Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

mercoledì 31 marzo 2010

273 - L'ULTIMA CENA NELL'ARTE

Duccio di Boninsegna - Lavanda dei piedi e ultima cena
§§ §§ §§
.
Leonardo da Vinci - Ultima cena
§§ §§ §§
.
Tintoretto - Ultima cena

272 - IL DONO DELL'EUCARESTIA

L’Eucarestia presenta un aspetto sorprendente, che sconvolge l’intelligenza e commuove il cuore. Siamo di fronte ad uno di quei gesti abissali dell’amore di Dio, davanti ai quali l’unico atteggiamento possibile all’uomo è una resa adorante piena di sconfinata gratitudine.

L’Eucarestia non è solo la modalità voluta da Gesù per rendere perennemente l’efficacia salvifica della Pasqua. In essa non è presente soltanto la volontà di Gesù, che istituisce un gesto di salvezza. In essa è presente semplicemente (ma quali misteri in questa semplicità!) Gesù stesso.

Nell’Eucarestia Gesù dona a noi se stesso. Solo lui può lasciare in dono a noi se stesso, perché solo lui è una cosa sola con l’amore infinito di Dio, che può fare ogni cosa.

Gesù che già in molto modi attrae a sé la Chiesa con la forza del suo spirito e della sua Parola, suscita nella chiesa la volontà di obbedire al suo comando: “Fate questo in memoria di me!”.

E quando la chiesa nell’umiltà e nella semplicità della sua fede, obbedisce a questo comando, Gesù, con la potenza del suo Spirito e della sua Parola, porta l’attrazione della chiesa a sé al livello di una comunione così intensa da diventare vera e reale presenza di lui stesso alla chiesa: il pane e il vino diventano realmente, per misteriosa trasformazione, che è chiamata transustanziazione, il corpo dato e il sangue versato sulla croce; nei segni conviviali del mangiare, bere, festeggiare, si attua la reale comunione dei credenti con il Signore.

L’Eucarestia si presenta così come la maniera sacramentale con cui il sacrificio pasquale di Gesù si rende perennemente presente nella storia, dischiudendo ad ogni uomo l’accesso alla viva e reale presenza del Signore.

(Card. Carlo Maria Martini, Lettera pastorale Attirerò tutti a me, 1982-1983)

martedì 30 marzo 2010

271 - PARTECIPARE ALLA PASSIONE DI CRISTO

Sono animata dal pensiero che senza sosta, dappertutto, è rivissuta la Passione di Cristo. Siamo pronti, noi, a partecipare a questa Passione? Siamo pronti a condividere le sofferenze degli altri, non soltanto lì dove domina la povertà, ma in ogni parte sulla terra? Mi sembra che la miseria e la sofferenza siano più difficili da risolvere in occidente. Raccogliendo un affamato nella strada, offrendogli una tazza di riso o un pezzo di pane, posso placare la sua fame. Ma colui che è stato picchiato, che non si sente desiderato, amato, che vive nella paura, che si sente rifiutato dalla società, prova una forma di povertà ben più profonda e dolorosa. Ed è molto più difficile trovarvi un rimedio.

.
La gente ha fame di Dio. La gente è assetata di amore. Ne siamo coscienti? Lo sappiamo? Lo vediamo? Abbiamo occhi per vederlo? Quanto spesso, il nostro guardo erra senza fermarsi. Come se non facessimo altro che attraversare questo mondo. Dobbiamo aprire gli occhi, e vedere.

(Madre Teresa di Calcutta)

.

invia una mail di commento - scrivi a p.gigiba@gmail.com

domenica 28 marzo 2010

270 - SUL PERCORSO DI GESÙ

Nei paraggi di Gerusalemme la folla è presente

e si prepara a manifestare gratitudine.

Dispersi in mezzo a questa gente si trovano

persone anonime che vogliono incontrare e toccare.

In questa atmosfera di festa e di grande gioia

gli uni attendono e gli altri cercano con lo sguardo

Colui che offre una grande speranza:

Gesù, Figlio di Davide, Gesù il Profeta, Gesù il Re!

Con gesti semplici, con segni spontanei e vivaci

essi esprimono il loro attaccamento e la loro fedeltà.

La folla si riversa entusiasta ed interessata.

Permette a Gesù di verificare la popolarità di cui gode.

Oggi Gesù imbocca lo stesso percorso.

Mi trovo anch’io in mezzo

a questa folla che l’acclama?

Sono anch’io ai bordi del percorso per riconoscerlo?

E se lo seguissi insieme a tanti altri che sono in cammino?

Oggi agitare i rami d’ulivo significa credere,

manifestare la mia gratitudine,

accogliere Gesù che entra nella mia vita,

permettergli di dimorare in me e con me.

(Alain Donius)

giovedì 25 marzo 2010

269 - LA DOMENICA DELLE PALME NELL'ARTE

Giotto, Cappella degli Scrovegni

La scena, bipartita, mostra Gesù che entra a Gerusalemme seguito dagli apostoli, accolto da una folla festante che stende a terra mantelli, mentre due ragazzi raccolgono rami di ulivo. L'architettura raffigura, con probabilità, la "cittadella di David" con le torri che si salvarono dalla distruzione della città.

268 - DOMENICA DELLE PALME NELLA PASSIONE DEL SIGNORE

Il racconto evangelico che precede immediatamente quello dell’ingresso a Gerusalemme letto nella Messa con la processione delle Palme (Giovanni 12,12-19), è come incorniciato da un’introduzione (11,55-57) che riferisce l’ostilità senza quartiere dei "sommi sacerdoti" e dei "farisei" nei confronti di Gesù e dalla conclusione (12,9-11) nella quale quella "ostilità" è rivolta ora anche a Lazzaro «perché molti giudei a causa di lui se ne andavano e credevano in Gesù».

Il racconto (vv 12,1-8) si presenta diviso in due parti. La prima (vv 1-3) si premura, con la precisazione temporale "sei giorni prima della Pasqua", in cui avviene la cena di Gesù a casa di amici come Marta, Maria e Lazzaro, di collocare la cena stessa nello sfondo della solennità pasquale e di tutto ciò che essa evoca. Il pranzo offerto in onore di Gesù che aveva risuscitato Lazzaro è segno di gioia e di intima comunione con "i suoi". Così è per il preziosissimo "profumo di puro nardo" che Maria versa sui piedi di Gesù riempiendo tutta la casa "dell’aroma di quel profumo" che si trasforma in un presagio di vittoria della vita sulla morte.

La seconda parte (vv 4-8) è occupata dalla reazione di Giuda in procinto di "tradire" e dalle parole di Gesù che, da una parte interpreta l’unzione fatta da Maria come un anticipo di quella della sua "sepoltura" (v 7) e dall’altra, con allusione al comandamento di Dio (cfr. Deuteronomio 15,11), afferma che "i poveri" ai quali Giuda vorrebbe dare il ricavato della vendita del profumo, "li avete sempre con voi", ossia andranno "sempre" aiutati, mentre "oggi" è giusto che Maria lo onori, poiché lui sta andando incontro alla morte!

