sola ricchezza:
Vivere di amore.
Vivere di amore, è bandire ogni paura,
ogni ricordo delle colpe passate.
Dei miei peccati non vedo alcun'impronta,
In un istante l'amore ha bruciato tutto!
Fiamma divina, o dolcissima fornace,
nel tuo fuoco ho stabilito la mia dimora.
Nelle tue fiamme io canto a mio agio (cf Dn 3,51):
«Vivo di amore!»...
«Vivere di amore, che strana follia!»
Mi dice il mondo. «Ah! Smetti di cantare,
Non perdere i tuoi profumi, la tua vita:
Sappi usarli utilmente»
Amarti, Gesù, che perdita feconda!
Tutti i miei profumi sono tuoi, per sempre,
Voglio cantare quando uscirò da questo mondo:
«Muoio di amore!»
Amare, è dare tutto e dare se stesso.

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Santa Teresa del Bambin Gesù (1873-1897),

carmelitana, dottore della Chiesa

venerdì 11 giugno 2010

333 - III DOMENICA DOPO PENTECOSTE - ANNO C

Ravenna - Basilica di San Giovanni Evangelista
Madonna che allatta (scuola veneta del 1400)
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Lettura: Genesi 3,1-20: Dio ci ha creato a sua immagine e somiglianza. La tentazione del serpente induce Adamo a pensare di poter essere “come Dio” grazie alla conquista delle proprie mani anziché in virtù del dono di Dio. la radice di ogni peccato è questa autosufficienza.

Salmo 129: il Signore è bontà e misericordia.

Epistola: Romani 5,18-21: Il dono di Dio rimane più forte del nostro peccato. Incapaci di essere giusti in forza della nostra obbedienza, Dio ci rende giusti grazie all’obbedienza del Figlio. Egli si è fatto simile a noi per restituirci la nostra somiglianza con Dio.

Vangelo: Matteo 1,20b-24b: in Maria si compie la promessa: la stirpe nata dalla donna schiaccerà il capo del serpente. Ora Maria concepisce Gesù, che significa “Dio salva”, perché ci salverà dal peccato. Se Adamo si nascose da Dio, Dio non teme di essere l’Emmanuele, il Dio con noi.

332 - IN MARIA SI COMPIE LA PROMESSA

I versetti, oggi proclamati, vanno inseriti nel più ampio contesto di Matteo 1,18-25 che sviluppa il tema della “nascita di Cristo”. I vv 20-23 riguardano l’intervento divino nei confronti di Giuseppe turbato per l’inattesa gravidanza di Maria, la sua fidanzata (cfr. v 19) e il v 24 pone in luce la pronta obbedienza di Giuseppe alle parole dell’”angelo del Signore”.

In particolare il v 20 dopo aver ambientato nel “sogno” l’intervento divino, la cui provenienza celeste è assicurata dal ruolo dell’”angelo”, riferisce il contenuto del messaggio celeste che occupa anche i vv 21-23. Esso consiste anzitutto nel rivelare a Giuseppe indicato con l’appellativo “figlio di Davide”, evocativo dunque della promessa messianica, la “modalità” di quella gravidanza e, unque, di quella nascita: “da Spirito Santo”.

A lui, Giuseppe dovrà “imporre il nome” (v 21) inserendolo così nel suo casato, nella discendenza davidica dalla quale, secondo la promessa di Dio, sarebbe venuto il Messia salvatore del “popolo”. Il nome “Gesù” che verrà dato al bambino e che letteralmente significa “Dio è salvezza” mette in luce esattamente il ruolo e la missione messianica di lui, ulteriormente così precisata: «egli salverà il suo popolo dai suoi peccati».

Al v 22 sono riportate le parole con le quali l’angelo mette in luce come gli accadimenti così straordinari e che, di conseguenza, creano “turbamento” in Giuseppe, rientrano in realtà in un preciso disegno rivelato da Dio tramite il profeta Isaia 7,14: «Ecco: la vergine concepirà e partorirà un figlio, che chiamerà Emanuele».

Lo stesso evangelista Matteo, che si premura di dire il significato del nome: “Dio con noi”, e dietro a lui, la tradizione cristiana, hanno interpretato il testo profetico come annunzio del “parto verginale” di Maria! Con ciò evidenziando l’origine celeste “dallo Spirito” di colui che la Vergine porta nel grembo.

Non deve apparire “fuori tempo” la proclamazione della nascita prodigiosa del Signore Gesù in questi giorni immediatamente seguenti la solennità di Pentecoste, corona della Pasqua. Il tempo “dopo la Pentecoste” è infatti dedicato, nella tradizione liturgica ambrosiana, a ripercorrere le grandi tappe della storia della salvezza che ha il suo culmine proprio nel mistero pasquale del Signore.

