Parrocchia S. Gerolamo Emiliani di Milano - Blog

Il Blog "Insieme per..." vuole proporre spunti di riflessione e di condivisione per costruire insieme e fare crescere la comunità della parrocchia di San Gerolamo Emiliani di Milano, contribuendo alla diffusione del messaggio evangelico.

lunedì 30 novembre 2009

168 - L’ENCICLICA “CARITAS IN VERITATE” IN PILLOLE - 3 -

La lotta contro la fame: Eliminare la fame nel mondo è divenuta, nell'era della globalizzazione, anche un traguardo da perseguire per salvaguardare la pace e la stabilità del pianeta. La fame non dipende tanto da scarsità materiale, quanto piuttosto da scarsità di risorse sociali, la più importante delle quali è di natura istituzionale. Manca, cioè, un assetto di istituzioni economiche in grado sia di garantire un accesso al cibo e all'acqua regolare e adeguato dal punto di vista nutrizionale, sia di fronteggiare le necessità connesse con i bisogni primari e con le emergenze di vere e proprie crisi alimentari, provocate da cause naturali o dall'irresponsabilità politica nazionale e internazionale. Il problema dell'insicurezza alimentare va affrontato in una prospettiva di lungo periodo, eliminando le cause strutturali che lo provocano e promuovendo lo sviluppo agricolo dei Paesi più poveri mediante investimenti in infrastrutture rurali, in sistemi di irrigazione, in trasporti, in organizzazione dei mercati, in formazione e diffusione di tecniche agricole appropriate, capaci cioè di utilizzare al meglio le risorse umane, naturali e socio-economiche maggiormente accessibili a livello locale, in modo da garantire una loro sostenibilità anche nel lungo periodo (n.27)

Vita e sviluppo: L'apertura alla vita è al centro del vero sviluppo. Quando una società s'avvia verso la negazione e la soppressione della vita, finisce per non trovare più le motivazioni e le energie necessarie per adoperarsi a servizio del vero bene dell'uomo. Se si perde la sensibilità personale e sociale verso l'accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono (n.28).

Diseguaglianze: La dignità della persona e le esigenze della giustizia richiedono che, soprattutto oggi, le scelte economiche non facciano aumentare in modo eccessivo e moralmente inaccettabile le differenze di ricchezza e che si continui a perseguire quale priorità l'obiettivo dell'accesso al lavoro o del suo mantenimento, per tutti. (n.32

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domenica 29 novembre 2009

167 - VEGLIATE E PREGATE IN OGNI MOMENTO

“Vegliate!” ci dice Gesù con insistenza. Non dobbiamo soltanto credere, ma anche vegliare; non dobbiamo semplicemente amare, ma anche vegliare; non dobbiamo solamente ubbidire, ma anche vegliare. Vegliare perché ? Per questo grande, per questo supremo avvenimento: la venuta di Cristo. Sembra trattarsi di una chiamata speciale, un dovere che non ci sarebbe mai venuto in mente se Gesù, in persona, non ce l’avesse ingiunto. Ma cos’è vegliare ?

Veglia nell’attesa di Cristo, chi tiene il suo spirito sensibile, aperto, sul chi va là, che resta vivace, sveglio, pieno di zelo nel cercarlo ed onorarlo. Desidera trovare Cristo in tutto quello che succede. Non proverebbe nessuna sorpresa, né spavento, né agitazione se apprendesse che Gesù fosse qui.

Veglia con Cristo chi, mentre guarda il futuro, sa di non dovere dimenticare il passato, chi non dimentica ciò che Cristo ha sofferto per lui. Veglia con Cristo chi, in ricordo di lui, si unisce alla croce e all’agonia di Cristo, chi porta gioiosamente la tunica che Cristo ha portato fino alla croce ed ha lasciato dopo la sua Ascensione. Spesso nelle lettere, gli scrittori ispirati esprimono il desiderio del secondo avvento. Ma non dimenticano mai il primo, la crocifissione e la risurrezione… Perciò l’apostolo Paolo, quando invita i Corinzi ad « aspettare la venuta del Signore », non manca di dire loro di « portare sempre e dovunque nel nostro corpo la morte di Gesù perché anche la vita di Gesù si manifesti nel nostro corpo » (2 Cor 4, 10). Il pensiero di quello che è Cristo oggi non cancelli il ricordo di quello che è stato per noi…

Vegliare è quindi vivere liberi nei confronti delle cose presenti, è vivere nell’invisibile, è vivere nel pensiero di Cristo tale quale è venuto una prima volta e tale quale deve venire, è desiderare la sua seconda venuta, nella memoria piena di amore e di riconoscenza per la sua prima venuta.

Cardinale John Henry Newman (1801-1890), sacerdote, fondatore di una comunità religiosa, teologo

venerdì 27 novembre 2009

166 - 3° DOMENICA DI AVVENTO - AMBROSIANO

Nel progressivo itinerario dell’Avvento in preparazione al Natale, questa terza domenica di Avvento in rito ambrosiano individua in Gesù "colui che deve venire" ossia l’atteso "inviato" da Dio che porta a compimento la promessa di salvezza per il popolo d’Israele e per tutti i popoli della terra.

Il passo evangelico è preso dal cap. 7 di Luca, che riportando le parole e i miracoli compiuti da Gesù lo presenta come l’"atteso" portatore di salvezza annunciato dai Profeti e la cui "potenza" salvifica si manifesta nella sua "misericordia" e nella sua bontà. I versetti oggi proclamati, in particolare, costituiscono la parte centrale del capitolo e contengono la testimonianza che Gesù fa di sé (vv 21-23) in risposta agli inviati da Giovanni il Battista (vv 18-20) e la testimonianza che Gesù offre sul Battista (vv 24-28).

Il testo evangelico, proclamato nel progressivo cammino di illuminazione e di fede con cui il tempo liturgico dell’Avvento ci prepara a celebrare nel Natale la "prima venuta del Signore" "nella carne", ci dice che le divine promesse di salvezza si realizzano in quella specifica modalità che il termine "carne" evoca; vale a dire nella fragilità e nella debolezza propria a ogni uomo. Un simile modo di agire da parte di Dio suscita naturalmente perplessità e interrogativi all’umana intelligenza.

Del resto la Lettura ci conferma come il nostro è un Dio che sorprende e scompagina gli schemi umani più ragionevoli, tutto piegando alla sua volontà salvifica: l’elezione e l’investitura regale di Ciro, re di Persia, un nemico dunque d’Israele, è voluta da Dio proprio per la liberazione del suo popolo (cfr. Isaia 45,1ss).