(A. Fusi)

267 - DOMENICA DELLE PALME - ANNO C

Tenete “fisso lo sguardo su Gesù, che si sottopose alla croce”. La Domenica delle palme, con il ricordo dell’unzione di Betania e dell’ingresso a Gerusalemme, ci introduce nella Settimana Autentica, quella che tra tutte è la più grande e solenne, perché celebra il mistero della Pasqua di Gesù. La liturgia ci invita ad accompagnare il Signore fino ai piedi della croce, e a conservare il profumo prezioso della fede: “Seguiamo il cammino di Cristo che conduce a salvezza”, perché non abbiano a vincere in noi le tenebre del tradimento e della morte, che già sembrano insinuarsi nel cuore, ma trionfi la luce sfolgorante della risurrezione.

.

Lettura: Isaia 52,13-53,12

Nei canti del servo sofferente di Isaia – oggi ascoltiamo il quarto – il Nuovo Testamento riconosce una profezia della passione di Gesù. Egli condivide il destino di ogni uomo che conosce il patire, per comunicarci la sua giustizia e la sua salvezza.

.

Salmo 87: Signore in te mi rifugio.

.

Epistola: Ebrei 12,1b- 3: il servo sofferente di Isaia non ha apparenza né bellezza per attirare i nostri sguardi. Eppure proprio su di lui dobbiamo fissare lo sguardo, sul mistero della sua croce. Solo lui consente al nostro cammino di fede di compiersi nella gioia del Padre.

.

Giovanni 11,55-12,11: il gesto di Maria di Betania anticipa e profetizza la morte di Gesù; soprattutto ne svela il significato profondo. L’amore di Maria per Gesù accoglie e risponde all’amore con cui egli dona la vita per noi, nella povertà di chi consegna tutto se stesso.

mercoledì 24 marzo 2010

266 - 25 MARZO - ANNUNCIAZIONE DEL SIGNORE

Annunciazione tra i santi Ansano e Margherita, eseguita nel 1333 da Simone Martini con il cognato Lippo Memmi, per la chiesa di Sant’Ansano, a Siena, e oggi visibile agli Uffizi di Firenze. È questa una delle opere più vicine al gotico transalpino e alle sue raffinatezze che l’Italia abbia conosciuto. L'immagine si svolge tutta in un raffinato gioco di linee sinuose in superficie (nonostante il suggerimento spaziale affidato al trono disposto obliquamente). La Vergine si ritrae chiudendosi il manto, in una posa che è in bilico tra paurosa castità e altera ritrosia.

265 - IL DIGIUNO DEL CUORE

Il tempo di Quaresima è tempo di conversione del cuore, da realizzare ogni giorno cercando Dio con la preghiera, in particolare l'eucaristia, la penitenza, in particolare il digiuno, e le opere di carità.

Il digiuno non è solo quello del corpo, ma investe tutto il nostro essere, come è ben espresso in questa preghiera del teologo Jean Galot:

Signore, fa' digiunare il nostro cuore: che sappia rinunciare a tutto quello che l'allontana dal tuo amore, Signore, e che si unisca a Te più esclusivamente e più sinceramente.

Fa' digiunare il nostro orgoglio, tutte le nostre pretese, le nostre rivendicazioni, rendendoci più umili e infondendo in noi, come unica ambizione, quella di servirTi. Fa' digiunare le nostre passioni, la nostra fame di piacere, la nostra sete di ricchezza, il possesso avido e l'azione violenta; che nostro solo desiderio sia di piacere a Te in tutto.

Fa' digiunare il nostro "io", troppo centrato su se stesso, egoista indurito, che vuole trarre solo il suo vantaggio: che sappia dimenticarsi, nascondersi, donarsi. Fa' digiunare la nostra lingua, spesso troppo agitata, troppo rapida nelle sue repliche, severa nei giudizi, offensiva o sprezzante: fa' che esprima solo stima e bontà. Che il digiuno dell'anima, con tutti i nostri sforzi per migliorarci, possa salire verso di Te come offerta gradita, meritarci una gioia più pura, più profonda. Amen

martedì 23 marzo 2010

264 - TRENTESIMO ANNIVERSARIO DELL'ASSASSINIO DI MONS. OSCAR ROMERO

Nel giorno che ricorda l'uccisione di Mons. Oscar Arnulfo Romero, la Chiesa Italiana si celebra una giornata di preghiera e digiuno facendo memoria dei missionari martiri e di quanti ogni anno sono stati uccisi solo nel nome di Cristo.

Il 24 marzo 1980, un sicario sparò un proiettile blindato ed esplosivo, calibro 25 a Mons. Oscar Romero, arcivescovo di San Salvador. La pallottola gli attraversò il cuore. Lo uccisero codardamente nelle cappella di un piccolo ospedale mentre celebrava l’Eucarestia con gli ammalati. Cadde ai piedi del crocifisso. Il suo sangue si mescolò col vino che stava offrendo proprio nel momento dell’offertorio.

Per ricordare la figura di Mons. Romero, alcune riflessioni tratte dai suoi scritti.

.

Uno non deve mai amarsi al punto da evitare ogni possibile rischio di morte che la storia gli pone davanti. Chi cerca in tutti i modi di evitare un simile pericolo, ha già perso la propria vita».

.

Sono stato frequentemente minacciato di morte. Come cristiano, non credo nella morte senza resurrezione: se mi uccidono, risorgerò nel popolo salvadoregno. Lo dico senza iattanza, con la più grande umiltà. Come pastore sono obbligato per mandato divino a dare la vita per coloro che amo, cioè tutti i salvadoregni, anche quelli che mi uccidessero. Se le minacce dovessero compiersi già da adesso offro a Dio il mio sangue per la redenzione e la resurrezione del Salvador. Il martirio è una grazia di Dio che non credo di meritare, ma se Dio accetta il sacrificio della mia vita che il mio sangue sia semenza di libertà e segno che la speranza si tramuterà ben presto in realtà. La mia morte, se accettata da Dio, sia per la liberazione del mio popolo e come una testimonianza di speranza nel futuro. Lei può dire, se arrivassero ad uccidermi, che io perdono e benedico quelli che lo faranno. Forse, così, si convinceranno di perdere il loro tempo: un vescovo morirà, ma la Chiesa di Dio, che è il popolo, non perirà mai. [da un'intervista concessa da Mons. Romero al "Diario de Caracas"]

.