Lo scopo è duplice: far salire dalla Chiesa il canto di lode, di adorazione e di ringraziamento alla Trinità Santissima da cui ha origine il progetto divino di salvezza e, aiutare i fedeli a sentirsi personalmente inseriti in questa “storia” mediante l’adesione di fede al Vangelo e la successiva immersione nei sacramenti pasquali del Battesimo, Cresima ed Eucaristia.

In questa seconda tappa della storia della salvezza i testi biblici, dunque, pongono al centro la missione essenziale di Gesù che proprio nella sua nascita, e nel suo stesso nome è proclamata: «salvare il suo popolo dai suoi peccati».

La Lettura ci riporta all’origine del “peccato” da cui vengono “i peccati” (Genesi 3,1-20). Il racconto della “caduta” di Adamo e di Eva, considerati come portatori in sé dell’intera umanità, enumera le tragiche conseguenze del loro peccato quali la “paura” di Dio (v 10) unica fonte di vita, la spaccatura nell’uomo stesso che lo fa nemico della sua stessa “carne” (v 12) e del creato (vv 17-18) nel quale Dio lo aveva posto come sua “icona”. In una parola, il peccato “regna nella morte” (Epistola: Romani 5,21) su tutto e su tutti.

Il “bambino” che nasce dalla Vergine, viene nel mondo come nostro nuovo progenitore. Con la sua “obbedienza”, chiaro riferimento alla sua passione e morte, ribalta la condanna, frutto del “peccato” di Adamo, riversando «su tutti gli uomini la giustificazione», ossia la dichiarazione del tutto gratuita, da parte di Dio, di assoluzione dal peccato (Romani 5,19).

(A. Fusi)

giovedì 10 giugno 2010

331 - FEDERALISMO SOLIDALE

Il “Fondo” del card. Tettamanzi

8 milioni di € raccolti 3832 famiglie aiutate

Il Fondo Famiglia-Lavoro ad oggi ha raccolto la somma di € 8.027.054 e sta aiutando 3.832 famiglie bisognose nel territorio della diocesi Milano.

Il “sogno” del cardinale Dionigi Tettamanzi, Arcivescovo di Milano, che in Duomo, nella messa di Natale 2008 espresse la volontà di costituire un fondo per aiutare le famiglie senza più il lavoro, stanziando lui stesso un milione di euro e invitando singoli e comunità a contribuire, è più che realtà ma ha bisogno di essere ancora sostenuto. Nonostante questi risultati positivi oltre 800 domande di aiuto di altrettante famiglie chiedono ancora risposta: ma i soldi del “Fondo” stanno per terminare.

Per questo la Diocesi di Milano rinnova l’invito alla raccolta di fondi. Nello scenario di una crisi che ha causato per molte persone la perdita del lavoro e la conseguente situazione di emergenza per le rispettive famiglie, la comunità diocesana ambrosiana sotto l’impulso del proprio Arcivescovo vuole attuare una forma di “federalismo della solidarietà” attraverso l’attivazione di un circuito virtuoso di aiuto concreto e trasparente: il Fondo Famiglia-lavoro.

Dai singoli territori della Diocesi - le 1107 parrocchie ambrosiane - sono confluiti al centro, al Fondo Famiglia-Lavoro, oltre 8 milioni di euro, ridistribuiti poi localmente in funzione dei bisogni segnalati dagli stessi territori. Tutti impegnati per aiutare distribuendo non in funzione di quanto raccolto ma dei bisogni riscontrati. “Tutti responsabili di tutti”, ricorda il cardinale Tettamanzi, per realizzare “la vera solidarietà che non è una concessione a chi è nel bisogno bensì la realizzazione più piena, umana e umanizzante della giustizia”.

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Come contribuire
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CONTO CORRENTE BANCARIO
Numero 2405 ABI 03512 CAB 01602
Credito Artigiano Agenzia 1 - Milano
Intestato a: Arcidiocesi di Milano - Fondo famiglia lavoro

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CONTO CORRENTE POSTALE
Numero 312272
Intestato a: Arcidiocesi di Milano
Causale: Fondo famiglia lavoro

Per tutte le informazioni: www.fondofamiglialavoro.it oppure www.chiesadimilano.it

martedì 8 giugno 2010

330 - PADRE GIACOMO E’ ARRIVATO A BRESCIA

Esattamente quindici giorni fa l’assalto inatteso e violento alla missione di Mocodoene, in Mozambico, con il ferimento del responsabile, il piamartino padre Giacomo Marietti. Ieri alle 6,30 del mattino, dopo giorni d’attesa, timori per le condizioni del ferito, e paura di una infezione causata dalla pallottola rimasta conficcata nell’addome, finalmente il rientro e il suo affidamento ai sanitari dell’Ospedale Civile di Brescia.