Interrogativi e perplessità nutrite anche da Giovanni il Battista quando «fu informato dai suoi discepoli su tutte queste cose», ossia sulla predicazione e sull’attività di Gesù, sul suo sedersi a mensa con i "pubblicani e i peccatori", sul suo prendersi cura dei malati, dei poveri, dei marginali nella società del tempo. Interrogativi e perplessità ben riconoscibili nella domanda posta a Gesù: «Sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?» .

Giovanni, infatti, in sintonia con il comune sentire del tempo, diceva imminente l’arrivo dell’inviato di Dio come "giudice" escatologico, ossia come colui che viene per il "giudizio finale" di salvezza per i buoni e di perdizione nel fuoco eterno per i malvagi e gli empi. Per questo l’agire di Gesù può rappresentare, anche per il Battista, come uno "scandalo" ossia come un inciampo nel credere e nel riconoscere proprio in Lui "colui che deve venire".

Eppure, a ben guardare, Gesù si muove nella linea della promessa salvifica di Dio così come è stata annunziata dal profeta Isaia e che lui stesso cita sintetizzando: «i ciechi riacquistano la vista, gli zoppi camminano, i lebbrosi sono purificati, i sordi odono, i morti risuscitano, ai poveri è annunciata la buona notizia» (cfr. Isaia 29,18-19; 35,5-6; 61,1-2). Ed è proprio l’annuncio ai "poveri" della buona novella dell’amore e della vicinanza di Dio a essi, e di cui i "miracoli" sono il segno tangibile, ad accreditare Gesù come "colui che deve venire" e al quale occorre aprirsi, rinunciando alle personali attese e vedute, per poter gioire della beatitudine e della gioia proprie di chi incontra Dio e la sua salvezza.

Questo è il Messia che la Chiesa annuncia incessantemente e che la celebrazione annuale del Natale intende riproporre con forza. Il Signore verrà senza dubbio come il giudice dei vivi e dei morti per il giudizio di salvezza e di condanna. ( A.Fusi)

Lettura: Isaia 45,1-8; Salmo 125; Epistola: Romani 9,1-5; Vangelo: Luca 7,18-26.

165 - LA MEDAGLIA MIRACOLOSA

Qualche mese dopo le apparizioni, Suor Caterina è inviata al ricovero di Enghein (Parigi) per curare gli anziani. La giovane suora si mette al lavoro. Ma una voce interiore insiste: si deve far coniare la medaglia. Nel febbraio 1832 scoppia a Parigi una terribile epidemia di colera, che provocherà più di 20.000 morti ! In Giugno le Figlie della Carità cominciano a distribuire le prime 2.000 medaglie, fatte coniare da Padre Aladel. L guarigioni si moltiplicano, come le protezioni e le conversioni. Fu un avvenimento straordinario. Il popolo di Parigi chiamò la medaglia «miracolosa».

Nell’autunno 1834 c’erano già più di 500.000 medaglie. Nel 1835 nel mondo intero ce n’era già più di un milione. Nel 1839 la medaglia era diffusa in più di dieci milioni di esemplari.

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Le parole e le immagini impresse sul diritto della medaglia esprimono un messaggio con tre aspetti intimamente legati. “O Maria concepita senza peccato, prega per noi che ricorriamo a Te

L’identità di Maria ci è rivelata qui esplicitamente: la Vergine Maria è immacolata fin dal concepimento. Da questo privilegio, che le deriva dai meriti della Passione di suo Figlio Gesù Cristo, ne scaturisce tutta la sua potenza d’intercessione, che ella esercita per coloro che la pregano.

Ed è per questo che la Vergine invita tutti gli uomini a ricorrere a Lei nelle difficoltà della vita.

I suoi piedi sono posati sulla metà del globo e schiacciano la testa al serpente.

Le sue mani sono aperte e le sue dita sono ornate di anelli ricoperti di pietre preziose, dalle quali escono raggi, che cadono sulla terra, allargandosi verso il basso.

Lo splendore di questi raggi, come la bellezza e la luce dell’apparizione, descritte da Caterina, richiamano, giustificano e nutrono la nostra fiducia nella fedeltà di Maria (gli anelli) nei confronti del suo Creatore e verso i suoi figli, nell’efficacia del suo intervento (i raggi di grazia, che cadono sulla terra) e nella vittoria finale (la luce), poiché lei stessa, prima discepola, è la primizia dei salvati.

La medaglia porta sul suo rovescio una lettera e delle immagini, che ci introducono nel segreto di Maria. La lettera « M » è sormontata da una croce. La « M » è l’iniziale di Maria, la croce è quella di Cristo. I due segni intrecciati mostrano il rapporto indissolubile che lega Cristo alla sua santissima Madre. In basso, due cuori, l’uno circondato da una corona di spine, l’altro trapassato da una spada. Il cuore coronato di spine è il cuore di Gesù. Ricorda l’episodio crudele della Passione di Cristo, prima della morte, raccontata nei Vangeli. Il cuore simboleggia la sua Passione d’amore per gli uomini. Il cuore trafitto da una spada è il cuore di Maria, sua Madre. Si riferisce alla profezia di Simeone, raccontata nei Vangeli, il giorno della presentazione di Gesù al tempio di Gerusalemme da Maria e Giuseppe. Simboleggia l’amore di Cristo, che è in Maria e richiama il suo amore per noi, per la nostra salvezza e l’accettazione del sacrificio del suo Figlio.

Attorno sono raffigurate dodici stelle. Corrispondono ai dodici apostoli e rappresentano la Chiesa. Essere Chiesa, significa amare Cristo, partecipare alla sua passione, per la Salvezza del mondo. Ogni battezzato è invitato ad associarsi alla missione del Cristo, unendo il suo cuore ai Cuori di Gesù e di Maria.

giovedì 26 novembre 2009

164 - SANTA CATERINA LABOURE E LE APPARIZIONI DI RUE DU BAC

Caterina Labourè nacque a Fain-les-Moutiers, un villaggio della Borgogna, il 2 maggio 1806. Rimasta orfana di madre a nove anni con sette fratelli e due sorelle, Caterina non poté frequentare le classi elementari, ma dovette rendersi utile in famiglia.

All'età di ventiquattro anni fu ammessa tra le Figlie della Carità. Durante il suo noviziato ebbe alcune visioni, ma le più importanti furono le apparizioni dell'Immacolata della "Medaglia--miracolosa".