Il mondo dei poveri, con caratteristiche sociali e politiche assai concrete, ci insegna dove debba incarnarsi la Chiesa, per evitare quella falsa universalizzazione, che finisce sempre col trasformarsi in connivenza con i potenti. Il mondo dei poveri ci insegna come debba essere l’amore cristiano, che cerca certamente la pace, ma smaschera pure il falso pacifismo, la rassegnazione e l’inazione; che deve essere certamen-te gratuito, ma deve pure cercare l’efficacia storica. Il mondo dei poveri ci insegna come la sublimità dell’amore cristiano debba passare attraverso l’imperiosa necessità di un impegno perché sia resa giustizia alle maggioranze, senza rifuggire della lotta onesta.


263 - GIORNATA DI PREGHIERA PER I MARTIRI MISSIONARI


UOMINI E DONNE DI DIO

Vi ricordiamo uno per uno, una per una,

per dire a tutti e a tutte

con un solo prorompere di voce,

di amore e di impegno: martiri nostri!

Donne, uomini, bambini, anziani,

indigeni, contadini, operai,

studenti, madri di famiglia, avvocati,

maestre, artisti e comunicatori,

operatori pastorali, pastori,

sacerdoti, catechisti, vescovi…

Nomi conosciuti

e già inseriti nel nostro martirologio

o nomi sconosciuti

ma incisi nel santorale di Dio.

Ci sentiamo vostra eredità.

Popolo testimone,

Chiesa di martiri,

diaconi in cammino in questa

lunga notte pasquale,

ancora tanto oscura, ma tanto

invincibilmente vittoriosa.

Non cederemo,

non ci venderemo,

non rinunceremo

a questo grande paradigma delle vostre vite

che è stato il paradigma dello stesso Gesù

e che è il sogno del Dio

vivente per tutti i suoi figli e figlie

di tutti i tempi e di tutti i popoli, in tutto il mondo,

fino al Mondo unico

e pluralmente fraterno:

Il Regno, il Regno, il suo Regno!

(Pedro Casaldaliga,

vescovo brasiliano)

domenica 21 marzo 2010

262 - SEGUIRE L’ULTIMO DI TUTTI

Amico mio, diventiamo simili a colui che ci dona la vita. Da ricco che era, si è fatto povero. Mentre era altolocato, si è abbassato. Pur abitando sulle alture, non ha avuto dove posare il capo. Nonostante debba venire sulle nubi, è salito su un piccolo d’asino per entrare a Gerusalemme. Pur essendo Dio e Figlio di Dio, ha portato la somiglianza del servo.

Lui che è il riposo di tutte le fatiche, si è stancato per la durezza del cammino. Lui che è la fonte che disseta, ha avuto sete e ha domandato acqua da bere; lui che è la pienezza che sazia la nostra fame, ha avuto fame quando digiunava nel deserto per essere tentato.

Lui che è la sentinella che veglia, si è addormentato e si è coricato nella barca in mezzo al mare. Lui che viene servito nella tenda di suo Padre, si è lasciato servire dalle mani degli uomini.

A lui che è il medico di tutti gli uomini malati, hanno trafitto le mani con i chiodi. A lui che annunziava con la bocca cose buone, hanno dato del fiele.

Lui che non fece male a nessuno, è stato percosso e ha sopportato l’oltraggio. Lui che fa vivere tutti i morti, ha consegnato se stesso alla morte di croce.

Il nostro Vivificatore in persona ha dato prova di tale abbassamento. Abbassiamoci anche noi, amici miei.

(Sant’Afraate, + circa 345, monaco e vescovo a Nìnive)

giovedì 18 marzo 2010

261 - DOMENICA DI LAZZARO

I vv 1-6 del capitolo 11 del vangelo di Giovanni servono come introduzione e ambientazione del racconto che prende avvio dalla notizia, fatta pervenire a Gesù della malattia di Lazzaro, un amico molto caro, al pari delle sue due sorelle Marta e Maria. Al centro di questi primi versetti vi sono le parole con le quali Gesù rivela che quella "malattia" è in vista della sua "glorificazione" ovvero della manifestazione della sua identità di "Figlio di Dio".

I vv 7-16 riportano il dialogo tra Gesù e i suoi discepoli che saranno invitati a "credere" in lui. I vv 17-27 riguardanti l’incontro di Gesù con Marta, sorella di Lazzaro, riportano le parole di rivelazione centrali dell’intero racconto: «Io sono la risurrezione e la vita» (vv 25-26). La sezione più ampia del nostro brano (vv 28-44) contiene l’incontro di Gesù con Maria e i Giudei e il resoconto della reazione di Gesù davanti al loro dolore (vv 28-37); il racconto del "miracolo" che vede Gesù di fronte alla morte sulla quale dimostra di avere pieno potere (vv 38-44).

I vv 45-54, infine, riportano la decisione di uccidere Gesù e le parole "profetiche" del sommo sacerdote sul valore della sua morte (vv 49-51) commentate e ampliate fino a dare a essa una destinazione universale (v 52). Potremmo dire che il "segno" compiuto da Gesù, nel richiamare in vita Lazzaro, morto da quattro giorni e, dunque, in decomposizione, traduca in pratica le parole di rivelazione che egli fa di sé: "Io sono la risurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno" (vv 39-41).

Con queste parole Gesù consegna a tutti i suoi futuri discepoli, a quelli cioè che, come Marta, crederanno con piena fede in lui, una parola di auto rivelazione: Gesù è la "Risurrezione e la vita" che la Scrittura aveva già annunziato come una realtà che si sarebbe verificata, alla fine dei tempi, per intervento divino (cfr. v 24).

Si. Le parole del Signore riguardano senza dubbio il destino finale dell’uomo, il quale, aderendo con fede a lui non andrà incontro alla morte eterna ovvero alla perdizione o rovina eterna, ma riguardano anche il presente di ciascuno di noi. È qui, nell’oggi, che si compie per noi l’esperienza tragica della morte. Ma la fede in Gesù fa di colui che crede un "vivente", in quanto è già depositato e attivato in lui, il germe della vita eterna!

Nel contesto quaresimale di riscoperta e riattivazione della grazia del Battesimo queste parole ci dicono la singolare decisiva preziosità della "fede" in esso professata e ricevuta come dono! È la fede nel Signore Gesù che pone a ciascuno di noi la domanda fatta a Marta: "Credi questo?" (v 26). Credi, cioè, che il Signore Gesù è venuto in questo mondo per affrontare e vincere il potere che la morte detiene sull’uomo, smentendo e opponendosi a Dio stesso, creatore della vita e Dio di vita!

Liberando Lazzaro dai lacci della morte, Gesù porta a compimento quanto è profeticamente annunciato nell’opera compiuta da Dio quando ascoltando le suppliche e vedendo l’umiliazione, la miseria e l’oppressione del suo popolo Israele, lo fece "uscire dall’Egitto con mano potente e braccio teso" (Lettura: Deuteronomio 26,8).