La svolta è avvenuta giovedì scorso, quando da Roma tramite l’ambasciata di Maputo, è giunto il nulla osta per il volo militare necessario a garantire il rientro.

Alle 16,30 di domenica, l’aereo inviato dal Governo italiano decollava da Maputo, diretto all’aeroporto di Brescia Montichiari. Alle 6,30 l’arrivo in terra bresciana.

Poco dopo il ricovero, le prime notizie. “Padre Marietti – secondo i medici che lo avevano appena visitato – è debilitato dalla malattia e affaticato dal viaggio. Le sue condizioni generali però non destano preoccupazioni. Anche il proiettile ancora conficcato nell’addome non suscita apprensione: sarà rimosso quando anche le condizioni fisiche del missionario miglioreranno e lo consentiranno.”

(da BresciaOggi, 8 giugno 2010)

sabato 5 giugno 2010

329 - CERCATE IL REGNO DI DIO

In quel tempo. Il Signore Gesù ammaestrava le folle dicendo: «Io vi dico: non preoccupatevi per la vostra vita, di quello che mangerete e berrete, né per il vostro corpo, di quello che indosserete; la vita non vale forse più del cibo e il corpo più del vestito?
Guardate gli uccelli del cielo: non sèminano e non mietono, né raccolgono nei granai; eppure il Padre vostro celeste li nutre. Non valete forse più di loro? E chi di voi, per quanto si preoccupi, può allungare anche di poco la propria vita? E per il vestito, perché vi preoccupate?
Osservate come crescono i gigli del campo: non faticano e non filano. Eppure io vi dico che neanche Salomone, con tutta la sua gloria, vestiva come uno di loro. Ora, se Dio veste così l’erba del campo, che oggi c’è e domani si getta nel forno, non farà molto di più per voi, gente di poca fede?
Non preoccupatevi dunque dicendo: “Che cosa mangeremo? Che cosa berremo? Che cosa indosseremo?”. Di tutte queste cose vanno in cerca i pagani. Il Padre vostro celeste, infatti, sa che ne avete bisogno.
Cercate invece, anzitutto, il regno di Dio e la sua giustizia, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta».
Vangelo secondo Matteo 6,25-33

venerdì 4 giugno 2010

328 - II DOMENICA DOPO PENTECOSTE

Il brano è preso dal più ampio “discorso sul monte” che occupa i capitoli 5-6 e 7 del Vangelo secondo Matteo. In particolare i versetti oggi proposti riportano le parole di Gesù che, dopo aver insegnato ai suoi discepoli a rivolgersi a Dio invocato come Padre, li esorta ad abbandonarsi con fiducia alla sua premura paterna. Di qui l’ammonimento a non lasciarsi soffocare dalle preoccupazioni puramente materiali (v 25), convalidato da due immagini destinate ad alimentare nei discepoli la fiducia in Dio, Padre provvidente: gli “uccelli del cielo” per il cui sostentamento provvede Dio stesso (vv 26-27) e i “gigli del campo” che Dio riveste in maniera splendida (vv 28-30).Segue, infine, la rinnovata esortazione a evitare ogni eccessivo affanno (vv 31-32) e soprattutto l’invito a ricercare sopra ogni cosa “il regno di Dio e la sua giustizia” (v 33).

La tradizione liturgica ambrosiana, nel proclamare il presente testo evangelico, intende avviare nel tempo dopo Pentecoste, alla luce perciò del compimento della Pasqua, la rivisitazione della progressiva rivelazione e attuazione del disegno divino di salvezza che, partendo dal seno della Trinità, intende tutto a essa ricondurre proprio nel Signore crocifisso, risorto, salito al Padre per l’effusione dello Spirito Santo.

La “creazione” è, pertanto, qui compresa come primo momento del disvelarsi di quel disegno e, dunque, come iniziale autentica manifestazione di Dio e del suo mistero di per sé inaccessibile all’uomo: «A nessuno è possibile svelare le sue opere e chi può esplorare le sue grandezze? La potenza della sua maestà chi potrà misurarla? Chi riuscirà a narrare le sue misericordie? Non c’è nulla da togliere e nulla da aggiungere, non è possibile scoprire le meraviglie del Signore» (Lettura: Siracide 18,4-6).