Fu questo un ciclo di almeno cinque apparizioni, simili fra loro, ma delle quali due ebbero caratteristiche ben individuate. Nella notte tra il 18 e il 19 1uglio 1830, Caterina, condotta da un angelo nella grande cappella della Casa Madre, ebbe un colloquio con la Madonna, che le preannunziò nuovi incontri. Questi avvennero nel settembre, il 27 novembre e nel dicembre 1830. La più nota e la più singolare delle apparizioni fu quella avvenuta il 27 novembre, nella quale si possono distinguere due fasi. Nella prima fase la Madonna appare a Caterina, nell’atto di offrire a Dio un piccolo globo dorato, simbolo del mondo e di ogni anima, ch'Ella tiene all'altezza del cuore: dalle mani della Madonna piovono sul globo inferiore due fasci di luce. Nella seconda fase, mentre il piccolo globo d'oro scompare, le mani della Vergine si abbassano, ancora irraggianti fasci luminosi, simbolo delle grazie ottenute da Dio per la sua intercessione e, come a formare un'aureola intorno alla testa della Madonna, appaiono a caratteri d'oro le parole della giaculatoria: "O Maria, concepita senza peccato, pregate per noi che ricorriamo a Voi". Poi il quadro sembra visto nel suo retro: la figura della Madonna scompare e al centro si staglia, luminosissima, la lettera M, al di sopra della quale appare la croce e al di sotto i ss. Cuori di Gesù e Maria, mentre dodici stelle fulgidissime fanno corona.

Contemporaneamente una voce interiore ingiunse a Caterina di far coniare una medaglia che riproducesse la visione: ma soltanto il 30 giugno 1832 furono coniati i primi millecinquecento esemplari. La medaglia fu presto detta "miracolosa" e fra i miracoli più belli da essa operati, vi fu la conversione dell'ebreo Alfonso Ratisbonne (20 gennaio 1842). Per desiderio espresso dalla Madonna nelle apparizioni di Parigi, nacque l'Associazione delle Figlie di Maria Immacolata (1836-47). Nessuno, tranne i superiori, seppe mai dei favori celesti concessi a Caterina Ella visse nella più grande umiltà e nel più assoluto silenzio e servì per quarantasei anni i poveri dell'ospizio di Enghien a Parigi.

Morì il 31 dicembre 1876; quando la sua salma fu esumata, le mani che avevano toccato la Madonna e gli occhi che l'avevano veduta, apparvero straordinariamente conservati. Fu beatificata da Pio XI il 28 maggio 1933 e canonizzata da Pio XII il 27 luglio 1947: le sue reliquie riposano nella cappella in cui ebbe le apparizioni. La festa liturgica è stabilita al 28 novembre.

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martedì 24 novembre 2009

163 - VIVERE L'ATTESA


Celebrare l'Avvento, significa saper attendere, e l'attendere è un'arte che, il nostro tempo impaziente, ha dimenticato. Il nostro tempo vorrebbe cogliere il frutto appena il germoglio è piantato; così, gli occhi avidi, sono ingannati in continuazione, perché il frutto, all'apparenza così bello, al suo interno è ancora aspro, e, mani impietose, gettano via, ciò che le ha deluse. Chi non conosce l'aspra beatitudine dell'attesa, che è mancanza di ciò che si spera, non sperimenterà mai, nella sua interezza, la benedizione dell'adempimento.

(Dietrich Bonhoeffer)

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lunedì 23 novembre 2009

162 - QUALE RELAZIONE ESISTE TRA SCRITTURA, TRADIZIONE E MAGISTERO?

Essi sono tra loro così strettamente uniti, che nessuno di loro esiste senza gli altri. Insieme contribuiscono efficacemente, ciascuno secondo il proprio modo, sotto l'azione dello Spirito Santo, alla salvezza degli uomini.

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 17)

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Scripture, Tradition, and the Magisterium are so closely united with each other that one of them cannot stand without the others. Working together, each in its own way, under the action of the one Holy Spirit, they all contribute effectively to the salvation of souls.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.17)

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Escritura, Tradición y Magisterio están tan estrechamente unidos entre sí, que ninguno de ellos existe sin los otros. Juntos, bajo la acción del Espíritu Santo, contribuyen eficazmente, cada uno a su modo, a la salvación de los hombres.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.17)

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161 - A CHI SPETTA INTERPRETARE AUTENTICAMENTE IL DEPOSITO DELLA FEDE?

L'interpretazione autentica di tale deposito compete al solo Magistero vivente della Chiesa, e cioè al Successore di Pietro, il Vescovo di Roma, e ai Vescovi in comunione con lui. Al Magistero, che nel servire la Parola di Dio gode del carisma certo della verità, spetta anche definire i dogmi, che sono formulazioni delle verità contenute nella Rivelazione divina. Tale autorità si estende anche alle verità necessariamente collegate con la Rivelazione.

(Compendio del catechismo della chiesa cattolica, n. 16)

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The task of giving an authentic interpretation of the deposit of faith has been entrusted to the living teaching office of the Church alone, that is, to the successor of Peter, the Bishop of Rome, and to the bishops in communion with him. To this Magisterium, which in the service of the Word of God enjoys the certain charism of truth, belongs also the task of defining dogmas which are formulations of the truths contained in divine Revelation. This authority of the Magisterium also extends to those truths necessarily connected with Revelation.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, n.16)

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La interpretación auténtica del depósito de la fe corresponde sólo al Magisterio vivo de la Iglesia, es decir, al Sucesor de Pedro, el Obispo de Roma, y a los obispos en comunión con él. Al Magisterio, el cual, en el servicio de la Palabra de Dios, goza del carisma cierto de la verdad, compete también definir los dogmas, que son formulaciones de las verdades contenidas en la divina Revelación; dicha autoridad se extiende también a las verdades necesariamente relacionadas con la Revelación.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.16)

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domenica 22 novembre 2009

160 - AVVENTO TEMPO DI …

L’Avvento è tempo di attesa, di vigilanza, tempo di ascolto.

Tempo di riscoprire e ritornare al valore profondo dell’essenzialità. Tempo di interrompere il filo che ci collega al vortice della quotidianità per collegarci con Dio nel tempo in cui ha deciso di inviare suo Figlio. Tempo di ascoltarlo in silenzio e con cuor disponibile.

Tempo di vigilanza, intesa come presenza della persona a sé stessa, come attenzione al proprio lavoro, come lucidità nel vivere il quotidiano e come discernimento della presenza del Signore negli altri e negli eventi.