Anche Gesù, infatti, nel vedere l’umiliazione e la miseria di Lazzaro orrendamente sfigurato dalla morte "si commosse profondamente" (Giovanni 11,33.38), fu preso da "turbamento" (cfr. v 33) e, infine, "scoppiò in pianto" (v 35). In realtà le lacrime del Signore rivelano il suo amore per tutti noi uomini fino al punto di condividere il destino di morte da noi meritato a causa dell’"empietà" e dell’"ingiustizia" dovute ai vani ragionamenti della nostra mente "ottusa" e come "ottenebrata" (cfr. Epistola: Romani 1,18.21).

La fede battesimale nel Signore Gesù "risurrezione e vita" che libera e salva dalla morte "eterna" è l’annuncio da predicare e la testimonianza da offrire a tutti. Egli, infatti, stando alle parole profetiche messe da Dio in bocca al sommo sacerdote deciso a ucciderlo: «È conveniente per voi che un solo uomo muoia per il popolo, e non vada in rovina la nazione intera» (Giovanni 11,50), ha affrontato la morte per riunire in sé, non solo la "nazione giudaica", «ma anche per riunire insieme i figli di Dio che erano dispersi» (v 52) ossia, l’intera umanità.

Gesù, dunque, ha affrontato la morte "per" ogni uomo, perché uscisse dal sepolcro del "peccato", anticipo del sepolcro della "morte perpetua" significata proprio nella prolungata permanenza di Lazzaro nel sepolcro. Perché ogni uomo potesse già, da questa vita, unito a Lui che è "Risurrezione e vita", avere in sé la "vita eterna!". Per il credente ciò si concretizza nel Battesimo e soprattutto nella partecipazione alla mensa del Corpo e del Sangue del Signore, il Crocifisso Risorto.

(A.Fusi)

260 - V DOMENICA DI QUARESIMA – ANNO C

“Chiunque vive e crede in me, non morirà in eterno”: è la promessa del Signore che illumina la liturgia di questa domenica. Il segno della risurrezione di Lazzaro è annuncio della Pasqua di Gesù e della sua salvezza: “Cristo è la grazia, Cristo è la vita, Cristo è la risurrezione”.

.

Lettura: Deuteronomio 6,4a; 26,5-11: La liturgia della parola ci fa oggi contemplare i molteplici modi con cui Dio rivela il suo volto. Innanzitutto si manifesta nella storia. La professione di fede di Israele si esprime come memoria di quanto Dio ha già operato nella sua vicenda storica.

.

Salmo 104: Lodate il Signore, invocate il suo nome.

.

Epistola: Romani 1,18-23a: oltre che nella storia, Dio si rivela nel creato, attraverso il quale l’uomo può giungere a conoscere la sua sapienza. Può farlo se ha l’umiltà di riconoscersi creatura dipendente dal dono di Dio, vincendo la tentazione idolatrica di mettersi al suo posto.

.

Giovanni 11,1-53: l’opera in cui Dio maggiormente si rivela è donare la vita. Dio è potenza di risurrezione, più forte del peccato e della morte che sfigurano la storia e il creato. Il cammino battesimale ci fa già gustare la vita nuova che sgorga dalla Pasqua di Gesù.

mercoledì 17 marzo 2010

259 - QUALCOSA DI COSI’ PERSONALE

"La preghiera è qualcosa di estremamente semplice, qualcosa che nasce dal cuore." Con queste parole il cardinale Martini ci introduce nel tema del suo nuovo libro, dedicato a uno degli aspetti più intimi e delicati del rapporto con Dio: la preghiera.

"È la risposta immediata che sale dal profondo quando ci mettiamo di fronte alla verità dell'essere." Il che può avvenire in molti modi, diversi per ciascuno di noi: davanti a un paesaggio di montagna, in un momento di solitudine nel bosco, ascoltando una musica. Sono momenti di verità dell'essere, nei quali ci sentiamo come tratti fuori dalla schiavitù delle invadenze quotidiane, che ci sollecitano continuamente. Facciamo un respiro più ampio del solito, avvertiamo qualcosa che si muove dentro di noi, ed ecco elevarsi una preghiera: "Mio Dio ti ringrazio ", "Signore, quanto sei grande!".

Questo riconoscimento di Dio è la preghiera naturale, la preghiera dell'essere. Ogni nostra preghiera parte da tale principio: l'uomo che vive a fondo l'autenticità delle proprie esperienze sente immediatamente, istintivamente, l'esigenza di esprimersi attraverso una preghiera di lode, di ringraziamento, di offerta.
Oltre a questa preghiera, ci spiega poi il cardinale Martini, c'è la preghiera dell'essere cristiano, che non è semplicemente la risposta alla realtà dell'essere che ci circonda o alla sensazione di autenticità che proviamo dentro di noi, bensì è frutto dello Spirito che prega in noi e ci fa rivolgere a Dio chiamandolo "Padre". Così la preghiera diventa incontro ma anche scontro con Dio, dove non sono taciute nemmeno le domande più radicali.

"L'educazione alla preghiera consiste allora sia nel cercare di favorire quelle condizioni che ci portano a uno stato di autenticità, sia nel cercare dentro di noi la voce dello Spirito che prega, per dargli spazio, per dargli voce. Perché lo Spirito dentro di noi che prega è la caratteristica propria, tipica, della preghiera cristiana."

(note di copertina)


domenica 14 marzo 2010

258 - IL PROBLEMA DEL DOLORE INNOCENTE

Duccio di Boninsegna
.

Quando, al capitolo 9 del Vangelo di Giovanni, i discepoli domandano al Maestro, a proposito del cieco nato: “Chi ha peccato perché egli nascesse cieco?” il sottinteso è chiaro: se non è colpa di un uomo, è colpa di Dio. Di fronte al dolore innocente, noi abbiamo bisogno di un colpevole. E se non troviamo una spiegazione umana, non esitiamo a farci l’idea di un Dio vendicativo o che comunque si diverte ad avere ragioni sue.


Così facendo introduciamo delle categorie emotive che finiscono per dare un contenuto di fantasmi a un discorso già tremendo, già difficile, ma che in questo modo viene certamente collocato in una direzione che è senza speranza. Quel Dio contro il quale ci ribelliamo non c’è. Noi non abbiamo mai conosciuto un Dio persecutore. Il nostro Dio è giustizia, ma non «vendicatività». E anche quando gli trasferiamo la categoria della giustizia, la sua non è certo come la nostra.


Certo, molto dolore viene dal peccato degli uomini. Quanto ne è seminato dalla cattiveria! Pensiamo alle guerre, alla droga… È davvero una lucidità diabolica, messa in atto per un interesse, per il tradimento e la rovina di intere generazioni. Che male può fare il peccato e la cattiveria dell’uomo! Ma il dolore che colpisce un singolo, soprattutto quello non cercato, non voluto, non dà la misura del suo peccato. Non si può porre un’equazione tra la sofferenza e il peccato, e il Signore non lo vuole. Possiamo dire che la miseria e la sofferenza rivelano una situazione di decadenza e di peccato dell’umanità, dell’uomo. Ma non si può collegare direttamente il patimento dell’uomo con il suo peccato.