Dio stesso, però, rivela le sue meraviglie: «Ha creato i cieli con sapienza… ha disteso la terra sulle acque… ha fatto le grandi luci… il sole per governare il giorno… La luna e le stelle per governare la notte» (Salmo 135).Ma, in maniera del tutto inaspettata e sorprendente, nelle meraviglie del creato egli ha rivelato la sua “misericordia”, anzi, il suo “amore”, che riguarda “ogni essere vivente” come ha ben capito l’antica sapienza orante del popolo della prima Alleanza e come Gesù stesso ha ribadito nelle stupende immagini degli “uccelli del cielo” e dei “gigli del campo”.“Misericordia e amore” che Dio riserva specialmente all’uomo creato come sua “immagine” e posto al centro del cosmo ma di cui ben conosce la nativa fragilità e provvisorietà: «Come una goccia d’acqua nel mare e un granello di sabbia, così questi pochi anni in un giorno dell’eternità» (Siracide 18,10).

Eppure proprio all’uomo Dio ha «affidato le meraviglie dell’universo perché, fedele interprete dei tuoi disegni, esercitasse il dominio su ogni creatura e nelle tue opere glorificasse te, Creatore e Padre» (Prefazio). Sappiamo, però, come l’uomo non ha corrisposto alle attese di Dio. Con il peccato non solo è caduto nella “corruzione”, e perciò inevitabilmente nella morte, ma ha trascinato, nella sua caduta, l’intera creazione a lui legata. Essa, perciò, “geme e soffre” con l’uomo, nella “speranza” di essere «liberata dalla schiavitù della corruzione per entrare nella libertà della gloria dei figli di Dio» (Epistola: Romani 8,21-22).

Il Dio, che nutre gli “uccelli del cielo” e veste magnificamente i “gigli del campo”, ascolta il gemito e la sofferenza del creato. Il suo cuore è aperto nell’accogliere il grido dell’uomo. A tutti viene incontro con la sua provvidenza che non si limita a un soccorso momentaneo ma, nel suo Figlio crocifisso e risorto, ha effuso lo Spirito per far passare l’uomo, e dunque il cosmo, dalla “corruzione” alla condizione gloriosa propria dei figli di Dio (v 21).

Della provvidenza paterna di Dio tutti facciamo esperienza quando nei santi misteri ci “riveste” del suo Figlio Gesù e ci “nutre” con un cibo che ci libera «da ogni male che insidia il nostro cuore e la nostra vita» (Orazione Dopo la Comunione) e ci dà un saggio di quella “gloria” a cui l’intera opera delle sue mani è destinata.

(A.Fusi)

mercoledì 2 giugno 2010

327 - L'OFFERTA DI MELKISEDECH

Mosaico della Basilica di San Vitale, Ravenna
In quei giorni, Melkisedech, re di Salem, offrì pane e vino; era sacerdote del Dio altissimo e benedisse Abram con queste parole: "Sia benedetto Abram dal Dio altissimo creatore del cielo e della terra, e benedetto sia il Dio altissimo, che ti ha messo in mano i tuoi nemici". Ed egli diede a lui la decima di tutto.
Parola di Dio.
(Genesi 14,18-20)

326 - SANTISSIMO CORPO E SANGUE DEL SIGNORE – ANNO C

Il Calendario liturgico della nostra Chiesa ambrosiana la fa celebrare nella sua data tradizionale, vale a dire il giovedì successivo alla prima domenica dopo Pentecoste. L’odierna solennità intende celebrare il mistero della perdurante “presenza vera, reale e sostanziale” del Signore Gesù nei segni del pane e del vino dell’Eucaristia. Una “presenza” da recare anzitutto ai malati, ai morenti come indispensabile viatico nel cammino ultimo verso il Cielo. Una “presenza” che nell’adorazione comunitaria e del singolo vuole aprire il cuore dei fedeli alle meraviglie e al tesoro inesauribile di grazia racchiusa nella santa Messa, “memoriale della Passione” del Signore, “sacrificio di salvezza”, “convito di grazia”.

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Il lezionario ambrosiano propone le seguenti lezioni scritturistiche:

Lettura: Genesi 14,18-20. Riporta l’incontro di Abramo con Melchìsedek, re di Salem che gli andò incontro offrendogli “pane e vino” e che la tradizione della Chiesa antica interpretò come annunzio e figura dell’Eucaristia.

L’Epistola: 1Corinzi 11,23-26 tramanda alle generazioni cristiane ciò che il Signore fece e comandò di fare “in sua memoria” nella cena “nella notte in cui veniva tradito”.

Il Vangelo è preso da Luca 9,11b-17 che riporta la prodigiosa moltiplicazione “dei cinque pani e due pesci” con i quali vengono saziati, con sovrabbondanza “circa cinquemila uomini”.

martedì 1 giugno 2010

325 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA - GIUGNO

Generale: perché ogni istituzione nazionale e soprannazionale si impegni a garantire il rispetto della vita umana, dal concepimento fino al suo termine naturale.

Missionaria: perché le chiese in Asia,che costituiscono un “piccolo gregge” tra popolazioni non cristiane, sappiano comunicare il vangelo e testimoniare con gioia la loro adesione a Cristo.