L’attesa, connessa alla vigilanza, tende a divenire il fondamento spirituale dell’agire, la luce interiore che illumina l’azione quotidiana, il senso profondo dei gesti di ogni giorno.

Le due grandi figure dell’attesa, Giovanni Battista e Maria, rinviano alle figure spirituali della solitudine e del silenzio, ispirano un clima di maggior sobrietà e più intensa preghiera, accentuando il silenzio, la preghiera personale, la pratica dell’essenzialità nella vita di ogni giorno.

L’Avvento è il momento propizio per riflettere sul rapporto con il tempo e per dargli ordine. E dare ordine al tempo non può che significare “darsi tempo” ovvero, dedicare tempo della propria giornata alla vita interiore, al pensare, al pregare.

(Una casa per tutti i popoli, Pontificie Opere Missionarie, 2003)

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venerdì 20 novembre 2009

159 - 2° DOMENICA DI AVVENTO - AMBROSIANO

San Giovanni Battista,
Duomo di Milano, vetrata del XVI secolo
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Questa seconda Domenica di Avvento (di rito ambrosiano) ci fa guardare alla venuta nel mondo di Gesù, il Figlio di Dio, per predicare il Vangelo del Regno, nel quale tutti i popoli sono chiamati a entrare.

Il testo riporta buona parte dell’introduzione del Vangelo secondo Marco (1,1-15) che riferisce in modo originale, rispetto agli altri evangelisti, gli inizi dell’attività missionaria di Gesù, intesa come "vangelo" ossia predicazione del "lieto messaggio" che è il Regno di Dio. In particolare dopo il titolo viene riportata una citazione biblica composta da vari riferimenti scritturistici come Malachia 3,1; Esodo 23,20 e Isaia 40,3, applicata a Gesù e idonea a introdurre la figura di Giovanni intesa come "precursore". I vv 4-6 riferiscono dell’attività del Battista incentrata sulla predicazione del "battesimo di penitenza" dell’enorme successo tra il popolo e del modo di vivere di lui. I vv 7-8 costituiscono come un saggio sintetico della predicazione propria del Battista orientata a "Colui che viene", e, dunque, a Gesù.

I testi biblici vanno letti nel contesto della celebrazione liturgica in atto, vale a dire il tempo dell’Avvento che ci prepara a celebrare, nel Natale, la "prima venuta" del Signore "nella carne" quindi nella fragilità e nell’umiltà e, insieme, tiene desta la consapevolezza che lo stesso Signore tornerà, alla "fine dei tempi" "con potenza e gloria".

Il tempo che intercorre tra la prima e la seconda venuta è il tempo dell’annuncio e della predicazione del Vangelo "di Gesù Cristo, Figlio di Dio", ovvero del Vangelo "che è Gesù Cristo, Figlio di Dio", venuto nel mondo per attuare il disegno di universale salvezza (Epistola) e che i Profeti avevano già annunziato (Lettura).

La Lettura, nel brano del profeta Isaia, riferisce le sorprendenti parole di Dio che manifestano un suo progetto davvero impensabile e difficile da credere: Dio vuole unire a sé con lo stesso legame che lo unisce a Israele, Egitto e Assiria, due popoli idolatri e nemici spietati di Israele: «In quel giorno ci sarà una strada dall’Egitto verso l’Assiria, l’Assiro andrà in Egitto e l’Egiziano in Assiria, e gli Egiziani renderanno culto insieme con gli Assiri» (Isaia 19,23).

L’Apostolo Paolo riconosce che tale mirabile disegno si è compiuto in Cristo e avverte, perciò, l’insopprimibile impulso a predicare a tutte le genti le «imperscrutabili ricchezze di Cristo», mediante il quale tutti hanno la possibilità di "accedere" a Dio stesso (Efesini 3,8.12). Il Vangelo è proprio questo: Gesù è venuto nel mondo perché tutti abbiano accesso a Dio o, per usare l’immagine proposta in questa domenica, perché tutti diventino "figli del Regno".

Questo è l’annuncio che l’Avvento fa risuonare nella Chiesa perché si ravvivi anzitutto in essa la consapevolezza di essere chiamata a diventare nel modo, al pari del Battista: «voce di uno che grida nel deserto» (Marco 1,3), il cui messaggio è incentrato sull’urgenza della «conversione per il perdono dei peccati» e che concretamente si attua in un riorientamento da sé a "colui che viene". Egli non solo "è più forte" del Battista (v 7) perché in grado di sollevare l’uomo dal male che lo opprime, ma nel Battesimo "in Spirito Santo" (v 8) immerge chi si converte a Lui e al suo Vangelo nella potenza salvifica della sua Pasqua.

La predicazione e l’opera di Giovanni ebbero grande successo nel popolo anche per la testimonianza di vita da lui offerta (v 5-6). Così è per l’opera evangelizzatrice della Chiesa. Accorreranno tutti a essa se la riconosceranno come Chiesa "di" Cristo e dunque attenta a uniformarsi a Lui nel suo essere e nel suo agire per Lui. (A.Fusi)

Prima Lettura: Isaia 19,18-24; Salmo 86; Epistola: Efesini 3,8-13; Vangelo: Marco 1,1-8.

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giovedì 19 novembre 2009

158 - LE TUE PAROLE SIGNORE

O mio Dio,

poiché le tue parole,
non sono fatte per rimanere nei nostri libri,
ma per possederci
e per correre il mondo in noi,
permetti che, da quel fuoco di gioia
da te acceso, un tempo, sul monte delle beatitudini,
e da quella lezione di felicità,
qualche scintilla ci raggiunga e ci possieda,
ci investa e ci pervada.
Fa’ che come fiammelle nelle stoppie,
corriamo per le vie delle città,
e fiancheggiamo le onde della folla
contagiosi di beatitudine, contagiosi della gioia…

Madeleine Delbrel

mercoledì 18 novembre 2009

157 - SPERANZA E ATTESA

Speranza e attesa: sono due virtù senza le quali è impossibile vivere la fiducia tra noi, perché troppo spesso questa fiducia può venire delusa.

Abbiamo tutti fatto esperienze amare che tendono a chiuderci il cuore, e celo potrà aprire solo una grande speranza, quella che la Chiesa ci ripete continuamente: Gesù si manifesterà, Gesù riempirà la nostra vita. Noi viviamo in questa attesa, in questa tensione verso il bene futuro amato e desiderato, verso la manifestazione della pienezza della vita di Dio in noi.