Le persone che interrogano Gesù vanno arzigogolando su di chi è la colpa. Il Signore taglia corto: “Non perdete tempo! Non che questo non sia un problema, però badate bene che l’esperienza del dolore non diventi un alibi per non porvi la questione dell’esistenza, la questione della conversione, cioè per non domandarvi se siete sulla strada giusta o sbagliata”.


Qual è il mio rapporto con Dio? Qual è il senso del mio riferimento al mistero di Dio? Sono in un atteggiamento di dipendenza e di speranza, oppure volto le spalle al mistero?


Su questo vale la pena che riflettiamo.


(Giovanni Moioli)

venerdì 12 marzo 2010

257 - DOMENICA DEL CIECO NATO

Il centro focale dell’intero racconto è la rivelazione di Gesù come "luce del mondo" (v 5) riprendendo, così, le parole di rivelazione del Verbo fatto carne che leggiamo nel prologo del racconto evangelico giovanneo. Il miracolo, perciò, della guarigione dell’uomo "cieco dalla nascita" è come l’esemplificazione o la traduzione in pratica di tale parola di rivelazione.

Partendo dalla constatazione della condizione di "tenebra" in cui quell’uomo vive da sempre, una volta scartata l’ipotesi diffusa normalmente in quel tempo, vale a dire che essa rappresenta la giusta punizione di Dio per una colpa, anche segreta, dello stesso cieco nato (ma come può aver peccato?) o dei suoi genitori (vv 2-3), il testo evangelico vuole far capire che l’uomo "non illuminato" dal Signore Gesù, vive nelle "tenebre" ossia nell’incapacità di credere.

Nell’atteggiamento dei farisei che si ritenevano degli "illuminati" perché conoscitori della Legge di Dio e, dunque, non disponibili a farsi "illuminare" da Gesù, viene detto che non tutti accolgono la luce di rivelazione che è in Cristo Signore. Alcuni, presumendo di sé, si autoescludono dall’azione di grazia che il Signore ha in serbo per tutti.

Egli, infatti, come una volta il "cieco dalla nascita", "vede" (v 1) la triste condizione di tenebra che grava sull’umanità incredula e di essa è venuto nel mondo a prendersi cura come esemplarmente annunciato nel "segno" della guarigione del "cieco nato". Ciò è chiaramente detto nel progressivo cammino di fede fatto di "gesti" e di "parole" che Gesù stesso fa percorrere al "cieco".

Per lui, inizialmente Gesù è semplicemente "l’uomo" che lui non sa neppure dov’è e che non ha mai visto! (vv 11-12). Poi è "un profeta" (v 17), quindi un uomo che viene da Dio (v 33), ma è solo davanti a Gesù che gli rivela la sua identità di "Figlio dell’uomo" il momento in cui acquista la "vista", ossia la capacità di credere in Gesù: "Credo, Signore!" (vv 35-38).

Si comprende, così, perché la sapienza orante della Chiesa abbia letto e interpretato il testo evangelico oggi proclamato in chiave "battesimale". La stessa cosa avviene per la Lettura presa dal libro dell’Esodo 17,1-11 dove, nell’acqua fatta scaturire dalla roccia percossa dal bastone di Mosè (vv 5-6), si è vista una profezia dell’acqua scaturita dal petto del Signore crocifisso (Giovanni 19,34), simbolo del Battesimo, che è la "piscina di Siloe" in cui tutti sono invitati ad immergersi per ottenere la guarigione dalla cecità connaturata all’uomo, vale a dire l’incredulità.

È ciò che proclama il Prefazio che vede nel "prodigio inaudito" con il quale il Signore ha ridato la vista al cieco nato il disegno mirabile di Dio di lavare "la cecità di questo mondo" e di far risplendere "ai nostri occhi ottenebrati" la "luce vera" ossia il suo Figlio Gesù! L’interpretazione battesimale è pure chiaramente affermata nella seconda parte del Prefazio dove: «Nel mendicante guarito è raffigurato il genere umano prima nella cecità della sua origine e poi nella splendida illuminazione che al fonte battesimale gli viene donata».

Il brano dunque, se è particolarmente adatto a preparare i "catecumeni" al Battesimo, è prezioso anche per noi già "illuminati" per prenderne una sempre più viva e gioiosa consapevolezza e per vivere, come ci esorta l’Apostolo, come "figli della luce e figli del giorno", considerato appunto, che con l’illuminazione battesimale non siamo più sotto il potere delle tenebre e dunque "figli delle tenebre" (1Tessalonicesi 5,5).

L’Apostolo poi specifica che tale esistenza è così declinata: «siamo sobri, vestiti con la corazza della fede e della carità, e avendo come elmo la speranza della salvezza» (v 8).

Per questo preghiamo con le parole del Canto All’Ingresso: «Tu che hai aperto gli occhi al cieco nato, con la tua luce illumina il mio cuore perché io sappia vedere le tue opere e custodisca tutti i tuoi precetti» e ad "occhi aperti" ti riconosca mentre mi parli nelle Scritture e nei santi "segni" del tuo amore: il tuo Corpo "offerto", il tuo Sangue "versato".

(A.Fusi)

256 - IV DOMENICA DI QUARESIMA ANNO C

“Io sono la luce del mondo, dice il Signore, chi segue me avrà la luce della vita”: è il cuore della liturgia di questa quarta Domenica di Quaresima. Nella guarigione del cieco nato è raffigurato il sacramento del battesimo, che ci rende figli della luce: “Noi non apparteniamo alla notte né alle tenebre”. La partecipazione a questa celebrazione ci doni di riscoprire la nostra dignità di figli di Dio e susciti in ciascuno la stessa convinta professione di fede del”mendicante guarito”: “Credo Signore”, “da’ luce ai miei occhi, con la tua luce illumina il mio cuore”.

.

Lettura: Esodo 17,1-11: Mosè deve combattere sia contro nemici esterni, come Amalek, sia contro le mormorazioni e le incredulità del suo popolo. È la fede obbediente alla parola di Dio che dona vittoria. L’acqua scaturisce dalla roccia. Quella roccia che è Cristo, dirà Paolo.

.

Salmo 35: Signore nella tua luce vediamo la luce.

.

Epistola: 1Tessalonicesi 5,1-11: L’attesa, nutrita di ferma speranza, del Giorno del Signore, ci rende già da ora figli della luce, anche se ancora camminiamo nelle tenebre. Il Signore, luce del mondo, illumina il nostro presente, consentendoci di viverlo con sobrietà e vigilanza.

.