Se essa manca, se languisce, allora l’atteggiamento di fiducia e di benevolenza sarà quasi impossibile, perché le circostanze quotidiane tendono a distruggerlo in noi.

La mancanza di questa attesa, di questa speranza può essere davvero una delle più grandi tragedie del nostro tempo.

Se noi ci ripieghiamo solo sul presente, ansiosi di goderne al massimo, oppure ci amareggiamo perché le cose del presente ci disgustano e non ci soddisfano, se manchiamo di questa visione dell’avvenire, di questa speranza della manifestazione della gloria di Dio, noi non possiamo essere né il sale della terra né il fermento del lievito della pasta. Fatalmente verremmo trascinati dalle esperienze quotidiane, gioiosi quando qualcosa andrà bene, ma tristi e addolorati non appena qualcosa non risponderà alle nostre aspettative immediate.

Gesù ci insegna a vivere nell’attesa della beata speranza, nell’attesa della manifestazione della gloria del nostro grande Dio e Salvatore Gesù Cristo.

Attendiamo il tuo ritorno, attendiamo la tua manifestazione gloriosa. Lo proclamiamo ogni volta che celebriamo l’Eucarestia.

(Card. Carlo Maria Martini, Omelia nella notte di Natale 1980).

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156 - LA FAME È “IL SEGNO PIÙ CRUDELE E CONCRETO DELLA POVERTÀ

La comunità internazionale sta af­frontando in questi anni una grave crisi economico- finanziaria. Le sta­tistiche testimoniano la drammati­ca crescita del numero di chi soffre la fame e a questo concorrono l’au­mento dei prezzi dei prodotti ali­mentari, la diminuzione delle di­sponibilità economiche delle popo­lazioni più povere, il limitato acces­so al mercato e al cibo. Tutto ciò mentre si conferma il dato che la ter­ra può sufficientemente nutrire tut­ti i suoi abitanti. Infatti, sebbene in alcune regioni permangano bassi li­velli di produzione agricola anche a causa di mutamenti climatici, glo­balmente tale produzione è suffi­ciente per soddisfare sia la doman­da attuale, sia quella prevedibile in futuro. Questi dati indicano l’assen­za di una relazione di causa- effetto tra la crescita della popolazione e la fame, e ciò è ulteriormente provato dalla deprecabile distruzione di der­rate alimentari in funzione del lucro economico.

Nell’odierna situazione permane ancora un livello di sviluppo dise­guale tra e nelle Nazioni, che deter­mina, in molte aree del pianeta, con­dizioni di precarietà, accentuando la contrapposizione tra povertà e ricchezza. Tale confronto non ri­guarda più solo i modelli di svilup­po, ma anche e soprattutto la per­cezione stessa che sembra affer­marsi circa un fenomeno come l’in­sicurezza alimentare. Vi è il rischio cioè che la fame venga ritenuta co­me strutturale, parte integrante del­le realtà socio-politiche dei Paesi più deboli, oggetto di un senso di rasse­gnato sconforto se non addirittura di indifferenza. Non è così, e non de­ve essere così! Per combattere e vin­cere la fame è essenziale comincia­re a ridefinire i concetti ed i principi sin qui applicati nelle relazioni in­ternazionali , così da rispondere al­l’interrogativo: cosa può orientare l’attenzione e la successiva condot­ta degli Stati verso i bisogni degli ul­timi? La risposta non va ricercata nel profilo operativo della cooperazio­ne, ma nei principi che devono i­spirarla: solo in nome della comune appartenenza alla famiglia umana universale si può richiedere ad ogni Popolo e quindi ad ogni Paese di es­sere solidale, cioè disposto a farsi ca­rico di responsabilità concrete nel venire incontro alle altrui necessità, per favorire una vera condivisione fondata sull’amore.

Non si devono poi dimenticare i diritti fondamentali della persona tra cui spicca il diritto ad un’ali­mentazione sufficiente, sana e nu­triente, come pure all’acqua; essi ri­vestono un ruolo importante per il conseguimento di altri diritti, ad i­niziare da quello, primario, alla vita. È necessario, pertanto maturare « u­na coscienza solidale, che conside­ri l’alimentazione e l’accesso all’ac­qua come diritti universali di tutti gli esseri umani, senza distinzioni né discriminazioni » ( Caritas in verita­te,27)


(dal discorso di Benedetto XVI al Vertice della FAO a Roma, 16 novembre 2009)

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lunedì 16 novembre 2009

155 - AVVENTO TEMPO DI ATTESA

Avvento, tempo dell'attesa e della speranza:
è la tua venuta, o Cristo, che vogliamo rivivere,
preparandoci più profondamente
nella fede e nell'amore.

Avvento, tempo della Chiesa affamata del Salvatore:
essa vuole ripeterti, volgendosi a te
con più insistenza, con un lungo sguardo,
che tu sei tutto per lei.

Avvento, tempo dei desideri più nobili dell'uomo
che più coscientemente convergono verso di te,
e che devono cercare in te, nel tuo mistero,
il loro compimento.

Avvento, tempo di silenzio e di raccoglimento,
in cui ci sforziamo d'ascoltare la Parola
che vuol venire a noi,
e di sentire i passi che si avvicinano.

Avvento, tempo dell'accoglienza
in cui tutto cerca di aprirsi,
in cui tutto vuol dilatarsi nei nostri cuori troppo stretti,
al fine di ricevere la grandezza infinita
del Dio che viene a noi.

(Jean Galot, Vieni, Signore)

154 - AVVENTO: LA NOSTRA RADICE

Nel tempo di Avvento siamo tutti chiamati a un cambiamento di vita che riscopra il ruolo attivo e responsabile di noi fedeli, un tesoro per tanti ancora nascosto e da riscoprire. Come ammonisce il card. Dionigi Tettamanzi nell’omelia della Messa delle Ordinazioni Sacerdotali 2009: «Ogni uomo è testimone “vivo e forte del grande dono che il Signore Gesù ha fatto a tutti e a ciascun battezzato: quello di essere partecipi del suo sacerdozio, come disse il profeta Isaia: “voi sarete chiamati sacerdoti del Signore, ministri del nostro Dio sarete detti” (Is 61,6). Siamo un popolo sacerdotale!»

Un popolo chiamato a vivere tutti i carismi ricevuti per l’edificazione della Chiesa, nella diversità di funzioni e ministeri, nell’unità dello stesso Spirito, il quale distribuisce i suoi doni con abbondanza e per tutte le necessità. Tutti i doni ricevuti, anche i più umili, sono essenziali alla vitalità del corpo di Cristo, cioè la Chiesa, per l’edificazione di tutti.

Viviamo dunque questo tempo di preparazione della venuta del Signore in virtù del battesimo e sotto la guida dello Spirito di Cristo, che anima e dà vigore a ogni azione.

A colui che ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, che ha fatto di noi un regno di sacerdoti per il suo Dio, a lui la gloria e la potenza nei secoli dei secoli. Amen. (Ap 1, 5-6)

Tanti auguri di buon cammino di Avvento.

(padre Luigi Bazzani, parroco)

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venerdì 13 novembre 2009

153 - 1 DOMENICA DI AVVENTO - AMBROSIANO

Il brano evangelico riporta quasi completamente il discorso di Gesù riguardante le "realtà ultime" (21,5-38) pronunciato nel Tempio davanti alla folla dei frequentatori e ai discepoli. Esso è occasionato dalle parole di ammirazione per la bellezza e la magnificenza del Tempio, di cui Gesù profetizza la totale e definitiva distruzione (vv 5-6) e si può così suddividere: vv 7-11 Gesù mette in guardia dai sedicenti "profeti" ed esorta a non terrorizzarsi per le dure vicende della storia; vv 12-19: con franchezza annunzia per i suoi la persecuzione anche violenta e li esorta a "perseverare" nella fede; vv 25-28 con linguaggio proprio dell’"apocalittica" parla della venuta del "Figlio dell’uomo".

Il brano evangelico ha al centro proprio l’annunzio della parusia, un termine del vocabolario cristiano che indica la "venuta finale", "con potenza e gloria grande" (v 27) del "Figlio dell’uomo" ossia di Gesù il Risorto! La parusia, pertanto, coincide e segna la fine di questo mondo! L’Avvento che è essenzialmente il tempo liturgico in preparazione al Natale, ovvero la "prima venuta" del Signore nell’"umiltà della carne", è anche il tempo destinato a tenere desta nel cuore della Chiesa e dei credenti la consapevolezza che il Signore "verrà di nuovo nello splendore della gloria" (Prefazio).

L’evangelista, tramite il linguaggio a tinte forti proprio dell’"apocalittica" (=genere letterario che mediante il ricorso a immagini e a visioni catastrofiche e terrificanti suole veicolare il sopraggiungere del giudizio finale di Dio che punisce i malvagi e premia i buoni), rintracciabile ai vv 10-11 e specialmente ai vv 25-28 dove si parla di caotici sconvolgimenti che interessano simultaneamente tutto il creato (cieli, mari, terra, uomini), vuole mettere in evidenza la certezza della parusia del Risorto. In essa si compie ciò che i Profeti annunziano a proposito del "giorno del Signore", che «viene come una devastazione da parte dell’Onnipotente… per fare della terra un deserto, per sterminare i peccatori» (Lettura: Isaia 13,6.9).

Ma a ben guardare a Gesù preme sottolineare che la "venuta" del Figlio dell’uomo non deve fare paura ai credenti. Anzi. Essi che normalmente sono come piegati dalle continue prove della vita e soprattutto dalle inevitabili persecuzioni anche violente e mortali a cui vanno incontro proprio perché suoi discepoli (vv 12-17), ora, davanti al Signore che "viene", sono invitati a risollevarsi e ad alzare «il capo, perché la liberazione è vicina» (v 28).

La parola evangelica, inoltre, ci fa capire ricorrendo ai tragici avvenimenti dell’anno 70 d.C. che segna con la distruzione del Tempio (v 6) e dell’intera città di Gesusalemme (vv 20-24), la fine di Israele come "popolo", che la storia è contrassegnata "normalmente" da questi fatti anche atroci come le guerre (v 9), così come dalle calamità naturali spesso provocate dall’uomo. Davanti a tali situazioni il credente, mentre si guarda dal farsi ingannare da presunti annunzi di falsi profeti (v 8), presenti anche ai nostri giorni, si attiverà con intelligenza per cercare di sopravvivere ad essi (v 21) con la certezza che «nessun capello del vostro capo andrà perduto» (v 18). La nostra vita, infatti, è nelle mani sicure e invincibili del Risorto!

L’Avvento che oggi iniziamo, mentre ci dispone a celebrare convenientemente il Natale, mantiene viva in noi la consapevolezza che lo stesso Signore, riconosciuto con intima gioia nel Bambino di Betlemme, tornerà, alla fine dei tempi come Signore e giudice universale. Per noi, singolarmente presi, la "fine dei tempi" coincide con la nostra fine, con la nostra morte.

Il Vangelo con parola luminosa ci dice di "alzare il capo" in quell’ora in cui il Signore viene! Senza paura. E perché questo accada ci esorta a "perseverare" nella fedeltà, nell’obbedienza e nell’abbandono fiducioso alla sua parola, pronti a dare "testimonianza" di lui sempre, davanti a chiunque, in ogni circostanza (cfr. Luca 21,13).

Questa si concretizza, come avverte l’Apostolo, nel non farci complici del male e nel «non partecipare alle opere delle tenebre» ma, specialmente, nel "camminare nella carità" ovvero nell’impostare la nostra quotidiana esistenza come "dono di sé", sul modello di Cristo che «ci ha amato e ha dato sé stesso per noi» (Epistola: Efesini 5,2.11).

(A.Fusi)

Letture: Is. 13,4-11; Sal 67; Ef. 5,1-11; Lc. 21,5-28

mercoledì 11 novembre 2009

152 - LA VERA FELICITA’

Abbiamo il diritto di vivere felici e in pace. Siamo stati creati per questo – per essere felici – e possiamo trovare la vera felicità e la vera pace solo quando siamo in un rapporto d'amore con Dio: vi è grande felicità nell'amarlo. Molti pensano, specie in Occidente, che il denaro renda felici. Io penso invece sia più difficile essere felici quando si è ricchi, perché è più difficile vedere Dio: ci sono troppe altre cose a cui pensare. Se tuttavia Dio vi ha dato il dono della ricchezza, allora usatela per i suoi scopi : aiutare gli altri, aiutare i poveri, creare posti di lavoro, dare lavoro agli altri. Non sprecate la vostra ricchezza: anche avere cibo, una casa, dignità, libertà, salute e istruzione sono tutti doni di Dio, ed è questo il motivo per cui dobbiamo aiutare chi è meno fortunato di noi.