Vangelo: Giovanni 9,1-38b: Mosè dona l’acqua al popolo assetato. È un simbolo battesimale. Anche il cieco guarisce lavandosi nella piscina dell’Inviato, nell’acqua battesimale donata da Gesù. È l’incontro con lui, luce del mondo, a illuminare i nostri occhi e la nostra vita.

giovedì 11 marzo 2010

255 - CRUX DOLOROSA. UN CROCIFISSO DEL TRECENTO LUCCHESE

Cruz dolorosa

Pare ispirato direttamente a una lauda di Jacopone da Todi, lo straordinario crocifisso ligneo che dal prossimo 26 febbraio, e per tutto il tempo quaresimale, sarà esposto presso il Museo Diocesano a Milano nell’ambito della mostra Crux Dolorosa. Un autentico, sconosciuto capolavoro solo recentemente rintracciato sul mercato antiquario e che oggi, sottoposto a un attento restauro, può rivelare tutta la sua emozionante bellezza

Il modellato è vigoroso e raffinato a un tempo, la figura slanciata e di vibrante intensità. Un’opera databile alla prima metà del Trecento e che appartiene, quindi, alla più fulgida stagione dell’arte gotica italiana, collocandosi nella tradizione toscana e, all’interno di questa, in particolare, alla scuola lucchese. Quella stessa che, al livello più alto, è rappresentata dal cosiddetto Maestro di Camaiore, anonimo scultore a cui fanno capo una serie di lavori sparsi nelle pievi della Toscana occidentale, fino al confine con l’Umbria.
La tipologia è quella, ben nota, del “Crocifisso doloroso”. Un’iconografia, cioè, che mette in evidenza le sofferenze patite da Cristo sulla Croce, accentuando i segni del martirio: tutto il corpo, infatti, è teso fino ad apparire disarticolato, mentre le ossa traspaiono dal busto scarnificato e il capo ricade sul petto in un ultimo sussulto di vita. Questo modello compare, pressoché simultaneamente, in Italia e in Germania negli ultimi decenni del XIII secolo, ottenendo poi una immediata diffusione in gran parte della cristianità occidentale. L’affermazione di questa particolare rappresentazione del Crocifisso è da mettersi in relazione soprattutto con la predicazione degli ordini mendicanti, che propongono all’attenzione dei fedeli una nuova religiosità basata anche su una più accesa sensibilità per l’umanità di Cristo. Proprio la meditazione sui patimenti di Gesù crocifisso, ad esempio, è un aspetto cruciale negli scritti di uno dei personaggi e dei teologi più influenti del suo tempo, Bonaventura da Bagnoregio, generale dell’ordine dei Minori fino al 1274.

La necessità di rappresentare vividamente i segni della Passione di Cristo dava inoltre particolare importanza anche alla coloritura di questi crocifissi: una policromia, infatti, di cui è possibile scorgere le tracce anche sul superbo manufatto presentato al Museo Diocesano. Si tratta, insomma, di grandiose, monumentali immagini devozionali di culto, che erano al centro di momenti liturgici celebrati collettivamente, ma che diventavano anche oggetto di una preghiera intima e personale, di una meditazione individualizzata, proprio come francescani e domenicani andavano predicando alle folle del basso medioevo, allestendo anche vere e proprie sacre rappresentazioni popolari.

Sconosciuto, purtroppo, rimane il nome di questo abilissimo intagliatore, capace di staccarsi dagli effetti marcatamente truculenti tipici della tradizione tedesca per dare ancora più nobiltà e dolente maestosità al “suo” Cristo in croce. Un autore anonimo che potrebbe rientrare, l’abbiamo detto, nell’ambito del Maestro di Camaiore e che tuttavia, a nostro avviso, si eleva per qualità e forza anche da questo, per una plasticità particolarmente elegante, seppur sobria e misurata, forse persino con accenti francesi.

(Luca Frigerio, in www.incrocinews.it)

.

Museo Diocesano, corso di Porta Ticinese 95, Milano.

Dal 26/02/2010 al 05/04/2010

mercoledì 10 marzo 2010

254 - IO SONO LA VERITA’

La verità è debole. Debole in sé, perché basta poco per oscurarla e ferirla, è debole in noi perché la nostra fragilità la rimette continuamente in questione. È così facile sporcare una sorgente d’acqua: basta buttarci una manata di terra.

È così facile prendere il pane e banalizzarlo, buttarlo via per la strada.

È così facile chiudere gli occhi e non vedere la luce. È così facile, purtroppo, è così tragicamente facile, sopprimere la vita: basta poco, basta un gesto, basta un momento di odio, basta un’arma in mano, basta una siringa, bastano pochissime cose per sopprimere una vita.

La verità è fragile. Fragile come è fragile l’acqua che passa nella terra e che ciascuno può

calpestare, è fragile come il pane che si butta via, è fragile come la luce che si può non vedere, ed è fragile come la vita che si può ferire ed uccidere. È fragile non soltanto in sé stessa, ma è fragile perché è messa in mani fragili, perché è messa – come dice San Paolo – in vasi d’argilla che siamo noi. È fragile perché continuamente può essere rotta, spezzata, calpestata, dimenticata, tradita.

Nasce allora spontanea una preghiera: “Chi ci darà questa acqua sorgiva che non viene mai meno? Chi ci darà il pane semplice del nutrimento quotidiano di cui possiamo cibarci ogni giorno e che possiamo spezzare ai fratelli? Chi ci darà questa chiarezza come quella della luce di fronte alla quale non chiudiamo gli occhi? E chi ci darà la potenza della vita?”

Ed ecco che il Signore ci risponde e ci dice: “Io sono l’acqua viva, io sono il pane di vita, io sono la luce, io sono la risurrezione e la vita. Io sono l’acqua viva che non viene mai meno e che toglie ogni sete, io sono l’acqua che zampilla per la vita eterna. Io sono il pane di vita: chi ne mangia non muore. Io sono la luce che risplende tra le tenebre e che le tenebre non possono coprire. Io sono la risurrezione e la vita, chi crede in me, anche se morto, vivrà e chi vive e crede in me avrà la vita eterna”.

Cardinale Carlo Maria Martini, Veglia in Traditione Symboli 1980)

lunedì 8 marzo 2010

253 - CERCO UNA VERITÀ CHE SIA …

Cerco una verità che sia sorgiva come l’acqua: una verità che non debba tutte le volte prendere in prestito a destra e a sinistra; una verità per la quale non debba continuamente rifarmi a modelli esterni, ma che mi salga dall’interno; una verità che continuamente si rinnovi in me e in ciascuno di noi, come si rinnova continuamente, sempre nuova e sempre uguale, l’acqua della sorgente.

.

Cerco una verità che sia semplice come il pane: una verità che si possa toccare la si possa vedere, che non ci inganni, che non sia complicata, che non sia difficile e che, come il pane, possa essere spezzata, divisa e distribuita ad altri.