Gesù ha detto: « Ogni volta che avete fatto queste cose a uno solo di questi miei fratelli più piccoli, l'avete fatto a me » (Mt 25,40). Pertanto, l'unica cosa che possa rattristarmi è offendere il nostro Signore per egoismo o per mancanza di carità verso gli altri, o arrecare torto a qualcuno. Quando offendiamo i poveri, quando ci offendiamo gli uni gli altri, offendiamo Dio.

Spetta a Dio dare e togliere: condividete dunque ciò che avete ricevuto, compresa la vostra vita.


Beata Teresa di Calcutta (1910-1997)

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151 - GLORIA AL PADRE

Amore che mi formasti
a immagine dell’Iddio
che non ha volto,
Amore che sì teneramente

mi ricomponesti dopo la rovina,

Amore, ecco, mi arrendo:
sarò il tuo splendore eterno.
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Amore, che mi hai eletto

fin dal giorno che le tue mani

plasmavano il corpo mio,

Amore, celato nell’umana carne,

ora simile a me interamente sei,

Amore, ecco, mi arrendo:
sarò il tuo possesso eterno.
.

Amore, che al tuo giogo

anima e sensi,
tutto m’hai piegato,
Amore, tu involi nel gorgo tuo,

il cuore mio non resiste più,

ecco, mi arrendo, Amore:
mia vita ormai eterna.

(Padre David Turoldo)

150- L’ENCICLICA “CARITAS IN VERITATE” IN PILLOLE - 2 -

Proprietà intellettuale: Ci sono forme eccessive di protezione della conoscenza da parte dei Paesi ricchi, mediante un utilizzo troppo rigido del diritto di proprietà intellettuale, specialmente nel campo sanitario. Nello stesso tempo, in alcuni Paesi poveri persistono modelli culturali e norme sociali di comportamento che rallentano il processo di sviluppo. (n.22)

Progresso integrale: Va tuttavia sottolineato come non sia sufficiente progredire solo da un punto di vista economico e tecnologico. Bisogna che lo sviluppo sia anzitutto vero e integrale. L'uscita dall'arretratezza economica, un dato in sé positivo, non risolve la complessa problematica della promozione dell'uomo. (n.23)

Precarietà lavorativa: Quando l'incertezza circa le condizioni di lavoro, in conseguenza dei processi di mobilità e di deregolamentazione, diviene endemica, si creano forme di instabilità psicologica, di difficoltà a costruire propri percorsi coerenti nell'esistenza, compreso anche quello verso il matrimonio. Conseguenza di ciò è il formarsi di situazioni di degrado umano, oltre che di spreco sociale. Rispetto a quanto accadeva nella società industriale del passato, oggi la disoccupazione provoca aspetti nuovi di irrilevanza economica e l'attuale crisi può solo peggiorare tale situazione. L'estromissione dal lavoro per lungo tempo, oppure la dipendenza prolungata dall'assistenza pubblica o privata, minano la libertà e la creatività della persona e i suoi rapporti familiari e sociali con forti sofferenze sul piano psicologico e spirituale. (n.25)

L’uomo, il primo capitale: Desidererei ricordare a tutti, soprattutto ai governanti impegnati a dare un profilo rinnovato agli assetti economici e sociali del mondo, che il primo capitale da salvaguardare e valorizzare è l'uomo, la persona, nella sua integrità: “L'uomo infatti è l'autore, il centro e il fine di tutta la vita economico-sociale” (n.25)

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domenica 8 novembre 2009

149 - TESTIMONE DELLA CARITA’

Lo scorso 25 ottobre in piazza Duomo è stato beatificato Don Carlo Gnocchi. Nel saluto al termine dell’Angelus di domenica 25 ottobre papa Benedetto XVI ha ricordato la figura di don Carlo: “Egli fu dapprima un valido educatore di ragazzi e giovani. Nella seconda guerra mondiale divenne cappellano degli alpini, con i quali fece la tragica ritirata di Russia, scampando alla morte per miracolo. Fu allora che progettò di dedicarsi interamente ad un’opera di carità. Così, nella Milano in ricostruzione, don Gnocchi lavorò per “restaurare la persona umana” raccogliendo i ragazzi orfani e mutilati e offrendo loro assistenza e formazione. Diede tutto se stesso fino alla morte, e morendo donò le cornee a due ragazzi ciechi”.

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Oggi la Chiesa ambrosiana celebra la Giornata diocesana della carità.

Presentiamo alcuni pensieri del nostro nuovo beato don Carlo Gnocchi, che seppe vivere tutta la sua vita all’insegna della carità e del dono di sé.

“L’unica ricchezza che tutti possediamo e possiamo donare è quella di volere bene. Poi il fare il bene diventa una necessità e una dolcezza. Solo la carità resta e sarà la nostra ricchezza nella vita a venire””.

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“Di una cosa sola ha bisogno il mondo e per questa bisogna lottare: di carità e di amore evangelico. Ciascuno di noi ha il dovere di anticipare e attuare, per quanto gli compete, l’avvento della carità. E’ bene poca cosa quello che un uomo può fare, si sa. E’ una goccia di dolcezza in un oceano amarissimo. Ma pure il mare è formato da tante gocce.

Basta che ognuno porti la sua… non scoraggiatevi dunque se di fronte al molto che resta da fare la vostra opera appare piccola e insufficiente. Dio sa le nostre possibilità”.

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“Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i suoi poveri. Ecco la mia “carriera”. Purtroppo non so se di questa grande grazia ne sono degno, perché si tratta di un privilegio. E’ questo che ti rende e renderà sempre più vicino a Dio, perché Dio è tutto qui, nel fare del bene a quelli che soffrono e hanno bisogno di un aiuto materiale e morale. Il Cristianesimo, a quelli che lo capiscono veramente, non domanda altro. Tutto il resto viene dopo e viene da sé”.

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venerdì 6 novembre 2009

148 - NOSTRO SIGNORE GESÙ CRISTO RE DELL’UNIVERSO

È l’ultima domenica dell’Anno liturgico in rito ambrosiano, nella visione del Cristo crocifisso, vuole additare alla Chiesa e al mondo il cuore e il centro della "storia" che, proprio grazie alla Pasqua del Signore, è attraversata da una concreta possibilità di salvezza offerta a tutti.

Il brano evangelico fa parte del racconto della crocifissione (Luca 23,26-56) e segue immediatamente la scarna descrizione della crocifissione stessa tra due "malfattori" (v 33), le parole di perdono di Cristo crocifisso e la spartizione delle sue vesti (v 34) e soprattutto lo scherno e la derisione dei capi del popolo (v 35) ai quali si uniscono anche i soldati (v 36). I primi ridicolizzano Gesù nella sua pretesa messianica sbugiardata dal fatto che non è in grado di "salvare sé stesso", mentre i soldati lo deridono per la sua qualità "politica" di "re dei Giudei", titolo che per spregio compare pure sulla scritta posta sopra la croce (v 38).