.

Cerco una verità che sia chiara come la luce: una verità che non abbia tenebre, non abbia sotterfugi, nascondigli, remore, reticenze; una verità capace di illuminare la mia strada, capace di illuminare anche la strada degli altri.

.

Cerco una verità che sia potente come la vita: una verità capace sempre di rinnovarsi, mai stanca di sé; una verità che continuamente risorga dalla propria stanchezza, dalla propria sfiducia, dal proprio adagiarsi pigro; una verità che continuamente riviva in noi, che sia potente così come la vita è potente sopra ogni altra realtà.

(Cardinale Carlo Maria Martini, Veglia in Traditione Symboli 1980)

domenica 7 marzo 2010

252 - IN RICERCA DELLA VERITÀ

Siamo tutti, sono anch’io, in ricerca della verità, desideriamo la verità: la cerchiamo, la chiediamo, la vogliamo in ogni momento della nostra vita, e dovendo tradurre questa ricerca, almeno per me, io la tradurrei soprattutto come desiderio di autenticità.

Desidero davanti al Signore di essere autentico, vorrei cioè che esistesse una corrispondenza fra i gesti e le parole, una corrispondenza tra le parole e le azioni, una corrispondenza tra le promesse e gli adempimenti, una corrispondenza tra ciò che noi per grazia di Dio vogliamo essere e ciò che cerchiamo di essere e ci sforziamo di essere nella nostra vita quotidiana.

Desideriamo la verità, desideriamo l’autenticità, desideriamo che nelle nostre parole, nei nostri gesti, nelle nostre azioni tutto ciò che diciamo e che facciamo corrisponda a ciò che il Signore ci mette dentro.

Che non ci sia uno scarto, una distanza, un divario, tra ciò che sentiamo e ciò che viviamo. Cerchiamo dunque insieme l’autenticità, la desideriamo, la vogliamo nei rapporti di amicizia, di fraternità, nei rapporti di ogni giorno tra di noi. E cerchiamo questa verità con delle caratteristiche particolari, caratteristiche che riassumo con alcune immagini, che ricavo dal Vangelo di Giovanni.

Cerco o Signore, una verità che sia sorgiva come l’acqua, che sia semplice come il pane, che sia chiara come la luce, che sia potente come la vita.

(Carlo Maria Martini, Veglia in Traditione Symboli 1980)

venerdì 5 marzo 2010

251 - DOMENICA DI ABRAMO

Abramo, Mosaico della Basilica di San Vitale - Ravenna
.

E’ detta "di Abramo" perché il brano evangelico in essa sempre proclamato, preso da Giovanni 8,31-59, lo propone come padre e modello di tutti coloro che aprono il cuore alla rivelazione di Dio nel suo Figlio Gesù. È la fede, in una parola, richiesta a chi deve ricevere il Battesimo ed è la fede che deve caratterizzare l’esistenza dei già battezzati comunemente, non a caso, detti "fedeli".

.

Il brano si presenta suddiviso in tre parti. Nei vv 31-36 Gesù, in dialogo con i Giudei che avevano creduto in lui, li esorta a «rimanere nella sua parola» per conoscere la "verità" ossia la salvezza da lui stesso portata come "inviato" di Dio e che libera dal "peccato" ovvero da quella condizione di lontananza da Dio, e dunque, di tenebra e di morte in cui l’uomo vive in questo mondo.

I vv 37-47 riguardano la vera discendenza da Abramo che consiste essenzialmente nel «fare le opere di Abramo», ossia nel credere e nel consegnarsi alla volontà di Dio così come Gesù, il Figlio, fa nei riguardi del Padre.

L’ultima sezione, comprendente i versetti 48-59, riporta la promessa di Gesù a coloro che ascoltano la sua parola di «non vedere la morte»; la rivelazione della sua "preesistenza" nei confronti di Abramo con la decisiva parola di rivelazione: «Prima che Abramo fosse, io sono».

La presente domenica non a caso è denominata "di Abramo" perché, nel progressivo cammino di fede teso alla celebrazione della nostra salvezza nella Pasqua del Signore, egli rappresenta come "l’esemplare" e insieme "il capostipite" dei credenti. Per essere tali, infatti, bisogna fare ciò che ha fatto lui: credere! In una parola, solo chi crede, perciò, può gloriarsi in tutta verità del titolo di "figlio di Abramo". Tale "figliolanza", di conseguenza, non è più da considerarsi come una discendenza "naturale" da Abramo, un semplice appartenere cioè alla sua stirpe! Gesù, infatti, ai suoi interlocutori, ostilmente chiusi alla sua Parola, lo dice apertamente: «Se foste figli di Abramo, fareste le opere di Abramo» (v 39) che la Scrittura sintetizza come "ascolto" e "obbedienza" alla volontà di Dio.

È ciò che siamo chiamati a fare noi che, con l’adesione alla Parola divina di salvezza e mediante la fede e il Battesimo, formiamo la Chiesa «che si raccoglie da ogni tribù, lingua e nazione» e, nella quale si realizza, in tutta verità, la divina promessa di dare «al patriarca come sua discendenza» la «moltitudine dei popoli» (Prefazio).

La Quaresima, riaprendo ogni anno il cammino di riscoperta della grazia ricevuta nel sacramento pasquale del Battesimo, ci esorta a verificare, in noi, la presenza delle "opere di Abramo" ovvero la fede! Questa va ricercata nel "rimanere nella Parola" e nell’"osservare la Parola" (cfr. Giovanni 8,31.51). "Rimanere nella Parola" significa entrare in intimità con il Signore che apre il cuore dei suoi discepoli alla "verità" che non è da intendere, anzitutto, come un complesso di "dottrine", ma come la rivelazione che in Gesù non solo si compie ma viene addirittura superata la "profezia" di Mosè.

Gesù, infatti, non è soltanto "un profeta" pari a Mosè, a cui occorre dare ascolto (Lettura: Deuteronomio 18,18-19). Egli è perfino più "grande di Abramo" e "preesistente" ad Abramo (cfr. Giovanni 8,53.58) perché è il Figlio "uscito", "venuto" e "mandato" da Dio (v 42) per "farci liberi" (vv 32.34), ovvero per slegarci dal potere del peccato.

L’apostolo Paolo afferma la stessa cosa parlando di "giustificazione gratuita" che ci è data da Dio "per mezzo della redenzione che è in Cristo Gesù" (Epistola: Romani 3,24). L’"osservanza", poi, della Parola, vale a dire l’obbedienza nella fede, ai precetti del Signore, è richiesta per vivere davvero nella "libertà" e per non ricadere nella schiavitù vergognosa del peccato, porgendo l’orecchio al "padre della menzogna" (Giovanni 8,44) che, essendo "omicida" ha come intento quello di trascinare l’uomo nella "morte eterna", nella perdizione. Al contrario, "osservare la Parola" è garanzia di "non vedere la morte in eterno" (v 51.58), ossia di vivere, già da adesso, quella relazione filiale con Dio che è la vera vita: quella eterna.

(A.Fusi)

250 - III DOMENICA DI QUARESIMA -ANNO C

“Salvaci Signore nostro Dio”: è la preghiera che accompagna il cammino della Quaresima. La vera e unica discendenza di Abramo si realizza nell’accoglienza del Signore Gesù, perché la nostra libertà nasce dall’amore con cui siamo stati creati ad immagine e somiglianza di Dio. Per questo, nella memoria grata del nostro battesimo, siamo chiamati a superare qualsiasi presunzione di esclusività o tentativo di rivendicazione in ordine alla salvezza offerta dal Signore e chiediamo di “crescere nella fede, nella speranza e nell’amore”. E’ l’impegno che nasce dalla parola stessa di Gesù: “Se rimanete nella mia parola, siete davvero miei discepoli; conoscerete la verità, e la verità vi farà liberi”.

.

Lettura: Deuteronomio 6,4a;18,9-22: Dio promette di suscitare un profeta come Mosè, così che il popolo ascolti la sua voce e viva. A consentire di discernere il vero profeta che parla in nome di Dio è l’attuarsi della sua parola. Quella di Dio è una parola efficace: compie ciò che dice.

.

Salmo 105: Salvaci Signore nostro Dio.

.

Epistola: Romani 3,21-26: La promessa fatta a Mosè si compie in Gesù. Anzi Dio dona più di quanto promesso, perché Gesù è più che un profeta. A lui rendono testimonianza la Legge e i Profeti. L’efficacia della sua Parola si attua nel rendere giusti quanti credono in lui.

.

Vangelo: Giovanni 8,31-59: Nell’esultanza di Abramo, che gioisce nel vedere il giorno di Gesù, si ricapitola l’intera storia della salvezza, tesa a compiersi nel figlio di Dio venuto nella nostra carne. Egli ci libera dalla menzogna e dal peccato, attuando per noi l’opera del Padre.

mercoledì 3 marzo 2010

249 - VISITA PASTORALE DEL CARDINALE TETTAMANZI

Domenica 28 febbraio 2010 - Parrocchia di Sant'Ignazio di Loyola
Visita pastorale del Cardinale Tettamani al Decanato di Lambrate

248 - IN CAMMINO VERSO LA PASQUA

Continua il nostro cammino quaresimale. È un tempo per stare con te, Signore, in modo del tutto speciale, un tempo per pregare, per digiunare, e così seguirti sulla strada verso Gerusalemme, verso il Golgota e verso la vittoria finale sulla croce.

Io sono ancora tanto confuso. Voglio davvero seguirti, ma voglio anche seguire i miei desideri e dare ascolto alle voci che parlano di prestigio, di successo, di piacere, di potere e di autorità. Aiutami a diventare sordo a queste voci e più attento alla tua, che mi chiama a scegliere la strada stretta che porta alla vita.

So che la Quaresima sarà un tempo molto duro per me, se accetterò di viverla seriamente, con fede.

La scelta della tua via la devo fare ogni momento della mia vita. Devo scegliere pensieri che sono i tuoi pensieri, parole che sono le tue parole, e azioni che sono le tue azioni. Nessun tempo e nessun luogo è senza scelte. E so bene quanto sia forte la mia resistenza a scegliere Te.

Ti prego, Signore, resta con me in ogni momento e in ogni luogo. Dammi forza e coraggio di vivere questo tempo fedelmente, così che quando arriverà la Pasqua, io sia in grado di gustare con gioia la nuova vita che Tu ci hai preparato. Amen.

(Henri J.M.Nouwen – Mostrami il cammino)

martedì 2 marzo 2010

247 - LA QUARESIMA E’ CAMMINO DI CONVERSIONE

La liturgia quaresimale si compone di valori che, nel loro insieme, sollecitano e illuminano lo svolgersi di un cammino di conversione. Accompagnare il Signore nel suo “salire verso Gerusalemme” significa rinnovare la scelta di comunione nel suo mistero di morte e risurrezione, che trova nell’abbandoni di fede al Padre e nel servizio di carità ai fratelli le sue espressioni più autentiche. Il nutrimento della Parola – “Non di solo pane vivrà l’uomo, ma di ogni parola che esce dalla bocca di Dio” – illumina la direzione dell’itinerario spirituale dei credenti, rivelando la durezza del nostro cuore e la lontananza di tanti nostri atteggiamenti dai pensieri di Dio.

I molti richiami della liturgia quaresimale al Battesimo costituiscono un invito a rinnovare l’alleanza con Dio e a intraprendere il sentiero che ci fa autenticamente discepoli di Gesù.

Infine le ricorrenti sottolineature della nostra fragilità e della situazione di peccato in cui viviamo chiedono di avere accoglienza nei segni della penitenza, che manifesta un cuore consapevole del proprio sbaglio e della propria povertà, ma nello stesso tempo, fiducioso nella misericordia del Signore.

Ognuno dei quaranta giorni quaresimali porta dentro di sé questi messaggi.

Facciamo sì che il pregare come singoli e come comunità nelle celebrazioni liturgiche trasformi il nostro cuore e ci indichi i segni di una vera conversione.

(Carlo Maria Martini, Lettera per la Quaresima 1984)

.

invia una mail di commento - scrivi a pgigiba@gmail.com

246 - QUALE UNITÀ ESISTE FRA ANTICO E NUOVO TESTAMENTO?

La Scrittura è una, in quanto unica è la Parola di Dio, unico il progetto salvifico di Dio, unica l'ispirazione divina di entrambi i Testamenti. L'Antico Testamento prepara il Nuovo e il Nuovo dà compimento all'Antico: i due si illuminano a vicenda.

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 23)

.

Scripture is one insofar as the Word of God is one. God’s plan of salvation is one, and the divine inspiration of both Testaments is one. The Old Testament prepares for the New and the New Testament fulfills the Old; the two shed light on each other.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.23)

.

La Escritura es una porque es única la Palabra de Dios, único el proyecto salvífico de Dios y única la inspiración divina de ambos Testamentos. El Antiguo Testamento prepara el Nuevo, mientras que éste da cumplimiento al Antiguo: ambos se iluminan recíprocamente. (Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.23)

lunedì 1 marzo 2010

245 - APOSTOLATO DELLA PREGHIERA MARZO 2010

Generale: perché l’economia mondiale sia gestita secondo criteri di giustizia e di equità, tenendo conto delle reali esigenze dei popoli, specialmente di quelli più poveri.

.

Missionaria: perché le Chiese in Africa siano segno e strumento di riconciliazione e di giustizia in ogni regione del Continente.