Ai capi e ai soldati si associa nella derisione e nell’insulto uno dei due "malfattori" appesi come Gesù alla croce. Egli, con rabbia, denuncia l’inconsistenza della pretesa messianica di Gesù, che, a differenza del Messia promesso da Dio, non è capace di procurare "salvezza". Per i contemporanei di Gesù, rappresentati dai capi, dai soldati e dal "malfattore", la salvezza era concepita come salvezza di natura "politica" o "spettacolare-miracolistica" come sarebbe, quella di scendere dalla Croce! Ma nel disegno di Dio, l’incomprensione, la non accettazione, la persecuzione e la derisione del Signore crocifisso in cui viene raggiunto il punto estremo dello svuotamento della sua condizione divina e della sua umiliazione (cfr. Epistola: Filippesi 2,7-8), lo accredita, al contrario, come quel "servo" «disprezzato, rifiutato dalle nazioni, schiavo dei potenti» (Lettura: Isaia 49,7) che Dio invece stabilisce come «luce delle nazioni, perché porti la mia salvezza fino all’estremità della terra» (v 6).

Nell’altro malfattore che si rivolge al crocifisso chiamandolo per nome: Gesù! Ovvero riconoscendo che in lui, Dio "salva" (vv 40-42) la promessa profetica è avverata. In Gesù la salvezza fa il suo efficace ingresso nella storia e nell’umanità. Il Crocifisso, infatti, è in grado di riaprire le porte del Paradiso sigillato a causa del peccato di Adamo ovvero di far entrare, chi a lui si affida, in quella comunione di vita che lo unisce al Padre.

Questa domenica, con la scena solenne di Cristo crocifisso costituito re dell’universo, chiude il corrente anno liturgico e pone, così, nella luce della croce del Signore, e dunque della Pasqua, il nuovo anno che sta per iniziare con il tempo dell’Avvento. Cristo Gesù, "esaltato" sulla croce, è all’inizio, al centro, e al termine dei tempi e della storia che, grazie a lui, diventa lo spazio dove la salvezza, concretamente offerta al "malfattore", che lo invoca, deve raggiungere tutte le nazioni, tutte le genti, tutti gli uomini compresi quelli che, come "i soldati" e "uno dei malfattori" scuotono il capo increduli davanti a lui.

La preghiera liturgica, penetrando in profondità la Scrittura con la guida dello Spirito, vede nell’evento "storico" della croce non solo il «compimento della nostra salvezza», bensì la solenne proclamazione e costituzione di Gesù crocifisso quale «Signore di tutte le creature», che una volta "ricapitolate" in lui dalla dispersione frutto del peccato, egli può presentare a Dio come «regno universale ed eterno: regno di santità e di grazia, regno di giustizia, di amore e di pace» (Prefazio).

Nel solenne raduno eucaristico, specialmente domenicale, la Chiesa, riproponendo "nel mistero" la Croce del Signore, ne annunzia l’intatta efficacia salvifica "oggi", qui e adesso, e anticipa il giorno felice in cui tutti potremo «regnare nella gloria senza fine con lui, che vive e regna nei secoli dei secoli» (Orazione dopo la Comunione).

(A.Fusi)

mercoledì 4 novembre 2009

147 - A CHI È AFFIDATO IL DEPOSITO DELLA FEDE?

Il deposito della fede è affidato dagli Apostoli alla totalità della Chiesa. Tutto il popolo di Dio, con il senso soprannaturale della fede, sorretto dallo Spirito Santo e guidato dal Magistero della Chiesa, accoglie la Rivelazione divina, sempre più la comprende e la applica alla vita.

(dal Compendio del catechismo della Chiesa Cattolica, nr.15).

To whom is the deposit of faith entrusted?

The Apostles entrusted the deposit of faith to the whole of the Church. Thanks to its supernatural sense of faith the people of God as a whole, assisted by the Holy Spirit and guided by the Magisterium of the Church, never ceases to welcome, to penetrate more deeply and to live more fully from the gift of divine revelation.

(Compendium of the Catechism of the Catholic Church, nr. 15)

¿A quién ha sido confiado el depósito de la fe?

El depósito de la fe ha sido confiado por los Apóstoles a toda la Iglesia. Todo el Pueblo de Dios, con el sentido sobrenatural de la fe, sostenido por el Espíritu Santo y guiado por el Magisterio de la Iglesia, acoge la Revelación divina, la comprende cada vez mejor, y la aplica a la vida.

(Compendio del Catecismo de la Iglesia Católica, n.15)

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martedì 3 novembre 2009

146 - SAN CARLO: UNA VITA DONATA

Che cosa ha fatto San Carlo Borromeo?

Ha rischiato, ha donato la vita. Mentre la peste divorava la città si è buttato dentro a questo flagello, non come mercenario, che stava lontano dagli appestati, ma come il buon pastore, che stava in mezzo ad essi, senza paura della morte.

Egli non ha lasciato nessuna autobiografia, nessuno scritto spirituale, che ci parli del suo segreto, della sua interiorità, della sua preghiera. Come testimonianza della sua preghiera abbiamo alcuni quadri che lo mostrano estatico o in lacrime in venerazione del Crocefisso.

Se San Carlo viveva nella sua interiorità segreta una inesauribile capacità di lode e di sofferenza (che sono, come testimoniano i Salmi, le due facce della preghiera dell’uomo), la sofferenza era quella che probabilmente prevaleva all’esterno.

San Carlo è stato l’uomo della preghiera, delle lacrime, della penitenza intesa non come opera eroica, ma come partecipazione misteriosa, appassionata alle sofferenze di Cristo, al suo entrare nel fondo del peccato del mondo, cogliendo l’assurdità del rifiuto di Dio, vivendone il brivido fino quasi allo scoppio del cuore e alla divisione dell’animo.

San Carlo è uno di quei grandi testimoni che sono penetrati fino al fondo di questo mistero, hanno bevuto le ultime gocce di questo calice amaro e hanno saputo quindi conoscere con lucidità il tempo, le cose, la storia.

(Cardinale Carlo Maria Martini, Omelia per la Solennità di San Carlo, 1983).

AUGURI DI BUON ONOMASTICO

AL CARDINALE CARLO MARIA MARTINI !